sabato, ottobre 17, 2020

Il vincolo di destinazione impresso alle aree destinate a parcheggio dalla “legge ponte”.

Cass. Civ. II Sezione -  ordinanza n.  21859/2020 del 09 ottobre 2020 – Presidente: Manna – Relatore: Scarpa.

 “Il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall’art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, in base al testo introdotto dall'art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, norma di per sé imperativa, non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla medesima norma imperativa. 

Tale vincolo si traduce in una limitazione legale della proprietà, che può essere fatta valere, con l'assolutezza tipica dei diritti reali, nei confronti dei terzi che ne contestino l'esistenza e l'efficacia. La normativa urbanistica, dettata dall'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, si limita, tuttavia, a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, una misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio da destinare obbligatoriamente a parcheggi, pari ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruito, secondo i parametri applicabili per l'epoca dell'edificazione (parametri nella specie modificati dall'art. 2, legge n. 122 del 1989). 

Ai fini del rispetto del vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dall'art. 41 sexies citato, il rapporto tra la superficie delle aree destinate a parcheggio e la volumetria del fabbricato, così come richiesto dalla legge, va dunque effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della concessione edilizia (Cass. 11 febbraio 2009, n. 3393). 

L'art. 41 sexies della Legge urbanistica opera, pertanto, come norma di relazione nei rapporti privatistici e come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la P.A., la quale non può autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, costituendo l'osservanza della norma condizione di legittimità della licenza (o concessione) di costruzione, e alla quale esclusivamente spetta l'accertamento della conformità degli spazi alla misura proporzionale stabilita dalla legge e della loro idoneità ad assicurare concretamente la prevista destinazione. 

Sempre questa Corte ha affermato come gli spazi che debbono essere riservati a parcheggio ex art. 41 sexies possono essere ubicati indifferentemente nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, trattandosi di modalità entrambe idonee a soddisfare  l'esigenza, costituente la ratio della norma, di deflazione della domanda di spazi per parcheggio nelle aree destinate alla pubblica circolazione, non essendo, peraltro, consentito al giudice di sindacare le scelte compiute in proposito dalla P.A. (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3961). 

In ogni caso, il vincolo di destinazione impresso alle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, di cui all'art. 41 sexies, legge n. 1150 del 1942, non impedisce che il proprietario dell'area possa riservare a sé, o trasferire a terzi, il diritto di proprietà sull'intera area, o su parti di essa, fermo restando il succitato diritto d'uso da parte dei proprietari delle unità immobiliari site nel fabbricato nei limiti delle indicate proporzioni di cubatura, mentre le aree eccedenti detta misura rimangono nella libera disponibilità del costruttore - venditore (Cass. 9 novembre 2001, n. 13857; Cass. 24 novembre 2003, n. 17882; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1221; Cass. 27 dicembre 2011, n. 28950; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1664; Cass. 8 marzo 2016, n. 8220; Cass. 8 marzo 2017, n. 5831; Cass. 25 settembre 2018, n. 22709)”

domenica, ottobre 11, 2020

La cancellazione dell’avvocato dall’albo (anche se volontaria), determina automaticamente l’interruzione del processo.

 

Cass. Civ. Sez. VI-3 –  Ord. n. 21359/2020 del  06/10/2020 – Presidente: De Stefano – Relatore: Cricenti.

La questione, controversa in passato, ha trovato una soluzione nella decisione delle Sezioni Unite n. 3702/2017 secondo cui: “un'interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 301, co. 1, cpc porta ad includere la cancellazione volontaria suddetta tra le cause di interruzione del processo, con la conseguenza che il termine di impugnazione non riprende a decorrere fino al relativo suo venir meno o fino alla sostituzione del menzionato difensore”.

Precisano le Sezioni unite che non rileva la causa della cancellazione: “quanto all'asserita inapplicabilità dell'art. 301, comma 1, cpc, si può obiettare che la norma può essere intesa come disposizione che distingue le ipotesi non già in relazione alle cause del venir meno dello ius postulandi (se connesse o non al loro verificarsi entro la sfera di dominio del difensore), ma alla perdita dello status di avvocato e procuratore legalmente esercente, non importa per quale causa (che sia volontaria o non lo sia)”(Cass. Sez. Un. n. 3702/2017).

Ciò detto, e posta l’equiparazione della cancellazione volontaria alle altre cause di interruzione, è altresì regola quella per cui la causa interruttiva “determina automaticamente l'interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata; ove, tuttavia, il processo sia irritualmente proseguito, nonostante il verificarsi dell'evento morte, la causa interruttiva può essere dedotta e provata in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 372 cpc, mediante la produzione dei documenti necessari, ma solo dalla parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l'interruzione, non potendo essere rilevata d'ufficio dal giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza”(Cass. n. 1574/2020).

lunedì, ottobre 05, 2020

La determinazione in sede giudiziale del compenso dell’avvocato.


Cass. Civ. Sez. II – ord.  dell’11/sett./2020  n. 18492    – Presidente: Cosentino – Relatore: Dongiacomo.

“L'art. 5, comma 2, prima parte, del d.m. n. 55 del 2014, applicabile ratione temporis, prevede, infatti, che, nella liquidazione dei compensi "a carico del cliente", si ha riguardo "al valore corrispondente all'entità della domanda" mentre, a norma dell'art. 5, comma 1, del d.m. n. 55 cit., solo nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, si ha di norma riguardo, nei giudizi di pagamento di somme di denaro, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata.

Il tribunale, pertanto, lì dove ha ritenuto che, ai fini della liquidazione del compenso spettante all'avvocato nei confronti del proprio cliente, occorre tener conto, trattandosi di giudizio per il pagamento di somme, della somma attribuita alla parte vincitrice dalla sentenza che ha poi definito il giudizio, piuttosto che a quella domandata, ha, evidentemente, violato la predetta disposizione normativa.

Tale principio, peraltro, non esclude che, come si desume dalla seconda parte dello stesso comma 2 dell'art. 5, oltre che dalla prima parte del successivo comma 3, che il giudice debba verificare se la somma domandata sia manifestamente diversa rispetto al "valore effettivo della controversia", così come determinato anche in ragione dell'entità economica dell'interesse sostanziale perseguito dal cliente.

Nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 18507 del 2018; Cass. n. 1805 del 2012; Cass. n. 13229 del 2010), in effetti, si è affermato e consolidato il principio secondo il quale, nei rapporti tra avvocato e cliente, il giudice, ove ravvisi una manifesta sproporzione tra il formale petitum e l'effettivo valore della controversia, qual è desumibile dai sostanziali interessi in contrasto, gode di una generale facoltà discrezionale di adeguare la misura dell'onorario all'effettiva importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia (Cass. n. 18507 del 2018; Cass. n. 1805 del 2012).

Nel caso della liquidazione degli onorari a carico del cliente, quindi, l'indagine, che di volta in volta il giudice di merito deve compiere, è quella di verificare l'attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l'importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all'effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata, in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita poiché, in quest'ultimo caso, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata (Cass. n. 1805 del 2012; Cass. Cass. n. 18507 del 2018).