mercoledì, settembre 26, 2018

Il vizio di legittimità di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 (omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti), dopo la novella del 2012.

Cassazione Civile Sez. I - Ord. num. 22786/2018 - Presidente: GENOVESE - Relatore: CAMPESE - Data pubblicazione: 25/09/2018- IURILLO c. FIRS ITALIANA DI ASSICURAZIONI (in lca). 

 “La nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 134 del 2012 (e qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata un decreto decisorio reso il 7 novembre 2013), ha avuto l'effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall'art. 132 cod. proc. civ., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per "mancanza della motivazione", ipotesi configurabile allorché la motivazione "manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione - ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum" (cfr. Cass. n. 20112 del 2009).
Merita, altresì, di essere ricordato che oggetto del vizio di cui al novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. è l'omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Costituisce, allora, un "fatto", agli effetti della citata norma, non una "questione" o un "punto", ma: a) un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un "fatto" costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); b) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); c) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); d) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).
Il "fatto" controverso il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere "decisivo", vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. 
Non costituiscono, viceversa, "fatti", il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il "vario insieme dei materiali di causa" (cfr. Cass. n. 21439 del 2015); d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della "domanda" in sede di gravame.

martedì, settembre 25, 2018

L’elemento psicologico nel reato d’abuso atti d’ufficio (art. 323 cp).

Cassazione Penale - Sez. F - Sent. num. 39699/2018 - Presidente: DI TOMASSI - Relatore: CATENA - Data Udienza: 02/08/2018. 

“Pacificamente la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha affermato come la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie di cui all'art. 323 cod. pen. (abuso atti d’ufficio), prescinda dall'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, sempre che tale valutazione non discenda in modo apodittico e parziale dal comportamento non iure dell'agente, ma risulti anche da ulteriori indici fattuali, concordemente dimostrativi dell'intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto, tra i quali assumono rilievo l'evidenza, la reiterazione e la gravità delle violazioni, la competenza dell'agente, i rapporti fra l'agente ed il soggetto favorito, l'intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge, fermo restando che l'intenzionalità del vantaggio ben può prescindere dalla volontà di favorire specificamente il privato interessato alla singola vicenda amministrativa. (Sez. 3, sentenza n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma ed altri; Sez. 6, sentenza n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia; Sez. 3, sentenza n. 35577 del 06/04/2016, Cella; Sez. 6, sentenza n. 36179 del 15/04/2014, Dragotta; Sez. 6, sentenza n. 21192 del 25/01/2013, Barla ed altri)”.

lunedì, settembre 17, 2018

Le spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore già esistente.

Corte Cassazione Civile Sez. VI - Ord. Num. 22157/2018 - Presidente: D'ASCOLA - Relatore: SCARPA - Data pubblicazione: 12/09/2018 - BUGLIONE ELENA/CONDOMINIO RAPPINI VIA TRIPOLI, 40 TERRACINA. 

“Il costante orientamento interpretativo di questa Corte ha più volte affermato (nella vigenza della disciplina, qui operante, antecedente alla riformulazione dell'art. 1124 c.c. introdotta dalla legge n. 220 del 2012, ove espressamente si contempla l'intervento di sostituzione degli ascensori) che, a differenza dell'installazione "ex novo" di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese vanno suddivise secondo l'art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino), quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore già esistente vanno ripartite ai sensi dell'art. 1124 c.c. (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713, non massimata; Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264).
Stante l'identità di ratio delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale ex art. 1124 c.c. e delle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell'ascensore già esistente, deve dirsi che, al pari delle scale, l'impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune (tant'è che, dopo la legge n. 220 del 2012, esso è espressamente elencato nell'art. 1117 n. 3, c.c.) anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell'ascensore, in rapporto ed in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne (arg. da Cass. Sez. 2, 20/04/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).
Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori può essere derogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce "di natura contrattuale"), o in una deliberazione dell'assemblea che venga approvata all'unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126)”.

venerdì, settembre 14, 2018

Il privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 5 codice civile.

“La previsione di cui al n. 5 dell'art. 2751 bis c.c., che persegue lo scopo di agevolare le cooperative di produzione e lavoro nella realizzazione dei crediti collegati prevalentemente alla prestazione di un'attività lavorativa diretta da parte dei soci, attribuisce il privilegio generale sui mobili a favore non di tutti i crediti delle società od enti cooperativi di produzione e di lavoro, ma soltanto — e sul punto la disposizione è insuscettibile di interpretazione analogica (Cass. 26 agosto 2005, n. 17396) — di quelli per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti (Cass. 27 marzo 1995, n. 3592)”. 

Cassazione Civile Sez. I - Ord. num. 22210/2018 - Presidente: DE CHIARA Relatore: FALABELLA - Data pubblicazione: 12/09/2018 - Fallimento Distribuzione Moderna c/ Sigma Soc. Coop.-

venerdì, settembre 07, 2018

Il cd “rito Fornero” è un giudizio unico a struttura bifasica.

Cassazione Civile Sez. Lavoro - Sent. num. 21720/2018 - Presidente: NOBILE Relatore: PATTI - Data pubblicazione: 06/09/2018- 


"Non sussiste la prospettata formazione di un giudicato, che, come noto, presuppone un atteggiamento di acquiescenza a fronte della possibilità di esperire un rimedio impugnatorio avverso un provvedimento giudiziale idoneo all'acquisizione di un tale carattere (Cass. s.u. 26 gennaio 2011, n. 1764; Cass. 23 settembre 2016, n. 18693; Cass. 27 febbraio 2017, n. 4908).
Ma una tale idoneità non ha l'ordinanza conclusiva della fase sommaria del giudizio di primo grado, salvo che in caso di omessa opposizione (Cass. s.u. 18 settembre 2014, n. 19674), posto che nel cd. "rito Fornero" il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica: con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore ed una seconda, a cognizione piena, che non costituisce un grado diverso (Cass. 17 febbraio 2015, n. 3136; Cass. 3 marzo 2016, n. 4223) rispetto al giudizio a cognizione sommaria, che non è una “revisio prioris instantiae”, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente (Cass. 21 novembre 2017, n. 27655)".

lunedì, settembre 03, 2018

Protezione internazionale: l’appello va proposto con atto di citazione.

Corte di Cassazione Civile Sez. VI - Ord. num. 21527/2018 - Presidente: SCALDAFERRI - Relatore: ACIERNO - Data pubblicazione: 31/08/2018. 

 “Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9, quale sostituito dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27, comma 1, lett. f), (entrato in vigore il 30/9/2015) dispone che: “Entro sei mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con ordinanza che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. In caso di rigetto, la Corte d'appello decide sulla impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Entro lo stesso termine, la Corte di Cassazione decide sulla impugnazione del provvedimento di rigetto pronunciato dalla Corte d'appello”.
Ora, il mero riferimento al “ricorso” in appello nella norma indicata, che è volta a regolare i tempi del giudizio in oggetto e non specificamente la forma di introduzione del giudizio di secondo grado, non vale a modificare l’orientamento formatosi sulla questione, secondo il quale l’appello, proposto ex art. 702 quater c.p.c., avverso la decisione del tribunale di rigetto della domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale, deve essere introdotto con citazione e non con ricorso, sicché la tempestività del gravame va verificata calcolandone il rispetto del termine di trenta giorni alla data di notifica dell’atto introduttivo alla parte appellata (Cass. n. 10972/2018; n. 9360/2018; n. 3114/2018; n. 23108/2017; n. 17420/2017, rv. 644940-01; n. 26326/2014).
E ciò in quanto, al fine di ritenere la tempestività del gravame, occorre fare riferimento alla modalità di introduzione del giudizio di appello secondo il rito sommano di cognizione”.