giovedì, novembre 28, 2013

CASSAZIONE: CARATTERE “ESCLUSIVAMENTE ASSISTENZIALE” DELL’ASSEGNO PERIODICO DI DIVORZIO.

"L'assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dalla Legge 6 marzo 1987, n. 74, articolo 10, modificativo della Legge 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 5, ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua attribuzione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilita' di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioe' che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto dell'assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge".

Corte di Cassazione, Civile, Sezione 1, Sentenza del 27-11-2013, n. 26491

mercoledì, novembre 27, 2013

Esame Avvocato: la Commissione di Salerno.

Cittadella Giudiziaria: in arrivo 30 milioni di euro per il completamento.

Approvato l'emendamento, nella votazione sulla Legge di Stabilità, con il quale si prevede la destinazione di 30 milioni di euro per l’edilizia giudiziaria con particolare riguardo per il completamento delle opere già cantierate.
Con questo finanziamento ci si dovrebbe avviare al definitivo completamento di un’opera fondamentale per garantire ai magistrati, all’avvocatura, al personale ed ai cittadini le migliori condizioni per lo svolgimento del servizio giustizia.
Nelle prossime settimane avranno inizio le operazioni di trasferimento degli archivi nei locali già consegnati all’amministrazione giudiziaria.

Evento formativo del 04/12/2013 (n. 2 crediti).

Deontologia: Il termine per il deposito della decisione disciplinare del COA è ordinatorio.

“Il termine di quindici giorni fissato dall’art. 50 L.P. per il deposito o la notifica della decisione disciplinare del C.d.O., non ha natura perentoria e la sua violazione non determina la nullità del provvedimento adottato”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Baffa), sentenza del 20 luglio 2013, n. 128. 

NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Perfetti, Rel. Borsacchi), sentenza del 13 marzo 2013, n. 27, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Merli), sentenza del 30 aprile 2012, n. 87, Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. Piacci), sentenza del 20 febbraio 2012, n. 15.

martedì, novembre 26, 2013

Evento formativo del 04/12/2013 (n. 5 crediti formativi).

OUA: VIII CONFERENZA NAZIONALE DELL'AVVOCATURA.

Magistrati: sì della Cassazione alla responsabilità disciplinare, in caso di ritardo nel deposito delle sentenze.

Corte di cassazione – Sezioni Unite civili – Sentenza 8 ottobre-25 novembre 2013 N. 26284 

Riconosciuta la responsabilità del magistrato per gravi ritardi nel deposito di numerose sentenze con punte di 100-200 giorni: è questo il caso deciso dalle sezioni Unite civili con la sentenza del 25 novembre 2013 n. 26284.
La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con decisione del 2013, aveva inflitto a un magistrato la sanzione della perdita di anzianità di due mesi per avere depositato “nel periodo giugno 2003-marzo 2010 numerose sentenze con gravi ritardi, molte superiori ai 100-200 giorni, in un caso ai 300 giorni, mentre nel caso più grave il ritardo aveva raggiunto i 2.246 giorni”. Il Csm aveva rilevato che il ritardo nel deposito “appariva grave, ingiustificato e reiterato”, soprattutto nel periodo in cui magistrato aveva svolto la funzione di giudice. In relazione, alle funzioni esercitate “ben 10 sentenze erano state depositate con un ritardo di circa tre anni”.
Ma non è finita. Sempre secondo il Csm “il ritardo era altresì reiterato, riguardando almeno 40 sentenze, nonché grave, perché almeno per la metà dei depositi, superiore all’anno, con una punta di 1400 giorni”.
In conclusione, i carichi e l’organizzazione del lavoro non potevano giustificare tali ritardi. Il magistrato nel ricorso in Cassazione ha sostenuto un difetto di motivazione del provvedimento del Consiglio, che ha determinato la perdita dell’anzianità.
Secondo le sezioni Unite la motivazione della sezioni disciplinare del Csm è immune da vizi logici e giuridici.
“Dalla lettura – fanno presente le sezioni Unite - della sentenza impugnata emerge infatti che la Sezione disciplinare, dopo avere evidenziato sia il considerevole numero di provvedimenti depositati in ritardo nonché la durata dl detti ritardi ‘per periodi di oltre tre anni, con punte superiori al 4 anni” ha dimostrato da un lato che tali comportamenti avevano caratterizzato tutta la carriera del magistrato, iniziando nel triennio 1982-1985 e procurandogli due procedimenti disciplinari tuttavia conclusi con esito a lui favorevole: menzionati non certamente per ricavarne elementi di addebito nei suoi confronti, ovvero per essere rivalutati in senso sfavorevole, ma per dimostrare come egli abbia sempre sofferto di carenze strutturali nell’organizzazione del suo lavoro divenute una costante nel suo percorso professionale sia in occasione dl eventi (e di processi) particolari, sia nella normale gestione dei processi penali allo stesso affidati: e ciò tanto allorché aveva svolto funzioni istruttorie, quanto allorché era passato a comporre (ovvero a presiedere) una sezione penale del Tribunale.
Ha rilevato dall’altro che tale costante negativa non era cessata neppure in occasione del presente procedimento disciplinare, in conseguenza del quale il magistrato era stato obbligato a presentare un piano di rientro del depositi tuttavia rimasto inadempiuto perché buona parte del provvedimenti erano stati depositati assai dopo la scadenza dei termini indicati nel piano.
Sulla base di tali elementi di fatto la Sezione ha quindi concluso nel senso che i fatti oggetto di contestazione erano oggettivamente molto gravi e le omissioni costanti sì da non permettere il contenimento della sanzione nei limiti dei minimo edittale, e di rendere necessaria l’applicazione di quella immediatamente successiva”.

Storie italiane.......

Aiga: eletta la nuova Giunta Nazionale.

giovedì, novembre 21, 2013

Deontologia: La notifica all'irreperibile in sede disciplinare.

Il Consiglio territoriale può notificare gli atti del procedimento ai sensi dell’art. 143 cpc solo allorché senza colpa ignori residenza, dimora o domicilio del destinatario dell’atto, e ciò nonostante diligenti indagini, che non possono intendersi limitate alla sola visura anagrafica da cui risultasse che il destinatario si è trasferito per ignota destinazione (Nel caso di specie, il COA notificava gli atti del procedimento ai sensi dell’art. 143 cpc, sebbene conoscesse, o avesse potuto diligentemente conoscere, l’indirizzo di residenza dell’incolpato. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha annullato la decisione conclusiva del procedimento stesso).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Piacci), sentenza del 19 luglio 2013, n. 119

domenica, novembre 17, 2013

Deontologia: L’iniziativa giudiziale non corrispondente ad effettive ragioni di tutela del cliente.

“Le iniziative giudiziali (ivi compresa, estensivamente, la notificazione di un precetto) da proporre nei confronti della controparte devono corrispondere a effettive ragioni di tutela del proprio cliente e non devono essere inutilmente vessatorie, sicché integra illecito disciplinare la condotta del professionista che, ottenuto il pagamento della somma in forza di un titolo esecutivo, abbia nuovamente azionato un diverso titolo avente ad oggetto il medesimo credito (Nel caso di specie, il professionista aveva agito in forza di un’ordinanza ex art. 186 bis cpc nonché della successiva sentenza definitiva, ottenendo così due volte il pagamento per via coattiva dello stesso importo, e ciò, a suo dire, per una sorta di “giustizia sostanziale”, ossia ritenendo di far ottenere in tal modo al proprio cliente sì una somma maggiore di quella statuita in sentenza ma comunque ancora non sufficiente rispetto alle originarie domande giudiziali. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura)”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Pisano), sentenza del 19 luglio 2013, n. 117.

giovedì, novembre 14, 2013

CNF: Parcelle e decreti ingiuntivi, opinamento degli Ordini necessario.

Il decreto legge Cresci-Italia (n. 1/2012), in particolare l’articolo 9 che ha abrogato le tariffe forensi, non ha invece abrogato il potere degli Ordini in materia di opinamento delle parcelle ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo.
Lo precisa un parere della commissione consultiva del CNF (relatore Perfetti), reso in risposta ad un quesito inviato dall’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli avvocati.
Il quesito è stato sollecitato da due pronunce del Tribunale di Verona, secondo le quali l’entrata in vigore dell’art. 9 del D.L. n. 1/2012 avrebbe determinato il venir meno, in capo agli Ordini forensi, del potere di opinamento parcelle.
Secondo tale orientamento, peraltro contrario a precedente circolare dello stesso Presidente del Tribunale, si sarebbe determinata l’abrogazione tacita degli articoli 636 c.p.c. (domanda e documenti corredati per il procedimento di ingiunzione) e 633, comma 1, nn. 2 e 3 c.p.c. (crediti oggetto di procedimento di ingiunzione).
Il parere ribadisce quanto già indicato nel dossier dell’Ufficio studi n. 6 del 2012, e che cioè “deve escludersi che l’abrogazione delle tariffe disposta dall’art. 9 del DL n. 1/2012 (cd. Cresci Italia) avesse determinato il venir meno del potere del COA di esprimersi sulla congruità della parcella” in ragione del fatto che la portata abrogativa dell’articolo 9 riguarda le tariffe e le disposizioni che si richiamano alle tariffe. In particolare, viene specificato che la portata abrogativa dell’art. 9 riguarda le tariffe come criterio di determinazione del compenso, e dunque incide sui criteri attraverso cui è esercitato il potere di opinamento, e non investe la sua persistenza in capo al Consiglio dell’Ordine forense.

mercoledì, novembre 13, 2013

Riforma della Giustizia: l’impotente lobby degli avvocati.

Ieri Lorenzo Salvia su Il Corriere della Sera ha scritto sul lobbismo in Italia verso il legislatore, riferito all’uso delle e-cigarette, nel quale ha infilato di sbieco il lobbismo degli avvocati, certificato a suo dire dalla presenza di 72 avvocati nelle Camere.
Spiegherò perché ciò è stato un pessimo esempio di giornalismo, superficiale, non documentato e soprattutto non rispondente al vero. Finalizzato a perpetrare la bufala della “casta” degli avvocati e la menzogna di una forza lobbistica che l’avvocatura non ha. Imputandole implicitamente lo sfacelo della giustizia italiana. Salvia usa il prezzemolo della lobby degli avvocati.
Se fosse vero ciò che scrive (pur se allusivo) l’avvocatura non sarebbe oggi in questo stato comatoso e poco dignitoso, nel quale versa per colpe certo sue (della governance inamovibile e poco lungimirante) e per colpe di altri (del vero lobbismo, quello di Confindustria, ben rappresentato per altro dal Corriere della Sera, teso ad appropriarsi di una parte del mercato dell’avvocatura).
Si finge di non sapere quale sia la vera condizione dell’avvocatura e della giustizia in Italia, legate a stretto filo. L’avvocatura ha rilievo costituzionale e partecipa, insieme alla magistratura, alla realizzazione della giustizia. Entrambe in pessimo stato.
L’avvocatura annovera circa 220.000 professionisti (tanti ma solo una parte difensori nelle aule di giustizia), di cui la metà ha meno di 43 anni e quasi il 40% è composto da donne.
Meno del 10% del totale produce oltre il 50% del Pil dell’avvocatura. Negli ultimi 3 anni la redditività media è in forte calo, penalizzando i più giovani e creando la c.d. “proletarizzazione” del ceto forense.
La Cassa di Previdenza Forense (con un patrimonio di 6 miliardi di euro e che ha appena garantito 50 anni di sostenibilità) è stata negli ultimi 2 anni depredata dal legislatore che ha usato come legislatore illegittimo l’Istat – poi entrambi spalleggiati dal Consiglio di Stato – fingendo di considerarla “pubblica” (senza però finanziarla, anzi è vietato) così aggredendo il patrimonio accumulato, e soprattutto l’assistenza (c.d. welfare, soprattutto per i giovani e i più deboli), per fare “cassa”.
Un comportamento indecente. L’avvocatura da anni chiede una seria riforma della giustizia, nell’interesse di tutti, per garantire un sistema efficiente e celere di tutela. Per ciò ha contrastato il progetto della mediazione obbligatoria ritenendo contraddittorio obbligare i contendenti ad uno strumento di adr (nel quale pure crede) senza responsabilizzarli verso una tale scelta.
Eppure la mediazione obbligatoria è vigente. L’avvocatura si è opposta al taglio a raso dei tribunali perché tale scelta non ha distinto tra tribunali efficienti (e necessari come presidi di legalità) da quelli inefficienti.
Nel calderone sono però stati salvati tribunali minori, sedi politiche di alcuni papaveri. I tribunali sono stati comunque tagliati, anche se sarà forse rimessa l’ultima parola al referendum.
L’avvocatura si è opposta all’aumento indiscriminato delle spese di giustizia (contributo unificato e “marche”) perché ciò impedisce l’accesso alla giustizia ai meno abbienti. Gli aumenti ci sono stati e continuano ad esserci.
L’avvocatura chiede che il processo telematico venga finalmente compiuto e semplificato, perché ciò comporterebbe una notevole riduzione delle spese ed una giustizia più efficiente. Il processo telematico è però ancora incompleto.
L’avvocatura ha chiesto di salvare il tariffario semplificandolo nell’interesse dei cittadini (trasparenza e certezza) ma ha dovuto subire l’ipocrita campagna di Monti sulle liberalizzazioni dell’avvocatura, così subendo la definitiva abrogazione delle tariffe, per poi farle rientrare dimezzate con lo strumento dei “parametri” che consentono ai magistrati di divenire gli artefici del rapporto economico tra avvocati e clienti.
Dov’è la liberalizzazione in tutto ciò?
L’avvocatura chiede da tempo di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, al fine di garantire il pieno rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone detenute.
Il problema è ben lontano dall’essere risolto. Dunque dove sarebbe il lobbismo dell’avvocatura in tutto ciò? Gli esempi potrebbero continuare a decine.
Vero è che tra i 72 avvocati nelle Camere ci sono stati (e ci sono) vili mercenari al soldo del padrone. In palese conflitto di interesse. Ma è lobbismo questo verso l’avvocatura o svilimento della sua immagine? E’ invece opportuno affrontare uno dei più gravi problemi del nostro Paese: la malagiustizia.
Si scoprirà che la classe politica ha interesse a mantenere l’Italia in uno stato di perenne corruzione, incertezza del diritto, illegalità sostanziale non perché così vuole la lobby degli avvocati (inesistente) ma perché così vuole la criminalità e la massoneria degli affaristi.
Si scoprirebbe la verità. Forse il vero scopo del giornalismo.

di Marcello Adriano Mazzola | 13 novembre 2013

Giustizia: ”lentezza processi inciderà sulla carriera dei magistrati”.

Il Consiglio superiore della magistratura introduce una novità nelle regole sull’organizzazione degli uffici giudiziari per cercare di arginare nel tempo e nello spazio i fascicoli e il loro destino. I presidenti di tribunali e corti d’appello saranno mobilitati e responsabilizzati.
Per loro diventerà un vero e proprio “dovere” prevenire e porre rimedio ai ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati addetti ai loro uffici, al punto che un’eventuale violazione di questo precetto inciderà negativamente sulla loro carriera.
Le nuove regole saranno introdotte mercoledì dal plenum del Csm con una modifica alla circolare sull’organizzazione degli uffici giudiziari e che si applicheranno anche alla Corte di Cassazione.
Un testo messo a punto dalla VII commissione, che prevede innanzitutto l’obbligo per i dirigenti di disporre ogni sei mesi una verifica sul rispetto dei termini di deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati dell’ufficio; e in presenza di situazioni di criticità dovute a carenze organizzative, il dovere di adottare “sollecitamente” i provvedimenti necessari per rimediare: dal riequilibrio nella distribuzione dei fascicoli, al potenziamento di alcuni settori o sezioni.
Un compito davvero difficile se si considera la perenne carenza di personale giudiziario e amministrativo che ad ogni apertura di anno giudiziario viene sottolineata.
Anche nel caso in cui la lentezza non sia legata a un problema organizzativo, ma dunque riguardi un singolo magistrato, il capo dell’ufficio giudiziario dovrà intervenire: non solo come, è già previsto oggi, segnalando il caso ai titolari dell’azione disciplinare e cioè al ministro della Giustizia e al Procuratore generale della Cassazione, ma anche promuovendo lo smaltimento dei procedimenti segnati dai ritardi attraverso la programmazione con il giudice interessato di un piano di rientro sostenibile.
E se non dovesse bastare, il dirigente dovrà disporre l’esonero del magistrato in questione dall’assegnazione di nuovi affari o da specifiche attività giudiziarie oppure la redistribuzione dei procedimenti all’interno della sezione.

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 12 novembre 2013

Evento formativo del 22/11/2013 (n. 3 crediti).

martedì, novembre 12, 2013

Parametri forensi in dirittura d’arrivo.

Il Consiglio di Stato ha dato il suo parere positivo, seppur con qualche osservazione, allo schema di decreto ministeriale «Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense (in attuazione dell’art 13 della legge 247/12 di riforma dell’ordinamento forense)».
Il ministero della giustizia, dopo aver recepito le osservazioni del Cds, manderà il decreto alla Corte dei conti per la registrazione e poi in Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione.
Il parere era molto atteso dalla categoria, che da tempo sollecitava il ministero della giustizia in tal senso. I giudici di Palazzo Spada, nelle loro argomentazioni, partono dal principio contenuto nella norma primaria secondo il quale la pattuizione dei compensi è libera.
Anche se il collegio, che si è fatto carico della valutazione della misura dei parametri individuati dal ministero della giustizia per verificarne la legittimità ed evitarne «una facile obiezione» rispetto a un’eccessività degli stessi, non può entrare nel merito.
E’ la legge forense a circoscrivere espressamente la discrezionalità del ministero e quindi a non consentire al Cds di «formulare ulteriori osservazioni che andrebbero a impingere nel non consentito esame dello stretto merito della questione».

venerdì, novembre 08, 2013

A Salerno giustizia civile in coma: le proposte delle Associazioni Forensi.

  1. Al Presidente della Corte di Appello di Salerno 
  2. Al Presidente del Tribunale di Salerno 
  3. Al Presidente del Consiglio Ordine Avvocati di Salerno 

Le sottoscritte Associazioni forensi, nell'esprimere piena solidarietà verso tutti gli attori del comparto giustizia (magistrati e personale amministrativo) interessati dagli attuali, gravi disagi conseguenti alla soppressione degli uffici giudiziari periferici, oggi accorpati alla sede centrale del Tribunale di Salerno,
CHIEDONO 
un confronto costruttivo con la Presidenza del Tribunale per discutere, possibilmente con il coinvolgimento anche dei dirigenti amministrativi, la soluzione delle seguenti criticità:
1. SMALTIMENTO DEI PROCEDIMENTI PROVENIENTI DALLE SEZIONI SOPPRESSE E SOVRAFFOLLAMENTO DI AULE DI UDIENZA E CANCELLERIE.
L'attuale sistema di smistamento dei numerosissimi procedimenti provenienti dalle sezioni soppresse non appare adeguato alle proporzioni dell'emergenza. La crisi organizzativa derivante dall'imposto riassetto degli uffici giudiziari.
Infatti, sta compromettendo in termini sostanziali l'attività di tutti gli operatori, in primis magistrati ed avvocati, gli uni chiamati a smaltire, gli altri a seguire, carichi di lavoro eccessivi ed insostenibili anche per il Personale di Cancelleria, già duramente provato dalle perduranti carenze di organico ed ormai rassegnato di fronte a un disastro annunciato; il tutto, a detrimento dell'efficienza del sistema giudiziario e delle garanzie da riconoscere ai cittadini.
Sotto quest'aspetto, la fissazione di udienze di mero smistamento per le cause riassegnate al Tribunale di Salerno, che i giudici si vedono costretti ad amministrare in sovrapposizione a quelle radicate ab origine presso la sede centrale, sta provocando una condizione di confusione e sovraffollamento tale da ostacolare l'ordinata e dignitosa trattazione di tutti i procedimenti, con particolare riferimento a quelli nel cui ambito era stato programmato il compimento di attività processuali significative.
Nell'ottica di scongiurare ulteriori nocive sovrapposizioni, dunque, per i fascicoli smistati dalle sedi soppresse sarebbe auspicabile la disposizione di rinvii di ufficio direttamente all'effettiva udienza di trattazione davanti al magistrato designato o al giudice onorario con ruolo aggiuntivo, dandone comunicazione alle parti a mezzo PEC.
In alternativa, si potrebbero pianificare udienze straordinarie, anche pomeridiane, per il solo smistamento; diversamente, si potrebbero confermare i ruoli preesistenti senza assegnare ad altri magistrati i fascicoli provenienti dalle sezioni soppresse, bensì mantenendo il medesimo ordine preesistente e limitandosi unicamente a disporre lo spostamento di ciascuna udienza presso la sede centrale del Tribunale.
2. GRAVE CARENZA DI PERSONALE ALL'INTERNO DELL'UFFICIO ARCHIVIO.
Da diversi mesi a questa parte, l'archivio del Tribunale Civile è di fatto inaccessibile agli utenti per assenza di personale, tanto che la sua gestione è stata temporaneamente assegnata all'Ufficio del Ruolo Generale, il quale però, già oberato di lavoro, risulta essere ancor più congestionato.
Di riflesso, agli avvocati è tutt'ora preclusa la possibilità di ricercare e ritirare in tempi ragionevolmente contenuti le proprie produzioni.
Al fine di garantire l'indispensabile presidio di personale presso l'ufficio archivio, si potrebbe organizzare una turnazione per fasce orarie tra gli operatori addetti agli altri uffici.
3. POTENZIAMENTO DELL’ORGANICO PRESSO LE CANCELLERIE DELL'ESECUZIONE E/O RIORGANIZZAZIONE DELLE STESSE.
L'aumento del carico di lavoro a fronte di una costante insufficienza di risorse umane e materiali ha provocato, con effetti chiaramente amplificati dalla recente soppressione delle sezioni distaccate del Tribunale, la paralisi delle cancellerie delle esecuzioni mobiliari ed immobiliari, il cui personale è oggettivamente impossibilitato ad assecondare le esigenze di un'utenza nelle more accresciuta.
Si auspica l'apertura di un dialogo costruttivo, anche con il personale amministrativo, per intercettare soluzioni pratiche ed immediate che assicurino agli avvocati un più agevole e dignitoso accesso agli uffici non solo per l'espletamento degli adempimenti, ma anche per la celebrazione delle udienze.
Valutando, ad esempio, un'ulteriore suddivisione di compiti tra il personale addetto al contatto con il pubblico, prevedendo la creazione di uno sportello per l'iscrizione a ruolo delle causa e per la ricezione degli atti in genere.
4. PROTOCOLLO D’INTESA IN MATERIA DI MEDIAZIONE OBBLIGATORIA.
L'istituto della mediazione, reintrodotto con previsione di obbligatorietà dal D.L. 21/06/13 n. 69 (Decreto del "Fare"), se adeguatamente promosso nella sua peculiare finalità deflattiva, potrebbe costituire un ulteriore valido ausilio per tutti gli operatori giudiziari.
In tale direzione, si potrebbe prospettare la redazione di un protocollo d'intesa, che coinvolga sia i magistrati del Tribunale sia della Corte di Appello, diretto a rendere effettivi - e soprattutto efficaci in termini di risultati - i meccanismi di legge, nonché ad instaurare e consolidare prassi virtuose che assicurino ai cittadini concreti strumenti di soluzione alternativa delle controversie.
Tanto premesso ed evidenziato, le Associazioni forensi firmatarie della presente, nel fare proprie le precedenti istanze inviate dalle singole Associazioni alle Autorità in indirizzo, si rivolgono alla magistratura ed al personale amministrativo del Tribunale di Salerno, per il tramite della Presidenza del Tribunale e della Presidenza della Corte di Appello, onde avviare il richiesto confronto, aprendolo all'iniziativa ed al suggerimenti di tutti i professionisti e gli operatori che vogliano fornire il proprio contributo.
All'uopo, si manifesta sin d'ora la volontà di supportare le cancellerie utilizzando i siti web gestiti da ciascuna Associazione firmataria per la pubblicazione di tutti i dati e le Informazioni di particolare utilità per i professionisti, in modo da alleggerire, nei limiti del possibile, l'afflusso diretto degli stessi presso gli Uffici Giudiziari.
Salerno, 21 ottobre 2013.

Firmato: AIGA; ANF; AGAS; MGA; ASSOCIAZIONE AVVOCATI COSTIERA AMALFITANA; ASSOCIAZIONE AVVOCATI CAVA DE’ TIRRENI; ATF MERCATO SAN SEVERINO.

Salerno: fascicolo perso nel cambio sede, uomo si incatena davanti al tribunale.

Le sedi periferiche chiudono, in un giorno piovono 25mila procedimenti sulle sezioni civili del tribunale di Salerno.
E capita che un fascicolo in arrivo dalla sede distaccata di Cava de' Tirreni si smarrisca. Per questo ieri un uomo è rimasto incatenato per circa 45 minuti all’ingresso del tribunale civile presso la scuola Vicinanza.
Un gesto «simbolico» il suo, quello di un uomo alla ricerca del suo fascicolo relativo ad un procedimento giudiziario: la sentenza era stata favorevole all'uomo. Il fascicolo era in arrivo a Salerno dalla sede distaccata di Cava de’ Tirreni.
L'uomo ha preso una catena e si è legato all’ingresso di via Roma per attrarre l’attenzione di tutti. Anche delle forze dell’ordine che prestano servizio di controllo in zona. È stato così che una pattuglia dei carabinieri è stata mandata sul posto per cercare di convincere l’uomo a desistere dal suo intento. I carabinieri hanno mediato con l’uomo incatenato, mentre i giudici hanno risolto il problema: un avvocato aveva la fotocopia del fascicolo.

di Petronilla Carillo
tratto dal quotidiano “Il Mattino”

Sciopero dei GDP dal 25 novembre al 6 dicembre: “Serve un mandato quadriennale a chi è in servizio”.

Niente udienze per due settimane per tutti i giudici di pace in Italia.
Lo sciopero inizierà il 25 novembre e si protrarrà sino al 6 dicembre. I magistrati onorari scendono sul piede di guerra per protestare nei confronti del ministero della Giustizia contro la “mera proroga di un anno” del loro mandato.
In altre parole, secondo gli scioperanti, il disegno legge di stabilità, che pure presenta provvedimenti di lungo respiro, avrebbe consentito, quanto meno, un mandato quadriennale per i giudici di pace in servizio, come promesso dal ministro”.
A proclamare l’astensione sono Unagipa e Angdp, sigle della magistratura onoraria associata, che rendono nota l’iniziativa attraverso una nota congiunta dei due presidenti nazionali .

giovedì, novembre 07, 2013

IL SOGNO PROIBITO........

Deontologia: La sentenza penale di patteggiamento ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare.

“Ancorché il procedimento disciplinare sia autonomo rispetto al procedimento penale aperto per lo stesso fatto, a norma dell’art. 653 c.p.p. la sentenza penale di applicazione di pena su richiesta delle parti è equiparata alla sentenza di condanna; ne consegue che essa esplica funzione di giudicato nel procedimento disciplinare quanto all’accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e alla responsabilità dell’incolpato”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Merli), sentenza del 17 luglio 2013, n. 108

lunedì, novembre 04, 2013

LOCAZIONI: IN VIGORE LA NORMATIVA SULLA “MOROSITA’ INCOLPEVOLE”.

In una Circolare, la Confedilizia ha illustrato la normativa (in vigore dal 30/10/2013) e fornito istruzioni, operative ed interpretative, alle Associazioni territoriali aderenti.
Nella stessa l’Associazione della proprietà immobiliare sottolinea che la morosità incolpevole riguarda solo la fase dell’esecuzione degli sfratti ed è strettamente collegata all’ammissione al Fondo appositamente istituito per gli inquilini morosi incolpevoli.
La morosità incolpevole dovrà essere dettagliatamente definita sulla base di provvedimenti del Ministero infrastrutture e dei Comuni.
Solo all’esito della richiesta di ammissione a contributo scatterà la programmazione della graduazione ad opera dei Prefetti, che avrà carattere generale e – anche in base ad una sentenza della Corte costituzionale – non potrà interessare singoli casi.
Tutto il provvedimento riguarderà, comunque, i soli Comuni ammessi ai contributi del Fondo, che avrà una disponibilità di 20 milioni.

Deontologia: Procedimento disciplinare di primo grado e c.d. “giusto processo”.

La pretesa discrezionalità dei Consigli degli Ordini giudicanti disciplinarmente in via amministrativa risulta oggettivamente moderata dalla garanzia del contraddittorio fin dall’apertura del procedimento disciplinare, dalle prerogative difensive dell’incolpato, anche in termini di possibile ricusazione dei componenti del COA giudicante e dall’impugnabilità della decisione, dapprima, avanti il Consiglio Nazionale Forense e, da ultimo, avanti le Sezioni Unite della Suprema Corte per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.
Ne consegue che detta discrezionalità non ha modo di sostanziarsi in un possibile abuso ex art. 111 Cost.
(Nel caso di specie, lamentando una eccessiva discrezionalità dei COA a causa dell’atipicità del fatto disciplinarmente rilevante e dell’assenza di una relativa sanzione specifica, l’incolpato aveva eccepito l’asserita illegittimità costituzionale “di tutte le norme costituenti il meccanismo disciplinare” per violazione dell’art. 111 Cost. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto inammissibile e comunque manifestamente infondata la qlc).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Merli), sentenza del 17 luglio 2013, n. 105.

domenica, novembre 03, 2013

La figlia di Mubarak!

Quando Anna Maria Cancellieri diventò ministro dell’Interno, poi fu candidata al Quirinale, infine divenne ministro della Giustizia, il Fatto – come sempre – segnalò i suoi potenziali conflitti d’interessi familiari legati alla vecchia amicizia con la famiglia Ligresti, cliente da tempo immemorabile di procure, tribunali e patrie galere; e al ruolo del figlio Piergiorgio Peluso, alto dirigente prima di Unicredit, poi di Fonsai, infine di Telecom. In particolare ci occupammo della tragicommedia dei “braccialetti elettronici” per controllare i detenuti in libertà, un appalto di sette anni per centinaia di milioni rinnovato dal Viminale sotto la Cancellieri alla Telecom in cui andò a lavorare il pargolo.
Ma la parola conflitto d’interessi, dopo vent’anni di mitridatizzazione berlusconiana, suscita noia, fastidio, sbadigli. E morta lì.
Ora il conflitto d’interessi, da potenziale, diventa effettivo, concreto, reale: la ministra della Giustizia Cancellieri, amica dei Ligresti, telefona alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, appena arrestato per gravissimi reati finanziari insieme alle due figlie e a vari manager, per darle la sua solidarietà contro un provvedimento della magistratura che definisce “la fine del mondo”, “sono veramente dispiaciuta”, “c’è modo e modo”, “non è giusto”, “qualsiasi cosa io possa fare conta su di me”. Insomma, si mette a disposizione.
Ma non abbastanza per i gusti della Fragni, che si sfoga con la figlia: “Gli ho detto: ma non ti vergogni di farti vedere adesso? Tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona… Ecco, capito? ‘Ah, son dispiaciuta’… No, non si è dispiaciuti! Sono stati capaci di mangiare tutti”.
Fra questi anche il rampollo Peluso. Almeno secondo Giulia Ligresti, che prima dell’arresto lo accusava di aver “distrutto la compagnia” nei pochi mesi di permanenza ai vertici di Fonsai: solo che “invece di chiedergli i danni”, “in consiglio nessuno ha fiatato” quando si decise di liquidarlo con 3,6 milioni (lei dice addirittura 5) di buonuscita dopo appena un anno, “approvato all’unanimità, che se fosse stato il nome di qualcun altro…”. Resta da capire chi sia “la persona” che “ha messo lì” la ministra. Chi siano i “tutti” che hanno “mangiato”.
E in che senso il “nome” di Peluso gli abbia garantito tutti quei milioni. Basterebbe questo per consigliare alla ministra di andarsene.
Ma c’è molto di più, perché il 17 agosto, quando la richiesta di scarcerazione di Giulia Ligresti per motivi di salute (anoressia e rifiuto del cibo) viene inizialmente rigettata dal gip di Torino, la Fragni chiama il quasi-cognato Nino perché mobiliti “quella nostra amica”. Che è la ministra della Giustizia. Lui la chiama, lei risponde.
Poi telefona ai vicedirettori delle carceri, Cascini e Pagano, perché intervengano. Infine avverte via sms Nino Ligresti: “Ho fatto la segnalazione”.
La scena ricorda parecchio le telefonate di B. da Parigi alla Questura di Milano per far liberare Ruby, appena fermata per furto, e affidarla a Nicole Minetti.
E le chiamate di Nicola Mancino al consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, per influenzare o spostare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Ma stavolta – diversamente dai funzionari della Questura e dal duo D’Ambrosio-Napolitano – Cascini e Pagano rispondono che non si può fare niente, se non affidarsi alle normali procedure giudiziarie.
E stoppano sul nascere le pressioni della ministra, che per questo unico motivo non giungeranno mai sul tavolo dei magistrati di Torino.
I quali decideranno autonomamente di scarcerare Giulia Ligresti per motivi di salute, come prevede la legge, dopo il suo patteggiamento, mentre tengono tuttora in carcere la sorella Jonella, che non è malata e non ha patteggiato: la prova che nessun favoritismo è stato fatto dalla Procura e dal gip ai Ligresti amici della ministra.
La quale, due giorni dopo l’uscita della notizia, ancora finge di non cogliere lo scandalo e dice di aver fatto “il mio dovere” a scopo “umanitario”.
Ma il dovere di un ministro, quando riceve una segnalazione, è quello di dirottare il segnalatore alle autorità competenti: che, essendo la legge uguale per tutti, non sono l’amica ministra, ma i giudici attraverso gli avvocati difensori.
Che queste cose finga di non capirle la signora Cancellieri è comprensibile: difende la poltrona e, se ci riesce, la reputazione.
Ma che non le capiscano i politici, almeno quelli del Pd che giudicano un abuso di potere le telefonate di B. per Ruby, è sconcertante.
Pigolano “richieste di chiarimenti” e balbettano giaculatorie sulla “trasparenza”, come se la lettura delle intercettazioni non fosse abbastanza chiara e trasparente.
Si trincerano dietro il fatto che la Cancellieri non è indagata (e chi se ne frega: oltre alla responsabilità penale, c’è anche quella politica e morale). Sventolano il comunicato della Procura di Torino che nega di aver subito pressioni dalla ministra: ma non perché non ci siano state, bensì soltanto perché furono stoppate prima.
Finirà che, per salvare la madrina della figlia di Ligresti, crederanno pure al padrino della nipote di Mubarak.

Marco Travaglio
Da Il Fatto Quotidiano del 02/11/2013.

sabato, novembre 02, 2013

SOS Carceri.

CASO LIGRESTI, PER L’OUA QUELLA DEL MINISTRO CANCELLIERI È SENZA DUBBIO UNA CONDOTTA CENSURABILE: DIMISSIONI!

NICOLA MARINO, OUA: “NELLE CARCERI NON CI POSSONO ESSERE DETENUTI DI SERIE A CON IN SANTI IN PARADISO E ALTRI DI SERIE B SENZA DIRITTI. LE CONDIZIONI DI DETENZIONE SONO SPESSO DISUMANE PER I PRESUNTI PICCOLI DELINQUENTI, COSÌ COME PER I COLLETTI BIANCHI. ATTENDIAMO SPIEGAZIONI CONVINCENTI O LE DIMISSIONI DELLA GUARDASIGILLI. QUELLO DELLE TELEFONATE È UN PESSIMO VIZIO DELLA POLITICA ITALIANA”.
Duro il giudizio dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura su quanto emerso nei verbali dell’inchiesta Fonsai in relazione all’interessamento del ministro Cancellieri, mediante diverse telefonate con la famiglia Ligresti, per le condizioni di detenzione di Giulia Ligresti.
Per il presidente dell’Oua, Nicola Marino, quella della Cancellieri, «è una condotta gravissima, un ennesimo episodio di “malapolitica” a tutela di una “potente” in gravi condizioni di salute (che sono la dimostrazione di un serio problema dei nostri istituti penitenziari), come è la figlia di Ligresti, in carcere da diversi mesi e ora ai domiciliari».
«Assistiamo – aggiunge - a una gestione opaca di una vicenda, in cui un malinteso senso dell’“amicizia” (oltretutto il figlio della Cancellieri, lavorava in Fondiaria, appunto), porta a un interessamento che, seppur si dimostrasse lecito, è decisamente censurabile».
«Le condizioni di detenzione – continua il presidente Oua - sono spesso disumane per i presunti piccoli delinquenti, così come per i colletti bianchi. Le telefonate del ministro, un pessimo e ricorrente vizio della politica italiana, necessitano di spiegazioni davvero convincenti in Parlamento, altrimenti attendiamo le dimissioni. Nelle carceri non ci possono essere detenuti di serie A, con i “santi in paradiso” e altri di serie B senza diritti».
«D’altronde questo è l’ennesimo errore del Guardasigilli – conclude Marino - come dimostrano le continue polemiche che l’hanno coinvolta in questi mesi, dal caso Ablyazov, la deportazione della famiglia kazaka, al fuorionda contro l’avvocatura, il famoso “me li tolgo dai piedi”».

Roma, 1 novembre 2013

venerdì, novembre 01, 2013

Deontologia: illecito dare del “profano” al collega.

“Violano l’art. 20 del c.d.f. le espressioni usate dal professionista che rivestano un carattere obiettivamente offensivo o sconveniente e che si situino ben al di là del normale esercizio del diritto di critica, per entrare nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell’operato altrui (Nel caso di specie, l’avvocato subentrato nella difesa aveva dichiarato di dissociarsi dall’operato del collega sostituito, perché caratterizzato da quella “assenza di cognizioni tecniche specifiche, che induce il profano in errore”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione della censura)”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Neri), sentenza del 17 luglio 2013, n. 99.