mercoledì, luglio 24, 2019

La competenza del Gdp in materia di immissioni.

L'art. 7, co. terzo, n. 3 cpc attribuisce alla competenza del giudice di pace le controversie relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.
La competenza ex art. 7 cpc è tassativamente circoscritta alle cause tra proprietari e detentori di immobili ad uso abitativo, rivivendo, al di fuori di tali ipotesi, i criteri ordinari di competenza. Come, difatti, sottolineato in dottrina, la norma processuale non copre l'intero ambito applicativo dell'art. 844 c.c. e, in particolare non comprende le controversie relative ad immissioni provenienti da impianti industriali, agricoli o destinati ad uso commerciale, essendo devoluta al giudice di pace la cognizione delle controversie relative ai rapporti di vicinato (Cass. s.u. 21582/2011), con esclusione - quindi - delle liti che, data la complessità delle questioni, esigano un bilanciamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà (art. 844, comma secondo c.c.).
Se, dunque, sul piano oggettivo, è decisiva la provenienza delle immissioni dall'utilizzo, in tutte le sue potenziali esplicazioni, di immobili destinati ad abitazione civile, occorre tuttavia tener conto della natura delle attività concretamente svolta e della particolare fonte da cui promanano i disturbi.
Qualora l'immobile, seppure a prevalente destinazione abitativa, sia utilizzato anche per scopi diversi e le relative attività siano all’origine delle immissioni illecite, non deve conferirsi rilievo alla destinazione prevalente, né alla classificazione catastale del bene (come sostenuto nella memoria difensiva dei ricorrenti), ma alla fonte dei fenomeni denunciati, nel senso che se questi siano dedotti come effetto di attività non connesse all'utilizzo dell'immobile come abitazione civile da parte degli occupanti (proprietari o detentori), è esclusa l'applicazione dell'art. 7, comma terzo, n. 3 cpc.
Nel caso concreto, le immissioni di rumore derivavano dallo svolgimento di feste e ricevimenti con intrattenimento musicale negli spazi esterni della proprietà dei resistenti, concessi a terzi dietro pagamento di un corrispettivo per ciascun evento.
L'attività immissiva, denunciata esclusivamente come effetto di tali accadimenti, eccedeva, quindi, per finalità e modalità di uso, dall'ordinaria destinazione dell'immobile ad abitazione civile (benché i resistenti si limitassero a concedere la disponibilità degli spazi senza ingerirsi nella concreta organizzazione dei singoli eventi) e, di conseguenza, la lite non rientrava nella competenza del giudice di pace ai sensi dell'art. 7, n. 3 cpc.

Corte Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 19946/2019 Presidente: D'ASCOLA - Relatore: FORTUNATO - Data pubblicazione: 23/07/2019.

sabato, luglio 20, 2019

La valutazione della prova assunta, in sede di giudizio di legittimità.


Cass. Civile Sez. 6 - Ord. Num. 19492/2019 - Presidente: CURZIO - Relatore: LEONE - Data pubblicazione: 18/07/2019. 

“L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. ex multis: Cass. n. 19011/2017; Cass. Civ. n. 16056/2016)”.

giovedì, luglio 11, 2019

I caratteri del cd “errore revocatorio” (art. 395 cpc).

Cassazione Civile Sez. VI - Ord. Num. 18576/2019 - Presidente: FRASCA - Relatore: DE STEFANO - Data pubblicazione: 10/07/2019. 


Va premesso che (cfr. Cass. Sez. Unite 16/11/2016, n. 23306, ove ulteriori ed ampi richiami) l'errore revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all'accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell'ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli, all'esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l'errore deve, allora, apparire d’assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o - meno che mai - di indagini o procedimenti ermeneutici. Pertanto, l'errore revocatorio non può articolarsi nella deduzione d’un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (integrando tale inesatto apprezzamento, semmai, il detto vizio logico deducibile secondo il previgente testo dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 5).
Del resto, una valutazione implica di per sé sola una decisione e quindi una ponderazione o scelta tra più possibilità od alternative, tanto escludendo la configurabilità dell'errore revocatorio: l'errore di percezione deve invece riguardare un fatto, vale a dire un evento esterno al processo e che deve essere rappresentato e ricostruito all’interno di questo come elemento di una fattispecie da sussumere nel successivo giudizio di diritto; sicché l'errore che cade sugli atti e i documenti della causa non è rilevante in se stesso, ma solo nella misura in cui si risolve in un errore di percezione di un fatto.
Ora, l'art. 395 cod. proc. civ., n. 4 si premura di dare la definizione di errore "di fatto": questo ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
Il contrasto rilevante è quindi quello tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice; e, per di più, deve trattarsi di un contrasto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l'una e l'altra.
Ciò che rileva è quindi una radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, costituite l'una da quella risultante dalla sentenza del giudice e l'altra da quella che si ricava univocamente dagli atti e dai documenti di causa; pertanto, deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale o meramente percettivo, riferita a fatti univocamente ed incontestabilmente percepibili nella loro ontologica esistenza e quindi insuscettibili di diverso apprezzamento: e mai può allora rilevare, a questi fini, un errore che implichi un benché minimo margine di apprezzamento o di valutazione o di giudizio per la sussunzione del fatto.
La rappresentazione del fatto (o del complesso di fatti) materiale è - in altri termini - qualificabile come univoca quando è evidente, quando cioè non implica giudizio, sia pure elementare, inteso ad eliminare potenziali o effettive divergenze; mentre la supposizione deve comportare valutazione di causalità tra fatto presupposto e suo diretto accertamento da parte del giudice.
Inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicché non è configurabile l'errore revocatorio qualora l'asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell'apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice.

lunedì, luglio 01, 2019

Circa l’operatività della cd “prescrizione presuntiva”.

Cassazione Civile Sez. I - Ord. Num. 17595/2019 Presidente: GENOVESE - Relatore: VELLA - Data pubblicazione: 28/06/2019. 

L'eccezione di prescrizione presuntiva deve essere rigettata se chi la oppone ha comunque ammesso in giudizio che l'obbligazione non è stata estinta, e a tal fine vale qualsiasi contestazione della esistenza o dell'ammontare del credito, per cui alla luce della giurisprudenza di questa Corte: a) il debitore che neghi l’esistenza del credito oggetto della domanda ovvero eccepisca che il credito non sia sorto ammette, implicitamente, che l'obbligazione non è stata estinta, sicché va disattesa, ex art. 2959 c.c., l'eccezione di prescrizione presuntiva in quanto incompatibile (Cass. 2977/2016); b) in tema di prescrizione presuntiva, l'affermazione del debitore in ordine all'insussistenza della obbligazione di pagamento (nella specie, il compenso spettante ad un professionista per la sua opera) è inconciliabile con la proposizione della relativa eccezione e vale come ammissione della mancata estinzione (Cass. 26986/2013); 3) le deduzioni con le quali il debitore assume che il debito sia stato pagato o sia comunque estinto non rendono inopponibile l'eccezione di prescrizione presuntiva poiché, lungi dall'essere incompatibili con la presunta estinzione del debito per decorso del termine, sono, invero, adesive e confermative del contenuto sostanziale dell'eccezione stessa (Cass. 23751/2018, con riguardo alla incompatibilità dell'eccezione di prescrizione presuntiva con quella che negava il conferimento di incarico al professionista ricorrente e, dunque, la stessa costituzione del rapporto giuridico)”.
Vanno quindi ribaditi i seguenti principi di diritto:
«Il debitore che neghi l'esistenza del credito ovvero lo svolgimento delle prestazioni sulle quali si basa la relativa pretesa non può avvalersi dell'eccezione di prescrizione presuntiva, poiché tali difese sono incompatibili con la relativa ratio, fondata sulla presunzione che il debito sia stato pagato, una volta decorso il lasso di tempo predeterminato dal legislatore».
«Le prescrizioni presuntive, trovando ragione unicamente nei rapporti che si svolgono senza formalità, dove il pagamento suole avvenire senza dilazione né rilascio di quietanza, non operano per il credito che trae origine da un contratto stipulato in forma scritta, mentre riprendono la loro ordinaria operatività per la parte del credito derivante dall'esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel documento contrattuale».