sabato, maggio 31, 2014

Deontologia: vietata la ritenzione dei documenti in caso di mancato pagamento delle spettanze.

Ai sensi degli artt. 2235 c.c., 42 Codice Deontologico (ora: 33 ncdf), 66 RDL n. 1578/1933, l’avvocato che ne sia richiesto deve restituire senza ritardo gli atti e i documenti ricevuti in originale o copia dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico, non potendo subordinarne la consegna al pagamento delle proprie spettanze.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Florio), sentenza del 30 dicembre 2013, n. 223

venerdì, maggio 30, 2014

Giustizia: Mario Barbuto nuovo capo del Dipartimento dell'Organizzazione giudiziaria (DOG).

30 maggio 2014 - Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha nominato Mario Barbuto nuovo capo del Dipartimento dell'Organizzazione giudiziaria.
Presidente della Corte d'Appello di Torino dal 2010, Barbuto durante la sua carriera svolge funzioni di pretore prima, di giudice successivamente, sia nel settore civile sia in quello penale.
E' stato presidente della II Corte d'Assise e dal 2001 al 2009 ha rivestito l'incarico di presidente del Tribunale di Torino.

giovedì, maggio 29, 2014

Orlando: entro giugno istituiremo tribunali specializzati per imprese e diritto di famiglia, potenzieremo l’organico anche con concorsi.

Ministro Orlando, entriamo subito nel merito di una delle questioni più rilevanti e complesse del nostro Paese: la riforma della giustizia. Una riforma più volte annunciata, una giustizia più volte ritoccata, ma seguendo ogni volta percorsi parziali, parcellizzati. 
Quando in Italia si parla di riforma della giustizia si pensa spesso al tema della riforma del sistema penale. Anche perché l’impatto mediatico è più forte.
In passato è stato così, e le ragioni sono a tutti note. Oggi, invece, dobbiamo concentrarci di più sull’analisi dei grandi assi strutturali della giustizia italiana sui quali innestare un rigoroso progetto di riforma.
Lei è stato per qualche tempo responsabile Giustizia del Partito democratico e oggi è ministro della Giustizia. Si tratta di questioni che conosce bene, supponiamo per averle studiate e affrontate in miriadi di incontri con tanti operatori della giustizia. 
I limiti della giustizia civile hanno un impatto devastante sul sistema economico e sulla società nel nostro Paese. Si calcola che la perdita economica per la lentezza della giustizia civile è pari a circa l’uno per cento del Prodotto interno lordo.
La media per la soluzione dei contenziosi civili è di circa 10 anni. Una cifra e un tempo indegni per una nazione civile. E soprattutto, questi limiti consentono a soggetti criminali di insinuarsi nei varchi lasciati aperti dalle lentezze strutturali dei nostri tribunali civili, e di assumere un ruolo di primo piano nelle transazioni economiche tra privati.
Sul piano dei comportamenti sociali, infine, se una coppia intende consensualmente separarsi e accedere al divorzio, perché non consentirle di farlo velocemente e senza costi, se di mezzo non ci sono figli minorenni?
Come vede, la riforma della giustizia civile in Italia assume anche un valore di civiltà, e impedisce l’infiltrazione di meccanismi criminali.
Scendiamo più nei particolari della riforma del sistema civile. Quali gli assi portanti? 
Le dico subito che a me piacerebbe essere ricordato come quel ministro della Giustizia che ha dato soluzione alle lacune e ai vuoti di organico nell’amministrazione giudiziaria concreta e quotidiana. L’amministrazione giudiziaria ha bisogno al più presto di circa ottomila persone da introdurre nelle figure professionali tipiche della giustizia, come cancellieri, assistenti giudiziari e operatori giudiziari. Stiamo pensando di mettere alcuni posti a concorso.
Per gli altri pensiamo di utilizzare il meccanismo della mobilità, introducendo personale proveniente da altri ministeri. Naturalmente proseguiremo sulla via già tracciata del perfezionamento del processo civile informatizzato.
L’irrobustimento burocratico dell’amministrazione sarà una delle chiavi per la riforma del sistema giudiziario civile. Cinque milioni di cause civili ancora pendenti pongono davvero una grande domanda di giustizia e, appunto, richiedono soluzioni strutturali.
Non solo burocrazia nella sua riforma. Giusto? 
Nel nostro Paese è giunto il momento di ripensare all’offerta di giustizia in modo più aperto. Penso, ad esempio, a un tema già risolto a livello europeo, l’ istituzione di un tribunale per le imprese, che risolva in tempi rapidi il contenzioso civile tra aziende, soprattutto in tema di crediti e di risarcimenti. E penso anche ad un tribunale delle famiglie, che sul modello dei tribunali minorili, sappia risolvere, anche con l’aiuto di esperti, i complessi nodi che stringono migliaia di coppie, regolari e di fatto. Insomma, abbiamo bisogno di due tribunali che siano in grado di accelerare i processi civili di natura economica e quelli sociali, di natura famigliare.
Si tratta dei processi che maggiormente intasano i tribunali. Dunque, rivoluzionare significa specializzare i giudici, con l’istituzione di due tribunali ad hoc; rafforzare, e di tanto, l’organico dell’amministrazione giudiziaria; e infine, me lo lasci dire, impegnarsi per rendere sempre più umane le condizioni dei carcerati.
Su quest’ultimo fronte, un percorso è stato avviato da chi mi ha preceduto. Ma molto ancora resta da fare, sia in termini di accesso alle pene alternative, sia in termini di edilizia carceraria. È un impegno che assume la stessa priorità della strutturale riforma del sistema giudiziario civile.

di Pino Salerno

fonte ilVelino/AGV NEWS Roma

martedì, maggio 27, 2014

Avvocatura al bivio.

L’avvocatura è di fronte ad un bivio. Tra poco si terrà il XXXII Congresso Nazionale Forense, (Venezia, Teatro “La Fenice”, 9/11 ottobre) con il titolo “Oltre il mercato, la nuova avvocatura per la società del cambiamento”.
Così vedremo se si passerà dal titolo ai fatti. All’ultimo congresso intervenni chiedendo di (ri)partire dall’autocritica. Parola sconosciuta tra le toghe.
I preamboli non sono incoraggianti. In queste settimane si sta consumando un aspro conflitto tra l’Ordine di Roma (il più importante d’Italia) ed il Consiglio Nazionale Forense, che ha chiesto l’intervento della Procura di Roma, del Ministero della Giustizia e dell’Ordine di Perugia al cospetto di una presunta delibera illegittima ed illecita del consiglio romano. Delibera forse solo inopportuna e non giuridicamente rilevante.
Occorre osservare come il neo Ordine romano, in persona del suo presidente avv. Mauro Vaglio, si sia fortemente connotato per una politica di “rottura”: contrastando il Regolamento C.N.F. sulle specializzazioni, poi dichiarato nullo dal Tar Roma; avversando la proposta C.N.F. di riforma dell’Ordinamento professionale; denunciando la mancanza di effettiva rappresentatività del C.N.F. perché non eletto direttamente dalla base con criterio proporzionale al numero degli iscritti; intervenendo (a differenza del C.N.F) nel ricorso contro la mediazione obbligatoria, così ottenendo la sua dichiarazione di incostituzionalità dalla Corte Costituzionale; introducendo la c.d. trasparenza amministrativa col rendere pubbliche tutte le spese effettuate e al contempo contestando al C.N.F. di non aver fatto altrettanto (a fronte di 8,6 milioni di euro di costi risultanti dal consuntivo); contestando al C.N.F. (prima dell’abolizione delle tariffe forensi) che le vecchie tariffe erano rimaste ferme al 2004 nonostante le stesse avrebbero dovuto essere adeguate al costo della vita ogni due anni su iniziativa del CNF.
Nell’ultimo periodo abbiamo così assistito ad una forte contrapposizione dell’Ordine più importante, dunque dell’avvocatura istituzionale locale più forte, all’avvocatura istituzionale nazionale più importante. Una contrapposizione politica e sostanziale, tale da opporre una diversa visione dell’avvocatura.
Lo scontro ora si è spostato sul versante amministrativo e giurisdizionale (penale) e ciò può arrecare un vulnus all’intera avvocatura. Se difatti il contenzioso verte sul modus operandi e sulla linea politica da tracciare per i prossimi anni, è bene che tale conflitto si viva in seno al Congresso di Venezia. Non altrove.
Lo pretende un’avvocatura composta da 225.000 avvocati (troppi), in balia di un mercato oramai condizionato dalla lobby di Confindustria e ben ossequiata dal legislatore.
Un’avvocatura che ha bisogno di recuperare prestigio, formazione, cultura, di investire in modernità, di affrontare le sfide però senza svendere la dignità e la delicatissima funzione costituzionale che ricopre.
Un’avvocatura che dovrà necessariamente rinnovare la propria governance, fondandola su principi etici ineludibili: trasparenza, limite di mandato, divieto di conflitto di interessi, divieto di abuso (economico) del potere inerente la carica.
Ed in tale delicato percorso dovremo essere tutti protagonisti e tutti responsabili. Dagli iscritti agli Ordini, dalle associazioni all’O.U.A., dal C.N.F. a Cassa Forense.
Perché un’avvocatura migliore è necessaria per tutelare al meglio i diritti dei cittadini. Chi si oppone legittimamente al sistema non può essere demolito per vie traverse.
Al riguardo chiuderò proprio con un episodio rappresentativo. Tempo fa feci due esposti contro un avvocato per fatti che ritengo gravi e documentati. L’Ordine piemontese mi diniega l’accesso alla sua memoria difensiva, per me fondamentale.
Mi vedo costretto ad impugnare il diniego. Il Tar Piemonte condanna l’Ordine alla ostensione e in camera di consiglio si costituisce l’incolpato esibendo l’archiviazione dell’Ordine, solo a lui nota e fondata su fatti errati.
Nello stesso modo si comporta costui in un processo civile contro di lui, esibendo anche in tal caso una tempestiva archiviazione, nota sempre e solo a lui. L’Ordine esibisce poi la sua memoria difensiva all’ultimo giorno utile, oramai inutile per il sottoscritto.
Si noti come subito dopo l’incolpato verrà condannato dal tribunale di Torino per avere commesso l’illecito per il quale ho chiesto anche l’intervento disciplinare.
Indi presento al Ministero della Giustizia un esposto contro l’Ordine (chiedendone anche il commissariamento) per avere violato il principio che sorregge la potestà punitiva di diritto pubblico nell’interesse della collettività e per avere così esercitato il potere disciplinare esclusivamente a tutela del proprio iscritto.
Senonché ricevo una comunicazione da parte del mio Ordine, chiamato elegantemente dall’Ordine piemontese, per il quale chiedo l’intervento ministeriale, a verificare la mia condotta disciplinare nei loro confronti!
Bizzarro questo Paese dove si confondono sempre i colpevoli con i denuncianti. Uno Stivale capovolto.

di Marcello Adriano Mazzola

Tratto da "Il Fatto Quotidiano" del 27 maggio 2014

Processo telematico: si lavora ad un Protocollo uniforme per tutti i tribunali.

Roma 26.5.2014 - Semplificare e fare in modo che le regole procedimentali si adeguino alla giustizia “telematica” in modo da mantenere invariato lo standard di tutela dei diritti della difesa e aumentare l’efficienza della risposta del sistema.
Con questo spirito il CNF ha avanzato una serie di proposte- da attuare in via normativa ma anche-in via d’urgenza- tramite l’adozione di un Protocollo uniforme sul territorio nazionale, per rendere garantito il passaggio al digitale (dal 30 giugno diventerà obbligatorio il deposito degli atti del processo civile).
Interventi che vanno dal definire il momento dell’avvenuto deposito dell’atto processuale e quello nel quale esso deve essere reso visibile anche alla controparte; o al riconoscere agli avvocati il potere di autenticazione degli atti “informatizzati” e di attestazione di conformità agli originali; e ancora stabilire anche in via tecnica cosa accade se l’atto supera i 30 megabyte.
Dalla carta al bit, la Giustizia civile cerca il riscatto dell’efficienza e l’Avvocatura ha già accettato la sfida.
Gli organismi di rappresentanza istituzionale, CNF e Cassa forense, hanno già messo in campo risorse, progetti concreti e proposte per accompagnare gli avvocati nel passaggio al digitale. Il punto è stato fatto sabato a Roma, nel corso del convegno I Fori fanno Rete, organizzato da CNF, Cassa forense e FIIF ( la fondazione del CNF incaricata di seguire il progetto PCT). All’incontro sono intervenuti, tra gli altri, anche i rappresentanti del Ministero della Giustizia (Daniela Intravaia, direttore generale dei servizi informativi e Massimo Orlando, magistrato dell’ufficio legislativo), i rappresentanti della Corte di Cassazione e dell’Avvocatura dello stato.
Tutti d’accordo nell’evidenziare che la “rivoluzione digitale” nella giustizia è innanzitutto un fatto di “cultura e di “conoscenza” dal quale si aspettano vantaggio in termini di efficienza di tutti il sistema. Tutti d’accordo, ancora, sul fatto che occorre superare- con il confronto tra i vari protagonisti e le sinergie fattive- le resistenza psicologiche, strutturali, organizzative che dovessero verificarsi.
E’ un dato emerso nel convegno che nei 16 tribunali nei quali valgono Protocolli stipulati su base volontaria il sistema funziona.
 “L’informatizzazione potrà colmare il gap tra alto livello del nostro sistema giuridico e l’inadeguatezza del sistema organizzativo di amministrazione della giustizia” ha evidenziato il presidente del CNF Guido Alpa.
Il CNF, anche con il supporto degli avvocati del gruppo FIIF (la fondazione coordinata da Lucio Del Paggio), hanno predisposto diversi documenti- anche video- divulgativi. Del Paggio esprime soddisfazione per la riuscita dell’evento.
“Al convegno si sono iscritti 140 avvocati; e in tanti di più hanno seguito i lavori in streaming, anche presso gli Ordini forensi. Il dibattito con i referenti informatici dei COA è stato vivace e tutti hanno espresso apprezzamento per l’impegno di CNF e FIIF”, ha dichiarato Del Paggio.
Con la Cassa forense è stato siglato l’accordo per dotare gli avvocati degli strumenti necessari al deposito telematico.
Daniela Intravaia ha evidenziato che solo l’1% dei tribunali non è pronto, e che il ministero sta lavorando a colmare questo gap.
 Il tavolo tecnico permanente sul PCT presso il Ministero della Giustizia, al quale partecipa il CNF, tornerà a riunirsi il 27 maggio.

(Consiglio Nazionale Forense, comunicato stampa 26 maggio 2014)

domenica, maggio 25, 2014

L'AFORISMA.

Deontologia forense: l’assunzione di incarichi contro ex-clienti.

L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e, in ogni caso, non può utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.
 (Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare dell’avvertimento).

Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Florio), sentenza del 30 dicembre 2013, n. 215

giovedì, maggio 22, 2014

Gli avvocati civilisti lanciano la corte nazionale arbitrale per abbattere i costi della giustizia.

Le procedure arbitrali sono una «importante e alternativa forma di giustizia privata». Ma fino a oggi la diffusione dell'arbitrato ha avuto i limiti dei «costi elevati delle procedure e della natura degli organismi arbitrali che, anche al di fuori degli arbitrati ad hoc, hanno sempre avuto vocazione localistica».
Limiti riguardanti anche «l'insufficiente terzietà, spesso la scarsa preparazione tecnico-deontologica degli arbitri e la carenza di forme certe di tutela». Lo afferma in una nota l'Unione nazionale camere civili che ha costituito la corte nazionale arbitrale, come istituzione «autonoma e indipendente presente su tutto il territorio nazionale», presentata oggi alla Camera presso la Sala delle Colonne di Palazzo Marini.
Una iniziativa, come spiegano il presidente del Consiglio arbitrale Renzo Menoni (che è anche presidente dei civilisti riuniti nell'Uncc) e il segretario Serenella Ferrara «tesa a garantire l'assoluta terzietà e preparazione degli arbitri, a costi contenuti predeterminati sulla base di tariffe certe, e che, in analogia con la parallela giurisdizione statale, possa offrire anche il rimedio della revisione del lodo».
Per la nomina degli arbitri, selezionati attraverso corsi di alta formazione, «ci si è ispirati - spiegano i civilisti -a principi di apertura e trasparenza». La trasparenza, spiega ancora la nota, è data dalla istituzione di un elenco nazionale degli arbitri, ma anche dalle tariffe stabilite per gli onorari.
Ad esempio, per le controversie con valore fino ai 5mila euro, l'onorario dell'arbitro unico va dai 400 ai 700 euro (dagli 850 ai 1.500 per il collegio arbitrale); per le controversie tra i 100 e i 150mila euro, l'onorario varia dai 3.500 minimi di spesa per l'arbitro unico ai 7.400 per il collegio; e ancora, nei casi di controversie milionarie fino ai 10 milioni di euro, l'onorario varia dagli 80mila ai 210mila euro.
Il regolamento della Corte prevede che l'arbitro non possa accettare alcun accordo diretto o indiretto con le parti o i loro difensori e che debba evitare spese superflue che possano far lievitare immotivatamente i costi della procedura.
L'iniziativa, affermano nella nota i civilisti, è stata molto apprezzata dal sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, che intervenendo alla presentazione della Corte ha parlato di «sfida per l'avvocatura, grazie ai criteri di trasparenza e imparzialità assicurati nella selezione degli arbitri».
«Positivo anche - ha aggiunto Ferri - il rimedio offerto per la revisione del lodo che finora per vari motivi non ha funzionato».
Il guardasigilli Andrea Orlando ha inviato il proprio messaggio di saluto ai civilisti, sottolineando che le procedure alternative «rafforzano l'offerta di giustizia» per i cittadini e «rientrano in quelle forme di innovazione di cui il sistema giustizia ha bisogno».
Orlando ha riconosciuto il «prezioso lavoro dell'Unione camere civili nel cammino di riforme» intrapreso attraverso i tavoli istituiti presso il ministero.

Evento formativo del 27 maggio 2014.

martedì, maggio 20, 2014

Nessun obbligo di POS. Dal CNF una circolare di precisazione in merito all’art. 15 del decreto Sviluppo Bis.

Nessun obbligo di possedere un POS in studio. Piuttosto un onere per gli avvocati, in funzione di semplificazione e di facilitazione per i clienti circa le modalità di pagamento a fronte di una prestazione professionale.
Modalità che possono prevedere anche -ma non solo- il pagamento elettronico, tramite POS ma anche tramite bonifico bancario.
E’ in questi termini che si configura correttamente, secondo il CNF, l’adempimento richiesto ai professionisti dall’articolo 15 del decreto legge 179/2012 (Sviluppo bis), in vigore dal 30 giugno prossimo.
Che è cosa ben diversa dall’esistenza di un presunto obbligo di dotarsi di POS. Per chiarire la portata dell’articolo 15 il CNF ha diramato oggi una circolare agli Ordini (CNF N. 10-C-2014), chiedendone la più ampia diffusione.
Riportando il testo della norma, la circolare chiarisce che “la previsione corrisponde a chiari intendimenti di semplificazione e non stabilisce affatto che tutti i professionisti debbano dotarsi di POS, né che tutti i pagamenti indirizzati agli avvocati dovranno essere effettuati in questo modo a partire dalla data indicata, ma solo che, nel caso il cliente voglia pagare con una carta di debito, il professionista sia tenuto ad accettare tale forma di pagamento”.
La circolare, in altre parole, ribadisce la centralità della volontà della parti del contratto d’opera professionale (cliente ed avvocato) per la individuazione delle forme di pagamento. “Ad esempio, i clienti che sono soliti effettuare i pagamenti tramite assegno o bonifico bancario potranno continuare a farlo”.
Qualora, poi, il cliente dovesse effettivamente richiedere di effettuare il pagamento tramite carta di debito, e l’avvocato ne fosse sprovvisto, la circolare specifica che “si determinerebbe semplicemente la fattispecie della mora del creditore, che, come noto, non libera il debitore dall’obbligazione. Nessuna sanzione è infatti prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito”.
Ovviamente rimangono fermi i limiti vigenti nell’ordinamento previsti da altre fonti normative , come ad esempio il divieto di pagamento in contanti oltre la soglia di mille euro, previsto dalla normativa antiriciclaggio, espressamente richiamata dalla disposizione del dl.

lunedì, maggio 19, 2014

I SOLITI NOTI DELL'AVVOCATURA SI SONO STANCATI DELLA DEMOCRAZIA ?

Forse qualcuno di voi si è chiesto che fine hanno fatto e/o come stanno procedendo i lavori della Commissione ex art. 39 legge professionale, per valutare modifiche alla strutturazione dell'organismo di rappresentanza politica.
Dopo qualche sommaria informativa da parte di qualcuno, tutto si è improvvisamente zittito. E il silenzio, in queste cose, l'esperienza insegna e' un segnale da non sottovalutare.
I lavori, però, sono proseguiti, e sconcerta sapere che la più parte dei partecipanti al tavolo, e anche coloro che della democrazia fecero una bandiera, oggi stanno cercando di realizzare una sorta di direttorio, di soli 21 componenti, dei quali 7 designati dai Consigli dell'Ordine, 7 dalle Associazioni e 7 (si, avete capito bene, solo 7) liberamente eletti dal Congresso.
E per di più c'è qualcuno che ritiene che i consiglieri dell'ordine, in quanto facenti parte delle associazioni o come congressisti, possano essere eletti non solo nel terzo di spettanza dei Consigli, ma anche negli altri 2 terzi......
E così il Congresso sarà sostanzialmente espropriato della elezione dei componenti dell'organismo politico, e con il Congresso anche l'avvocatura, in quanto saranno inevitabilmente i soliti noti ( gli stessi che stanno partorendo ed avallando questa soluzione) a sedere nel nuovo organismo.....
Se così sarà, e personalmente farò di tutto perché non sia, potrei sin da ora depositare l'elenco nominativo dei componenti...... E non è detto che non lo faccia.
Il tutto senza che nell'avvocatura si discutano seriamente queste opzioni, che ai più sono del tutto sconosciute.
E così, nel ventennale dell'organismo politico, che neppure l'attuale dirigenza ha voluto celebrare, si celebrerà di fatto il funerale della rappresentanza politica democratica dell'Avvocatura, per far piacere e chi in un modo o nell'altro vuole conservarsi una cadrega!!!
Io amo parlare chiaro, e mi piacerebbe che lo facessero anche gli altri.......e soprattutto che potessero dire la loro gli avvocati.....i quali dovrebbero sapere come la pensano i candidati delegati al congresso, prima di votarli!
Non possiamo eleggere i delegati al Congresso con un mandato in bianco: dobbiamo sapere se sono o meno disposti a votare un direttorio o se, pur con modifiche, vogliono che la rappresentanza politica rimanga eletta su base democratica e non per posti e quote riservate.

Michelina Grillo

sabato, maggio 17, 2014

SALERNO ANCORA SENZA PROCURATORE DELLA REPUBBLICA.

Deontologia forense: vietata la spendita “suggestiva” della qualità di ex magistrato.

La spendita da parte di un avvocato, nel concreto esercizio dell’attività professionale, della qualità di ex Magistrato è evidentemente funzionale (a prescindere, poi, dal conseguimento dell’intento voluto) ad esaltare subdolamente la propria autorevolezza ed il proprio prestigio nonché la propria competenza, tanto agli occhi dei colleghi che della clientela, quanto degli stessi Giudici, nei cui confronti anzi l’uso del titolo già posseduto può assumere valore anche di una sorta di tentativo di condizionamento psicologico, sicché essa va senz’altro censurata sul piano della correttezza e della lealtà.
 (Nel caso di specie, l’avvocato era solito presentare se stesso, anche nel corpo di atti relativi a procedimenti in cui egli era parte in causa, come ‘già magistrato di Cassazione a riposo’).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Baffa), sentenza del 28 dicembre 2013, n. 213

NOTA: Sul divieto di indicare il titolo di giudice onorario nella carta intestata dello Studio professionale, cfr. Cassazione Civile, sez. U, 13 gennaio 2006, n. 00486- Pres. Nicastro G- Rel. Falcone G- P.M. Palmieri R (Conf.); Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f CRICRI’, rel. MARIANI MARINI), sentenza del 22 dicembre 2007, n. 242; Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. PETIZIOL), sentenza del 22 marzo 2005, n. 55.

sabato, maggio 10, 2014

E' rottura tra il CNF ed il COA di Roma.

Roma, 10 mag. - (Adnkronos) - Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma si schiera con il suo presidente, Mauro Vaglio, nella vicenda che lo vede contrapposto al Consiglio nazionale forense in relazione al caso dell'esposto presentato nei suoi confronti da 4 ex consiglieri e ''rimarca la gravità dell'accaduto e la necessità di intraprendere ogni iniziativa a tutela del prestigio dell'istituzione forense romana e, dunque, del suo presidente'', disponendo la trasmissione della delibera approvata nell'adunanza di oggi al ministero della Giustizia, al Cnf, all'Oua, alla Cassa Forense e a tutti gli iscritti ''dichiarandola immediatamente esecutiva''.
E' quanto si legge nell'estratto del verbale dell'adunanza di oggi nell'Ordine degli avvocati di Roma. Nel corso della riunione, come si legge nel verbale, Vaglio ha stigmatizzato il comportamento del Cnf, ripercorrendo i passi salienti del caso che lo vede coinvolto, e ha annunciato ''un'istanza di accesso agli atti relativamente alle modalità di assunzione da parte del Cnf del proprio responsabile comunicazione e media, nonché dei precedenti addetti alla comunicazione'' e ''all'elenco dettagliato di tutte le spese sostenute dal Cnf a decorrere dal 1 gennaio 2013 che non sono state pubblicate sull'apposita pagina del proprio sito web''.
Vaglio ha posto l'accento sui ''forti attriti esistenti'' nei suoi confronti da parte della ''vecchia dirigenza del Cnf (attualmente ancora in maggioranza) per averla apertamente criticata in varie occasioni'', ricordando tra l'altro alcuni episodi specifici che ritiene essere alla base della ''grave inimicizia del Cnf'' nei suoi confronti. Secondo il presidente dell'Ordine di Roma, dunque, ''non c'è da meravigliarsi se i componenti di 'questa' maggioranza del Cnf abbiamo colto al volo l'occasione dell'esposto di predetti consiglieri, bocciati dall'elettorato romano, per avviare un vero e proprio attacco su tutti i fronti''.
In particolare, Vaglio contesta al Cnf di aver, ''immediatamente e senza alcuna preventiva interlocuzione con l'Ordine di Roma'', trasmesso l'esposto nei suoi confronti al Consiglio dell'Ordine di Perugia, al ministero della Giustizia e alla Procura della Repubblica, senza darne neanche avviso al diretto interessato''.
Ma non solo. Il presidente sottolinea anche come, ''con una tempistica davvero emblematica'', subito prima ''che la richiesta di archiviazione del 26 luglio 2013, già decisa, fosse trasmessa al gip, il Consiglio nazionale forense, dopo solo 11 giorni, faceva pervenire al sostituto, in extremis il 6 agosto 2013, una relazione sui fatti attribuiti al presidente Vaglio, fondata su norme inapplicabili a qualsiasi ordine professionale'', tanto che il pm ''di fronte alla chiara indicazione di un organo istituzionale come il Cnf di individuare un illecito pur dove lui non l'aveva rilevato'' ha revocato, ''in assenza di alcun supplemento di indagine'', la richiesta di archiviazione, procedendo alla chiusura delle indagini e al ''relativo avviso ai sensi dell'articolo 415 bis cpp, ipotizzando come capo d'imputazione provvisiorio il reato di abuso d'ufficio sulla scorta proprio di quelle norme inapplicabili suggerite nella relazione del Cnf''.

Processo online: partenza a rischio.

lunedì, maggio 05, 2014

Tavolo sull’Avvocatura: Orlando incontra avvocati, via alla fase operativa.

Roma, 5 maggio 2014 - Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha incontrato oggi i rappresentanti degli avvocati nell’ambito dei lavori del “Tavolo sull’Avvocatura”, annunciato e fortemente voluto dal Guardasigilli a pochi giorni dal suo insediamento in Via Arenula con l’obiettivo di creare un luogo di confronto e condivisione utile e necessario nella logica del coinvolgimento e dell’ascolto dell’avvocatura, quale attore decisivo nel quadro del sistema-Giustizia.
Nel corso della riunione, il Ministro ha raccolto le disponibilità dei rappresentanti degli Avvocati per la formazione dei seguenti tavoli di lavoro: accesso, formazione e tirocinio; società tra professionisti e organizzazioni degli studi professionali; specializzazioni ed esercizio della professione davanti alle giurisdizioni superiori; obblighi assicurativi e sostegno alle nuove figure professionali e giovane avvocatura; difesa d’ufficio e patrocinio a spese dello Stato; degiurisdizionalizzazione e partecipazione dell’Avvocatura alla giurisdizione; forme di collaborazione con la Pubblica Amministrazione.
Questi tavoli dovranno chiudere i loro lavori entro due settimane, poi, alla fine del mese di maggio, nuova riunione plenaria con la partecipazione del Ministro per il raccordo sul lavoro svolto. Infine, entro la metà del mese di giugno, la formulazione delle proposte dell’Avvocatura per l’elaborazione da parte dell’Ufficio legislativo del Ministero.

Evento formativo del giorno 08 maggio 2014 (n. 2 crediti).

giovedì, maggio 01, 2014

Giustizia amministrativa: 15 mln di affitti per poco più di 300 magistrati?

Quindici milioni di euro. E’ questa la cifra approssimativa che si spende all’incirca – ogni anno - per gli affitti dei lussuosi palazzi del Consiglio di Stato e dei TAR, ove lavorano poco più di 300 magistrati, come emerge dallo stesso sito della giustizia amministrativa (link amministrazione trasparente, e poi immobili).
Ecco solo alcune delle cifre: 4.524.027,46 per il TAR del Lazio, € 3.400.000,00 per la sede del Monte di Pietà (che ospita il “CSM” dei giudici amministrativi), 675.000,00 euro per il TAR Bologna, 369.704,40 per il TAR Palermo, 840.000,00 per il TAR Milano, 480.000,00 per il TAR Venezia, e così via per tutte le sedi dei 20 TAR.
Avendo fatto il giudice amministrativo per quasi 10 anni ho avuto la fortuna di lavorare in sedi come il lussuoso palazzo Butera di Palermo, in quello affrescato di via Ricasoli in Firenze, di sbrigare pratiche amministrative presso uno dei (mancati) musei più belli di Roma: Palazzo Spada, sede obiettivamente scomoda ed inadatta alle funzioni del Consiglio di Stato, immortalata ne La grande Bellezza vincitrice dell’Oscar come miglior film straniero e di recente oggetto di aspri dibattiti per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo negli antichi giardini, ma riservata ai pochi magistrati amministrativi privilegiati che vi lavorano.
Una cosa però mi ha sempre colpito più di ogni altra: le stanze quasi sempre vuote. La maggior parte dei giudici amministrativi, infatti, risiede fuori dalla sede ove lavora e in cui ogni giudice si deve recare per ben… due volte (due!) al mese!
Non di rado quando vivevo a Firenze facevo il giro delle stanze dei colleghi e, trovandole immancabilmente vuote, spegnevo almeno la luce nelle varie stanze: uno spreco assoluto tenerle acceso.
Per non parlare della elefantiaca sede del Monte di Pietà, in cui si contano ancora oggi alcune stanze vuote, fortemente voluta dal presidente de Lise e costosissima. E’ davvero necessaria? Sia chiaro, un lusso è sempre piacevole per chi lavora in palazzi con stucchi, quadri d’epoca e statue catalogate, ma in periodo di spending review forse andrebbe tagliato il superfluo.
Certamente prima di tagliare gli stipendi dei giudici ordinari, specie di quelli che lavorano in sedi “di frontiera” e con mezzi a dir poco arcaici.
Avendo vissuto sia la realtà dei giudici amministrativi che quella dei giudici ordinari, sono fortemente convinto che tre o quattro stanze ricavate nei tribunali ordinari ben sarebbero sufficienti ad ospitare il (poco) lavoro dei giudici TAR.
Ed allora, ben venga l’abolizione di questi uffici, costosi e (a mio avviso) non troppo efficienti, come ormai sostenuto da molti.
Oltre alle autorevolissime opinioni in tal senso formulate dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dall’ex presidente Romano Prodi, dal Vice Presidente del CSM Vietti, si è aggiunta ora quella, altrettanto autorevole, del Sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri.
Un movimento di pensiero che ormai tocca trasversalmente le varie forze politiche. Non resta solo che augurarsi che quanto recentemente detto da tutti i protagonisti sopra menzionati diventi quanto prima realtà.
di Alessio Liberati (Magistrato)