mercoledì, novembre 28, 2018

Patteggiamento della pena (ex art. 444 cpp) ed errore manifesto nella qualificazione giuridica del fatto.

Corte Cassazione Penale Sez. VI - Sent. Num. 53178/2018 Presidente: PAOLONI - Relatore: GIORDANO - Data Udienza: 20/11/2018. 

“Secondo il condivisibile indirizzo ermeneutico tracciato da questa Corte, la modifica introdotta con la legge n. 103 del 2017 ha codificato i principi già elaborati nella giurisprudenza di legittimità che, nell'ambito della disciplina del rito speciale di cui all'art. 444 cod. proc. pen., caratterizzato da speditezza, sinteticità e negozialità, avevano enucleato la nozione di errore manifesto della qualificazione giuridica del fatto individuandola in un errore fondato su una contestazione palesemente eccentrica (Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865) ovvero frutto di un errore manifesto (Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, Brughitta e altro, Rv. 264153). Proprio in materia di stupefacenti, era stato escluso, nella sentenza da ultimo richiamata, che ricorresse un errore manifesto in presenza della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 80 dpr 309/1990, richiamando la necessaria esistenza di margini di opinabilità nell'attività di valutazione discrezionale compiuta dal giudice di merito.
Si è, così, recentemente affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, l'erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619). 
Nel caso in esame la denuncia del preteso errore manifesto nella qualificazione del fatto si risolve in un'affermazione assertiva, non trovandosi di fronte ad una contestazione eccentrica o frutto di un errore macroscopicamente evidente in cui siano incorse le parti in sede di accordo e che, inopinatamente, il giudice abbia ratificato poiché, viceversa, a fronte del dato quantitativo dello stupefacente detenuto e del principio attivo da esso ricavabile, rientra in un opinabile margine di apprezzamento e di valutazione la qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, piuttosto che nella fattispecie lieve di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. 309/1990”.

giovedì, novembre 15, 2018

Come stabilire se il compenso è sproporzionato ed eccessivo.

Il compenso per l’attività posta in essere deve essere computato alla stregua della tariffa professionale ratione temporis vigente, e, al tempo stesso, deve essere pur sempre proporzionato alla reale consistenza ed all’effettiva valenza professionale espletata. In particolare, il compenso può ritenersi sproporzionato od eccessivo ex art. 43 C.D. (ora art. 29 nuovo CDF) solo al termine di un giudizio di relazione condotto con riferimento a due termini di comparazione, ossia l’attività espletata e la misura della sua remunerazione da ritenersi equa; solo una volta che sia stato quantificato l’importo ritenuto proporzionato, può essere formulato il successivo giudizio di sproporzione o di eccessività, che presuppone che la somma richiesta superi notevolmente l’ammontare di quella ritenuta equa.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. e rel. Logrieco), sentenza del 19 marzo 2018, n. 9.

giovedì, novembre 08, 2018

Qualificazione del rapporto di lavoro nel giudizio di legittimità.

Cassazione Civile Sez. Lavoro - Ord. Num. 28465/2018 Presidente: MANNA - Relatore: MAROTTA - Data pubblicazione: 07/11/2018. 

"La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi, che rivelino l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160)".

La debenza dell’assegno divorzile.



Tribunale di Roma – Sez. Prima - sentenza n. 19367 del 10-10-2018.

“Ha diritto all’assegno divorzile il coniuge che ha provato di non avere adeguati mezzi di sostentamento e che, durante il matrimonio, si è dedicato ad accudire i figli pur non contribuendo alla formazione del patrimonio comune dovendosi riconoscere il diritto a ricevere un contributo economico che compensi l'impegno profuso e allo stesso tempo riequilibri il divario esistente tra le parti nell’ambito di una complessiva valutazione della storia familiare dei coniugi”.