sabato, giugno 13, 2020

L’impugnazione della delibera approvativa del bilancio condominiale.



Cass. Civ. – Sez. VI - ord. n. 10844/2020 – Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa – pubblicata l’08 giugno 2020.

"Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall'art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte  gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. II, T7 gennaio 1988, n. 731).
E' poi certo nell'interpretazione giurisprudenziale che, se ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea), senza neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, né rivelarsi contraria ai principi di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).
E’ altrettanto consolidato l'orientamento giurisprudenziale che precisa come, per la validità della delibera di approvazione del bilancio condominiale, non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall'amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell'entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l'incarico è stato eseguito e di stabilire se l'operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è denunciabile per cassazione alla stregua dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell'organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all'approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall'amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II, 7 febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747). E' pertanto valida la deliberazione assembleare con la quale, come nella specie, si proceda sinteticamente all'approvazione di una voce, o si indichi la somma complessivamente stanziata, atteso che i criteri di semplicità e snellezza che presidiano alle vicende deH'amministrazione condominiale consentono, senza concreti pregiudizi per la collettività dei comproprietari, finanche la possibilità di regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell'approvazione dei rendiconti. (Cass. II, 30 dicembre 1997, n. 13100; Cass. II, 31 marzo 2017, n. 8521; Cass. II, 13 ottobre 1999, n. 11526)".

martedì, giugno 02, 2020

Responsabilità oggettiva ex art. 2051 cc: la prevedibilità dell'evento interrompe il nesso causale.



 
Corte Cass. Civ. Sez. 6 – Ord. n. 100040/2020 – Presidente:  Frasca -Relatore: Cirillo – Pubblicata il 28 maggio 2020. 

“La costante giurisprudenza di questa Corte sull’art. 2051 cc, insegna che il danneggiato deve comunque dimostrare l’esistenza del fatto dannoso, il nesso di causalità e il danno, rimanendo a carico del custode l’obbligo di dimostrazione del caso fortuito (v., tra le altre, le ordinanze 22 dicembre 2017, n. 30775, 30 ottobre 2018, n. 27724, e 13 febbraio 2019, n. 4160).
Ciò premesso, giova ricordare che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
E stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, per cui la sentenza impugnata resiste alle censure proposte.
La pronuncia in esame, infatti, ha compiuto una valutazione complessiva delle prove ed ha ritenuto, come si è detto, che, se il conducente avesse rispettato il limite di velocità, avrebbe avuto la possibilità di arrestare la vettura in tempo utile, nonostante la presenza dell’avvallamento.
Ne deriva, in sostanza, che l’eccesso di velocità del conducente è stato ritenuto dalla Corte d’appello, con un accertamento in fatto non suscettibile di modifica o riesame in questa sede, come una causa successiva di per sé sola sufficiente a determinare l’evento; il che equivale a dire che l’eccesso di velocità ha interrotto il nesso di causalità tra l’avvallamento stradale e l’incidente (v. anche le ordinanze 30 ottobre 2018, n. 27724, e 29 gennaio 2019, n. 2345).
Va poi aggiunto, ad abundantiam, che non risulta sia stato in alcun modo prospettato, in sede di merito, che l’avvallamento in questione fosse presente già da un tempo sufficiente a rendere ragionevole il doveroso intervento di manutenzione da parte del custode”.