sabato, maggio 23, 2020

Il ricorso per cassazione “farcito” è inammissibile per difetto di autosufficienza.




Cass. Civile Sez. 2 - Ord. Num. 9382/2020 - Presidente: MANNA -Relatore: GRASSO - Data pubblicazione: 21/05/2020.
“Questa Corte (Sez. 5, n. 8245, 04/04/2018), consolidando principio già numerose volte ribadito (cfr., ex multis, Cass. n. 3385/016, 22185/015, 18363/015) ha precisato che la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi assemblati o farciti o sandwich implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all'interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti.
Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l'intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell'informazione, ma il sostanziale «mascheramento» dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l'onere di provvedere all'indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno osservato che il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di causa, previsto dall'art. 366 n. 3 cod. proc. civ., è preordinato allo scopo di agevolare la comprensione dell'oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (sent. n. 16628 del 2009). Si è inoltre rilevato (ord. n. 19255 del 2010) che l'assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un'attività di narrazione del difensore che, in ragione dell'espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, postula un'esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo.
E' stato, altresì, precisato (Cass. n. 10244 de! 2013) che la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all'art. 366 n. 3 cod. proc, civ., in quanto costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un'attività, consistente nella lettura integrale di atti e documenti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che  effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore.
Alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, la tecnica espositiva adottata nel ricorso in esame appare inidonea ad integrare il requisito dell'art. 366 n. 3 cod. proc. civ. poiché onera la Corte, per percepire il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale, di procedere alla lettura degli atti e documenti riprodotti, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, difettando quella sintesi funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata in cui si sostanzia il principio di autosufficienza del ricorso. Nella specie, non può peraltro trovare applicazione il principio espresso da questa Corte, in base al quale la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un'esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sicché è sanzionabile con l’inammissibilità”.

mercoledì, maggio 20, 2020

La “mala gestio” per omessa chiamata in causa di tutti i danneggiati.





Cass. Civile Sez. 3 - Sent. Num. 9196/2020 - Presidente: ARMANO -Relatore: SESTINI - Data pubblicazione: 19/05/2020.

“In relazione al concorso dei danneggiati in caso d’incapienza del massimale, disciplinato dall'art. 27 I. n. 990/1969 (applicabile nel caso, ratione temporis), la giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nell'individuazione di un onere dell'assicuratore di attivarsi per l'identificazione di tutti i danneggiati e per la loro congiunta chiamata in causa ai fini della liquidazione del risarcimento nella misura proporzionalmente ridotta (cfr. Cass. n. n. 1831/1988, Cass. n. 13335/2004, Cass. n. 9510/2007, Cass. n. 4765/2016 e Cass. n. 13394/2018).
Con la conseguenza che l'assicuratore deve «imputare a propria negligenza il non avere provveduto -o richiesto che si provvedesse in sede giudiziale- alla congiunta disamina delle pretese risarcitone dei danneggiati per la riduzione proporzionale dei correlativi indennizzi» (Cass. n. 9510/2007 e Cass. n. 4765/2016) e che, «ove ciò non abbia fatto, non può opporre ai danneggiati non risarciti l'incapienza del massimale, ma deve rispondere fino alla concorrenza dell'ammontare del medesimo nei confronti di ciascun danneggiato» (Cass. n. 13394/2018).
La medesima giurisprudenza di legittimità ha precisato che «resta peraltro salva la facoltà dell'assicuratore che invochi la riduzione dell'indennizzo di provare, nel giudizio promosso dal danneggiato non ancora risarcito, che quanto aveva pagato era effettivamente dovuto siccome corrispondente al danno subito dal danneggiato risarcito.  Se tale prova abbia successo il suo debito verso il danneggiato non ancora risarcito sarà proporzionalmente ridotto nei limiti della quota di indennizzo che, nel rispetto del criterio della par condicio, sarebbe spettata al danneggiato precedentemente soddisfatto. E ciò per l'ovvia ragione che se, per un verso, l'inosservanza da parte dell'assicuratore della regola della par condicio creditorum non può ridondare in danno del danneggiato pretermesso, neppure è ammissibile che, in ragione della violazione di quella regola, questi consegua una somma superiore a quella che avrebbe percepito se la regola fosse stata rispettata» (Cass. n. 13335/2004; conforme Cass. n. 13394/2018).
In continuità con tali risalenti e condivisibili indirizzi, deve ritenersi corretta la conclusione della Corte di merito circa la sussistenza di un'ipotesi di mala gestio (impropria) a carico dell'assicuratrice per non avere provocato la chiamata in causa (ex art. 106 c.p.c.) di tutti i danneggiati nel giudizio promosso”.

sabato, maggio 16, 2020

La responsabilità ex art. 2051 cc del custode.




Cass. Civile Sez. 3 - Ord. Num. 8879/2020 - Presidente: TRAVAGLINO - Relatore: PELLECCHIA - Data pubblicazione: 13/05/2020

“Questa Corte (cfr. Cass. n. 2480/2018, Cass. n. 2481/2018, Cass. n. 2482/2018), all'esito di una ricognizione degli orientamenti nel tempo consolidatisi nella giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. (anche in rapporto a quella di cui all'art. 2043 c.c.), ha enunciato, tra gli altri, i seguenti principi di diritto:
a)     «l’art. 2051 cod. civ., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima»;
b)     «la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 cod. civ., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso»;
c)     «il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, ma anche dello stesso comportamento del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo  della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode».
Tuttavia, l’imprevedibilità è comunque di per sé un concetto relativo, necessariamente influenzato dalle condizioni della cosa, di più o meno intrinseca pericolosità in rapporto alle caratteristiche degli eventi in grado di modificare tali condizioni ed alla stessa interazione coi potenziali danneggiati".

sabato, maggio 09, 2020

Per il fatto lesivo unitario, non è consentita tutela giurisdizionale frazionata.





Cass. Civile Sez. 3 – Sent. Num. 8530/2020 - Presidente: FRASCA -Relatore: DE STEFANO -Data pubblicazione: 06/05/2020.

“Anche dopo il riconoscimento, a determinate condizioni, dell'ammissibilità di un frazionamento di crediti afferenti ad un unitario rapporto di durata, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo in tempi separati e distinti per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tanto integra una condotta che aggrava la posizione del danneggiante/debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario.
Né integra un interesse oggettivamente valutabile, idoneo a giustificare quel frazionamento e di per sé sola considerata, la prospettata maggiore speditezza del procedimento dinanzi ad uno anziché ad altro dei giudici aditi in ragione della competenza per valore sulle domande risultanti dal frazionamento, dinanzi all'aggravio di costi ed oneri della controparte e a detrimento della funzionalità del sistema giudiziario; mentre l'imposizione di presupposti processuali più gravosi per le azioni per una delle componenti del danno non giustifica, di per sé sola e soprattutto in caso di intervalli temporali modesti, l'attivazione separata della tutela giudiziaria”.

venerdì, maggio 08, 2020

La censura, in sede di legittimità, della liquidazione equitativa dei danni.




Cass. Civile Sez. 3 - Sent. Num. 8529/2020 Presidente: FRASCA - Relatore: DE STEFANO - Data pubblicazione: 06/05/2020.

“La liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. pura, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell'esercizio di un potere di carattere ampiamente discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento (Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. ord. 20/06/2019, n. 16595).
Pertanto, la censura in sede di legittimità di una valutazione equitativa del danno è ammessa in caso di omessa enunciazione dei criteri in motivazione, oppure di loro manifesta incongruità rispetto al caso concreto, oppure di radicale contraddittorietà, oppure di macroscopica contrarietà a dati di comune esperienza, ovvero ancora tali da condurre ad una quantificazione particolarmente ed evidentemente sproporzionata per eccesso o per difetto (Cass. ord. 25/05/2017, n. 13153; Cass. 08/11/2007, n. 23304)”.