sabato, maggio 28, 2016

Deontologia forense: l’obbligo di (corretta e veritiera) informazione al cliente.

“L’art. 40 CDF (ora, 27 ncdf), nel disciplinare gli obblighi di informazione, impone in ogni caso una corretta e veritiera informazione a prescindere dalla innocuità reale o virtuale delle comunicazioni non corrispondenti al vero. Un rapporto fiduciario quale quello che lega l’avvocato al cliente non può certamente tollerare un comportamento che violi un aspetto essenziale del “rapporto fiduciario” proprio consistente nella completezza, compiutezza e verità delle informazioni destinate all’assistito”. 

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Piacci), sentenza del 24 settembre 2015, n. 147.

NOTA: In senso conforme, tra le altre, C.N.F. 17-09-2012, n. 117.

mercoledì, maggio 25, 2016

La Cassazione ribadisce i limiti della responsabilità professionale dell'avvocato.

“La responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone (cfr. tra le altre, Cass., 7 agosto 2002, n. 11901; Cass., 5 febbraio 2013, n. 2638)”.

Civile Sent. Sez. 3 Num. 10698 Anno 2016 Presidente: SPIRITO - Relatore: VINCENTI Data pubblicazione: 24/05/2016

E’ nullo il patto di garanzia, sottostante alla consegna d’assegno bancario senza data o postdatato.

"II primo motivo di ricorso è fondato alla luce della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civ. n. 26232 dal 22 novembre 2013) secondo cui l'emissione d’un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia - nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall'art. 1343 cod. civ..
Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall'art. 1322 cod. civ. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all'art. 1988 cod. civ. (cfr. Cass. civ. sezioni II, n. 4368 del 19 aprile 1995)".

Cass. Civile Sez. I sentenza n. 10710 del 24/05/2016 Presidente: FORTE Relatore: BISOGNI.

martedì, maggio 24, 2016

Deontologia forense: sospensione del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale.

La sospensione del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale può essere disposta, ex art. 295 c.p.c, in caso di identità dei fatti, nella sola ipotesi in cui sia stata esercitata dal P.M. l’azione penale nei modi di cui all’art. 405 c.p.p. con la formulazione dell’imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio. Conseguentemente, non sussiste alcun obbligo di far luogo alla sospensione del disciplinare nel caso in cui il procedimento penale sia ancora nella fase delle indagini preliminari”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Ferina), sentenza del 24 settembre 2015, n. 143.

NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Mariani Marini), sentenza del 16 luglio 2015, n. 96, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Neri), sentenza del 16 luglio 2015, n. 98, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Picchioni), sentenza del 28 aprile 2015, n. 67, nonché Cass. Civ. 10974/2012. In arg. cfr. pure l’art. 54 L. n. 247/2012.

domenica, maggio 22, 2016

Avvocati e pubblicità informativa: vietato offrire prestazioni professionali verso compensi infimi o a forfait.

"Pur a seguito dell’entrata in vigore della normativa nota come “Bersani”, la pubblicità informativa dell’avvocato deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro, sicché è da ritenersi deontologicamente vietata una pubblicità indiscriminata (ed in particolare quella comparativa ed elogiativa) così come una proposta commerciale che offra servizi professionali a costi molto bassi ovvero determinati forfettariamente senza alcuna proporzione all’attività svolta, a prescindere dalla corrispondenza o meno alle indicazioni tariffarie.
Infatti, la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le predette limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall’ordinamento affidata al potere-dovere del giudice disciplinare (Nel caso di specie trattavasi di box pubblicitario in un quotidiano, con evidenza riservata in via pressoché esclusiva e palesemente suggestiva al costo della prestazione offerta)".

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Ferina), sentenza del 24 settembre 2015, n. 142.

NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Damascelli), sentenza del 11 marzo 2015, n. 26, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Salazar, Rel. Sica), sentenza del 13 marzo 2013, n. 37 Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Tacchini), sentenza del 28 dicembre 2012, n. 204.

mercoledì, maggio 18, 2016

Deontologia forense: La richiesta di compensi eccessivi e non dovuti.

"Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché in violazione del dovere di lealtà e correttezza, l’avvocato che chieda il pagamento del compenso professionale al proprio cliente pur avendo già ottenuto il pagamento della parcella dalla compagnia di assicurazione".

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Sica), sentenza del 23 luglio 2015, n. 135

 NOTA: In senso conforme, Cons. Naz. Forense 03-11-2004, n. 243.

Tribunale Salerno: decreto per la sospensione elettorale.

martedì, maggio 17, 2016

Davigo e gli avvocati.

Piercamillo Davigo ha sempre manifestato una totale mancanza di rispetto per l'Avvocatura. Se non fosse un magistrato le sue opinioni potrebbero lasciare indifferenti e non potrebbe essere criticato per averle espresse in quanto, checché ne pensi il nostro legislatore, ognuno dovrebbe essere libero di esprimere il proprio pensiero, anche se aberrante.
Poiché, come scrisse Calamandrei, "il giudice che manca di rispetto all'avvocato, come l'avvocato che manca di ossequio verso il giudice, ignorano che Avvocatura e Magistratura obbediscono alla legge dei vasi comunicanti: non si può abbassare il livello dell'una, senza che il livello dell'altra cali di altrettanto" prima di esprimere certe opinioni il magistrato Davigo, che evidentemente non ha mai letto "l'elogio dei giudici", avrebbe dovuto autocensurarsi ed evitare di rendere pubblico il suo sentimento (o risentimento?) nei confronti degli avvocati.
Il dr. Davigo non lo ha mai fatto ed ha sempre esternato. Oggi però non parla Piercamillo Davigo ma il presidente dell'ANM.
Sembra intenzionato a creare ed alimentare uno scontro tra i due ordini, quello forense e quello giudiziario. Non è opportuno cadere nella trappola e attaccare i magistrati.
Sarebbe un gioco al massacro, l'ultimo chiodo sulla bara della giustizia ed il discredito finirebbe per estendersi all'Avvocatura.
Sono certo che la maggioranza dei giudici non condivide il pensiero del presidente dell'ANM. Non è, cari giudici, il momento di tacere.
Occorre buttare acqua sul fuoco per evitare che l'incendio che Davigo ha fatto di tutto per appiccare divampi.
Auspico che i dirigenti dell'ANM a livello locale e nazionale e i responsabili delle varie componenti prendano pubblicamente le distanze da quello che ha detto, nella sua qualità, il presidente dell'Associazione.
Aurelio Tomasi di Lampedusa 
(avvocato e gattopardo)

martedì, maggio 10, 2016

No a colpi di mano sul prossimo congresso forense!

La nuova legge forense è nata vecchia ed è già morta, le prove sono molteplici e reiterate: la persistente crisi economica della professione, la cronica e asfittica partecipazione alle elezioni ordinistiche, la trentennale polemica sulla rappresentanza della categoria, l’ingombrante conflitto di interessi tra ruolo istituzionale e politico del Cnf. Infine: i troppi regolamenti sospesi dalla giustizia amministrativa.
Due premesse. La prima: l’avvocatura è cambiata strutturalmente in questi decenni: e più povera e meno competitiva, soprattutto tra i più giovani, è più “rosa” e ha un welfare in costante mutazione.
Tutti fattori che, unitamente alla grandi trasformazioni che investono l'Europa, impediscono di poter avere una visione unitaria su molti temi centrali, sia per il futuro professionale sia sulle riforme della giustizia.
La seconda: la recente storia italiana ha insegnato che non serve cambiare sistema elettorale se non si recupera il senso etico del fare politica; non sarà sufficiente rimettere mano alle rappresentanze dell’Avvocatura (sia istituzionale, sia politica) se ognuno non si impegna preventivamente ad accettare, per esempio, quello che sarà il verdetto della prossima Assise di Rimini, mettendo in soffitta pratiche vecchie come quelle che vedono l’approvazione di mozioni in un congresso sovrano, che poi vengono sconfessate con telefonate a parlamentari e ministri.
Con questa consapevolezza le “avvocature”, se decideranno di darsi nuove regole, dovranno pure imparare a rispettarle, unendo tutela della pluralità e autonomia di governo.
Innanzitutto, quindi, rispetto delle regole, evitando colpi di mano, come con alcuni maldestri tentativi di interpretare la legge al fine di cambiare la prossima platea congressuale : per ottenere l’auspicato consenso, quasi a dire che se “gli i elettori non hanno capito, cambiamo gli elettori!”.
E' fondamentale, invece, puntare sulla democrazia e la partecipazione, sulla separazione dei poteri e da sistemi elettorali che consentono l'espressione del voto su proposte politiche chiare e alternative.
Chi vota una lista e dei candidati sa che quel delegato, una volta eletto, si impegnerà, solo per fare alcuni esempi di grande attualità: per il sì oppure per il no al socio di capitale, o per il via libera all'avvocato dipendente o no. Non può essere un terno al lotto!
Oggi invece, a partire dalle stesse elezioni ordinistiche, questi criteri di trasparenza sono assenti. Dobbiamo rifuggire dai listoni costruiti solo su appartenenze i territoriali, o alcune volte, nepotistico-clientelari, ma su proposte chiare e alternative.
Allo stesso modo, sarebbe importante avere una certificazione,terza e neutrale, della reale consistenza associativa delle cosiddette “associazioni maggiormente rappresentative” della categoria.
Infine: è così difficile immaginare, per esempio, un “election day” ?
Lo stesso giorno i poter esprimere la propria preferenza indicando chi dovrà rappresentare i colleghi i nei Consigli degli Ordini, alla Cassa di Previdenza o nell’Oua.
 Così non ci sarebberopiù invasioni di campo, né si i potrebbe optare per una carica o l’altra a seconda degli i stessi risultati elettorali.

di Mirella Casiello 
Presidente Oua

domenica, maggio 08, 2016

Deontologia: connotazione penalistica delle sanzioni disciplinari, tra “favor rei” e “tempus regit actum”.

"L’indubbia natura afflittiva della sanzione disciplinare induce a ritenere applicabile il principio generale del favor rei, per una primaria esigenza di parità sostanziale, costituzionalmente garantita, tra gli incolpati. Conseguentemente, l’art. 11 c. 2 L. 247/2012 (secondo cui l’inadempimento dell’obbligo formativo presuppone il mancato compimento del sessantesimo anno di età) può applicarsi retroattivamente (Nel caso di specie, il professionista -ultrasessantenne- era stato sanzionato per aver violato l’obbligo formativo. In applicazione del principio di cui in massima, poiché nelle more del procedimento disciplinare entrava in vigore il nuovo ordinamento professionale con il nuovo limite d’età, il CNF ha accolto il ricorso annullando la sanzione)".

Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Piacci), sentenza del 23 luglio 2015, n. 123

NOTA: In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Tinelli), sentenza del 18 luglio 2015, n. 112. Con particolar riferimento alla successione nel tempo delle norme del codice deontologico, cfr. Corte di Cassazione (pres. Rovelli, rel. Cappabianca), SS.UU, sentenza n. 3023 del 9 febbraio 2015,.

venerdì, maggio 06, 2016

Il prezzo del prestigio: € 1.500.000,00 l’anno per il Consiglio Nazionale Forense.

Con 24000 baci, felici scorrono le ore” cantava Celentano quand’ero più giovane. Oggi, mi chiedo come scorrano le ore del presidente nazionale degli avvocati con 90.000 euro!
Mi è sempre stato insegnato, e personalmente ci credo profondamente, che le cariche istituzionali rappresentative della categoria forense sono caratterizzate da una funzione onorifica e spirito di servizio che viene ricambiato col prestigio che l’avvocato ricava dalla stima dei colleghi.
Oggi scopro che il prestigio ha un prezzo tant’è che il Consiglio Nazionale Forese con una delibera dell’11 dicembre 2015 ha approvato un regolamento per le spese ed i gettoni di presenza per i Consiglieri e precisamente: – € 90.000,00 per il Presidente; – € 70.000,00 per il Segretario; – € 50.000,00 per i Vice Presidenti (che sono 2, per non farci mancare niente) e per il Tesoriere; – € 650,00 per ogni Consigliere (e sono 28) fino ad un massimo di 38 riunioni.
Questo solo per i gettoni di presenza; per ciò che riguarda il rimborso spese sono stati fissati i seguenti tetti: a) aereo più taxi per raggiungere Roma; b) pernottamento il giorno prima e la notte successiva alla riunione, in albergo a 4-5 stelle (parbleu!!); c) spese di vitto in € 120,00 giornalieri (ma cosa mangiano questi?).
Il tutto, contato a spanne, costa circa un milione e mezzo l’anno a noi avvocati che paghiamo con le quote annuali. Sono sconcertato!
Mi sconcerta il fatto che un consesso rappresentativo degli avvocati deliberi prebende per se stesso senza chiedere parere o consiglio a chi li ha votati per ricoprire tali incarichi e soprattutto per il presente e non per il futuro (che forse sarebbe stato anche accettabile).
Mi sconcerta il fatto che, anziché pensare ai problemi della professione e delle limitazioni di libertà che l’avvocatura sta subendo negli ultimi tempi, si preoccupino del loro benessere.
Mi sconcerta il fatto che, anziché considerare il numero purtroppo crescente di avvocati che vivono sotto la soglia di povertà, con particolare riguardo ai giovani che faticano a guadagnare € 1.000,00 al mese, si occupino dei loro compensi!
Nessuno ha loro ordinato o imposto di entrare a far parte del Consiglio Nazionale: si sono volontariamente candidati per ricoprire un prestigioso incarico.
Mi intristisce scoprire oggi che il prestigio non è più equivalente al rispetto per le proprie qualità ma è equivalente ad una somma di denaro: così si confonde il prestigio con il prestigiatore!
Come sono lontani i tempi in cui Domenico Sorrentino, già Presidente dell’Ordine Torinese, a chi gli chiedeva come mai non si facesse rimborsare le spese per i pasti consumati nel contesto di trasferte istituzionali rispondeva: “ma perché a Torino non avrei mangiato?”
Ho conosciuto numerosi Colleghi che per anni hanno svolto prestigiosi incarichi in seno all’Avvocatura in modo assolutamente gratuito, per spirito di servizio, sacrificando lavoro e famiglia, ed a loro rinnovo la mia stima e gratitudine.
Personalmente mi candido sin da ora a ricoprire gratuitamente il compito di Consigliere nazionale ma, forse poiché gratuitamente, si direbbe che non ho il prestigio necessario.
Ora capisco perché quando chiedevo a mio nonno: “Chi si crede di essere questo qui?” Lui seraficamente mi rispondeva: “L’aso c’as conoss nen a cred d’esse un caval” (L’asino che non si conosce crede di essere un cavallo).

di Tommaso Servetto

EVENTO FORMATIVO DEL 12 MAGGIO 2016.

EVENTO FORMATIVO DEL 13 MAGGIO 2016.

domenica, maggio 01, 2016

L’aumento dei termini di prescrizione è ingiusto e non risolve i problemi.

La prescrizione risponde ad una regola di civiltà e costituisce una garanzia essenziale per i cittadini. Non può essere superficialmente considerata, come spesso appare, il premio conseguito dai furbi, che si avvantaggiano dalla inefficienza e dalla durata del processo, sottraendosi alla condanna.
Non di rado costituisce il percorso di una lunga afflizione cui l`innocente è sottoposto, se si protrae una ingiusta incertezza.
Lasciando da parte queste, che possono essere valutazioni soggettive legate a stati d`animo, vi è un principio giuridico che impone termini ragionevoli per la prescrizione.
La pretesa punitiva dello Stato non può essere esercitata indefinitamente nel tempo, lasciando la persona, ogni persona, nella posizione non di innocente o colpevole, ma di “giudicabile”.
I termini della prescrizione, a partire da quando il reato è stato commesso, sono stabiliti in relazione alla sua gravità, quale è ordinariamente misurata dalla durata della pena che può essere inflitta. I tempi della prescrizione possono anche essere determinati per le singole fasi del processo.
Ci possono essere sospensioni e interruzioni del decorso della prescrizione. Ma alla fine è il tempo complessivo che conta, e gioca per valutare la ragionevole durata del processo.
La Convenzione europea dei diritti dell`uomo, per la cui violazione il nostro Stato più volte ha subito condanne dalla Corte di Strasburgo, stabilisce il diritto di ogni persona ad un`equa e pubblica udienza, entro un termine ragionevole, per stabilire la fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.
Si ha diritto ad una decisione definitiva, di innocenza o di colpevolezza.
La Costituzione si è accodata, stabilendo formalmente, con una legge costituzionale del 1999, il principio della ragionevole durata del processo, che si poteva ritenere implicitamente compreso nel diritto fondamentale di difendersi in giudizio, che la legge deve assicurare.
In base a questo principio ci si deve chiedere se sia ragionevole la durata di un processo che, sia pure per un reato particolarmente odioso, come abbiamo detto essere la corruzione, può portare alla assoluzione o alla condanna definitiva dopo oltre venti anni da quando il fatto è stato commesso.
Quando, inoltre, si giudicherebbe non un reato, ma la “storia” di un reato, mentre la pena perderebbe del tutto la finalità rieducativa, che la Costituzione impone, e che richiede una distanza temporale ragionevole, appunto, tra il compimento dell`azione che viene punita, la condanna e la espiazione della pena.
Chi manifesta riserve sull`aumento dei tempi della prescrizione si colloca nel campo di chi vuole indebolire la lotta alla criminalità ed alla corruzione. Nient`affatto.
Significa segnalare come sia illusorio risolvere il cattivo funzionamento dell`organizzazione giudiziaria, che determina un gran numero di processi estinti per prescrizione, spostando semplicemente l`asticella del tempo.
Sarebbe far pulizia mettendo la polvere sotto il tappeto.
Se si verifica empiricamente quali sono i tempi morti del processo, e quante volte singoli atti devono essere rinnovati per errati adempimenti non tempestivamente rilevati, ci si rende conto che le carenze organizzative determinano in larga misura la prescrizione e che le regole sostanziali e processuali non risolvono questo problema.
Cesare Mirabelli