martedì, giugno 02, 2020

Responsabilità oggettiva ex art. 2051 cc: la prevedibilità dell'evento interrompe il nesso causale.



 
Corte Cass. Civ. Sez. 6 – Ord. n. 100040/2020 – Presidente:  Frasca -Relatore: Cirillo – Pubblicata il 28 maggio 2020. 

“La costante giurisprudenza di questa Corte sull’art. 2051 cc, insegna che il danneggiato deve comunque dimostrare l’esistenza del fatto dannoso, il nesso di causalità e il danno, rimanendo a carico del custode l’obbligo di dimostrazione del caso fortuito (v., tra le altre, le ordinanze 22 dicembre 2017, n. 30775, 30 ottobre 2018, n. 27724, e 13 febbraio 2019, n. 4160).
Ciò premesso, giova ricordare che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
E stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, per cui la sentenza impugnata resiste alle censure proposte.
La pronuncia in esame, infatti, ha compiuto una valutazione complessiva delle prove ed ha ritenuto, come si è detto, che, se il conducente avesse rispettato il limite di velocità, avrebbe avuto la possibilità di arrestare la vettura in tempo utile, nonostante la presenza dell’avvallamento.
Ne deriva, in sostanza, che l’eccesso di velocità del conducente è stato ritenuto dalla Corte d’appello, con un accertamento in fatto non suscettibile di modifica o riesame in questa sede, come una causa successiva di per sé sola sufficiente a determinare l’evento; il che equivale a dire che l’eccesso di velocità ha interrotto il nesso di causalità tra l’avvallamento stradale e l’incidente (v. anche le ordinanze 30 ottobre 2018, n. 27724, e 29 gennaio 2019, n. 2345).
Va poi aggiunto, ad abundantiam, che non risulta sia stato in alcun modo prospettato, in sede di merito, che l’avvallamento in questione fosse presente già da un tempo sufficiente a rendere ragionevole il doveroso intervento di manutenzione da parte del custode”.

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