E' quanto si evince da una sentenza della Cassazione, che ha annullato senza rinvio "perche' il fatto non sussiste" una condanna a 4 mesi di reclusione inflitta ad un uomo dalla Corte d'Appello di Roma.
L'imputato era stato accusato di essersi procurato "indebitamente immagini della vita intima e privata" della propria compagna, "mediante strumenti di ripresa visiva".
L'uomo aveva poi, alla fine della relazione sentimentale, consegnato alla propria ex una cassetta con questi filmati, con un biglietto di addio.
La donna, dunque, lo aveva trascinato in Tribunale lamentando il fatto che, pur sapendo della ripresa delle immagini che erano state proiettate in tempo reale con una apparecchiatura predisposta su una parete, non fosse stata informata della registrazione di queste.
Contro la decisione dei giudici del merito, l'imputato aveva presentato ricorso in Cassazione, affermando che "non possono essere considerate interferenze illecite le attivita' svolte consensualmente e scientemente da due soggetti, come nel caso di specie, anche se registrate da uno dei due con l'ausilio di una videocamera, perche' rimangono comunque nel ristretto ambito degli stessi partecipanti alle attivita' riprese".
Dello stesso avviso, la quinta sezione penale della Suprema Corte, secondo la quale il ricorso e' fondato: "L'art. 615 bis del Codice Penale - si legge nella sentenza n. 1766 - tende a tutelare la riservatezza della vita individuale contro le interferenze illecite nella vita privata di ognuno, ma sempre che tali interferenze provengano da terzi, rimasti estranei alla conversazione oggetto di registrazione".