giovedì, luglio 24, 2008

Assemblea per l'Elezione dei Delegati al prossimo Congresso Forense.


CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SALERNO

Il Consiglio,nella seduta del 22 luglio 2008, ha indetto l'Assemblea degli iscritti, in prima convocazione per il giorno 09 settembre 2008, ore 8,00 e in seconda convocazione, per lo stesso giorno 09 settembre 2008, ore 10,00, presso l'Aula "Mario Parrilli" del Palazzo di Giustizia per deliberare sul seguente
ORDINE del GIORNO
Elezione di n.17 delegati al XXIX Congresso Nazionale Forense che si terrà in Bologna dal 13 al 16 novembre 2008.
I Colleghi che intendono far parte della delegazione sono invitati, per motivi organizzativi, ad avanzare la propria candidatura dandone comunicazione scritta alla segreteria dell'Ordine entro le ore 12 del 29 agosto 2008, fermo restando che sono eleggibili tutti gli iscritti all'Albo alla data del 31.12.2007.

Poichè il regolamento congressuale prevede che i delegati devono essere eletti a scrutinio segreto,dagli iscritti, le operazioni di voto si svolgeranno il giorno 09 settembre 2008 dalle ore 10 alle ore 17.
Risulteranno eletti i primi diciasette candidati che avranno riportato il maggior numero di preferenze e risulteranno supplenti i primi diciasette candidati non eletti.
Si raccomanda ai Colleghi che risulteranno eletti di garantire la loro partecipazione ai lavori congressuali ed alla votazione finale.
Ulteriori eventuali chiarimenti potranno essere richiesti presso la Segreteria,ove sarà possibile ritirare copia del programma di massima,o collegandosi al sito Internet www.XXIX congressoforense.it.

Dal Palazzo di Giustizia,22 luglio 2008

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DELIBERA CONGRESSO

Il Presidente relaziona circa il prossimo Congresso Nazionale Giuridico Forense.

il Consiglio delibera
1) le elezioni dei delegati si terranno il giorno nove settembre 2008 ore 8,30 in prima convocazione ed il giorno nove settembre 2008 ore 10,00 in seconda convocazione, con le modalità di cui al manifesto,che forma parte integrante della presente delibera e viene allegato -sub a-.
2) l’elettore potrà esprimere undici preferenze, ai sensi dell’art.2/2 della mozione n. 27 approvata al Congresso Straordinario di Verona;
3) l’avviso delle elezioni sarà pubblicato,con le modalità di cui all’elezione per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine, sul quotidiano “Cronache del Mezzogiorno”
4) per favorire le operazioni di voto e di scrutinio saranno affissi,a cura del Consiglio, manifesti che indicheranno i nominativi dei Colleghi che avranno comunicato all’Ordine la propria candidatura entro la data del 29 agosto 2008, fermo restando che sono eleggibili tutti gli iscritti all’Albo al 31.12.2007;
5) il Consiglio rimborserà,al termine dei lavori congressuali ,e verificata la partecipazione, la quota di iscrizione solo a coloro i quali dimostreranno di essersi iscritti entro il 20 ottobre 2008.
6) il Consiglio si assume l’onere delle spese di viaggio(andata giovedì 13/11/08 e ritorno domenica 16.11.2008)con autopulman, solo nell’ipotesi che il numero dei delegati, degli accompagnatori e di Colleghi partecipanti al Congresso, che richiederanno, entro il 20/10/2008, tale mezzo di trasporto, sia superiore a venti;
7) ai giovani Colleghi infra quarantenni,che saranno eletti delegati e parteciperanno ai lavori congressuali,il Consiglio riconoscerà,oltre alla quota di iscrizione e di trasporto,come al punto 6 che precede,un rimborso spese forfettario di e.500,00
Delibera
Inoltre l’affissione del manifesto, che forma parte integrante della presente delibera e viene allegato -sub b), e la pubblicizzazione a mezzo sito www.ordavvsa.it
Manda al Consigliere Tesoriere per quanto di sua competenza ed alla Segreteria per gli adempimenti.

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Manifesto

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SALERNO

In occasione del XXIX Congresso Nazionale Giuridico Forense(Bologna 13/16 novembre 2008), nella tornata del 22 luglio 2008 ,il Consiglio ha assunto la seguente delibera:

”Omissis...
5) Il Consiglio rimborserà, al termine dei lavori congressuali e verificata la partecipazione, la quota di iscrizione solo a coloro i quali dimostreranno di essersi iscritti entro il 20.10.2008
6) Il Consiglio si assume l’onere delle spese di viaggio(andata giovedì 13.11.08 e ritorno domenica 16.11.2008)con autopulman,solo nell’ipotesi che il numero dei delegati,degli accompagnatori e di Colleghi partecipanti al Congresso,che richiederanno tale mezzo di trasporto,entro il 20.10.2008,sia superiore a venti; 7)Ai giovani Colleghi infra quarantenni,che saranno eletti delegati e parteciperanno ai lavori congressuali,il Consiglio riconoscerà,oltre alla quota di iscrizione e di trasporto,come al punto 6 che precede,un rimborso spese forfettario di e.500,00-Omissis-"
Dal Palazzo di Giustizia,22 luglio 2008

mercoledì, luglio 23, 2008

CNF: potenziare il localismo giudiziario per rilanciare l'efficenza del sistema.


Roma, 23 luglio 2008 – Giustizia e territorio. Le caratteristiche socioeconomiche del territorio sono determinanti per il livello qualitativo della giustizia, e i «localismi» influenzano il modo in cui si muovono gli attori del sistema giudiziario.
È quanto emerge dal rapporto Censis, realizzato attraverso l’esame di cinque aree campione, per valutare i problemi della giustizia e le proposte di miglioramento espresse dai soggetti attivi sul territorio.
Le diverse velocità dell’economia e della giustizia nelle diverse aree del paese possono creare danni e rallentamenti del sistema giudiziario talvolta insopportabili.
Quando la crescita economica è sganciata da un’analoga crescita educativa e civica e da un ritmo di produzione giudiziaria altrettanto consistente, si produce un effetto sociale di smarrimento e si aprono spazi fertili per la nascita di forme di illecito nuove o più organizzate.
Per diffondere la cultura della legalità e costruire un modello di giustizia efficiente ed equo, intervenendo sulla «macchina» giudiziaria, non basta quindi produrre regole e presiedere al loro rispetto, ma occorre stimolare un nuovo approccio «dal basso», partendo dalle singole realtà territoriali.
La domanda sociale scarica sulla giustizia molte delle contraddizioni legate alla crescita economica e al bisogno di sicurezze.
Il processo di scomposizione del welfare tradizionale ha portato a una diversa strutturazione dei diritti, non più legati solo a principi astratti e universali, bensì divenuti espressione di un bisogno crescente di benessere del cittadino.
È quindi in corso una forte frammentazione dei diritti, che non si presentano più come rivendicazione di valori generali, di origine costituzionale, ma assumono valenze specifiche che si ricollegano alle condizione di vita individuali.
In questo modo si determina un dirottamento verso le sedi di risoluzione giudiziaria delle controversie, creando ulteriori ingorghi.
I magistrati in servizio, poco più di 9 mila, operano con una carenza di organico pari all’11,8%.
E non è risolutorio il fatto che alla magistratura ordinaria si affianca la magistratura onoraria, che presenta quasi la stessa consistenza quantitativa (9.073 giudici ordinari a fronte di 8.351 giudici onorari).
Gli organici del personale giudiziario, circa 50 mila persone bloccate dal regime di assunzioni vigente nel pubblico impiego, sono sottodimensionati del 6,5% effettivo, ossia al netto dei distacchi da altre amministrazioni.
Sono inoltre gravati dallo squilibrio della distribuzione interna, con uffici in sopranumero e altri con carenze di personale che arrivano al 20%.
A ciò si aggiunge la mancanza di una strategia di gestione e di valutazione del personale. Senza contare l’inadeguatezza dell’apparato tecnologico e infrastrutturale degli uffici giudiziari, che solo di recente e solo in una parte del paese sono stati coinvolti in forme sperimentali di trasferimenti online delle pratiche. A questa situazione di non-governo del personale giudiziario si accompagna la difficoltà di applicare gli istituti di legge relativi alla valutazione delle professionalità dei magistrati, che rappresenterebbe il necessario complemento di una scelta gestionale orientata di più al criterio dell’efficienza.
L’avvocatura, sollecitata dalle tendenze della domanda di giustizia e dai mutamenti del mercato professionale, risente molto più della magistratura dell’andamento delle economie locali.
Soprattutto gli avvocati più giovani fronteggiano la domanda di consulenza di tipo seriale espressa dai singoli individui, mentre la domanda qualificata delle imprese o delle organizzazioni complesse si incanala verso studi professionali altrettanto complessi, diffusi soprattutto nelle aree economiche più sviluppate.
Con ciò si determina una polarizzazione delle occasioni professionali fra i pochi che presidiano la quota migliore del mercato e i molti destinati a coprirne la parte meno qualificata.
Gli avvocati sono obbligati così a privilegiare competenze multidisciplinari, poiché devono imparare a destreggiarsi con tutte le materie legali, a scapito della specializzazione delle competenze, che rappresenta la naturale conclusione del rapporto con una domanda più esigente e qualificata.
“Occorre invertire questa tendenza, equilibrando il rapporto offerta/domanda. Obiettivo che si potrà raggiungere attraverso un costante monitoraggio del mercato professionale e favorendo l’acquisizione da parte dei giovani avvocati di quelle competenze essenziali rispetto al funzionamento del mercato stesso. In questa direzione, per esempio, va il progetto AIGA della costituzione di una Agenzia per il lavoro intellettuale, per il quale è in corso la firma di un protocollo con i ministeri del lavoro e della giustizia”, anticipa il presidente dell’Aiga Valter Militi.
Quali vie d’uscita? Occorre innanzitutto scardinare l’immagine stereotipata di una giustizia «contro» (e non una giustizia «per»), che scoraggia i cittadini dall’affidarsi al sistema con fiducia e non consente alla giustizia di diventare una delle leve della competitività, al pari di quanto si cerca di ottenere in altre amministrazioni pubbliche.
«Occorre infondere nel sistema giudiziario la cultura dell’efficienza attraverso lo sviluppo di una logica della qualità dell’intera filiera giudiziaria», ha osservato Giuseppe De Rita, presidente del Censis.
Ciò significa pensare alla giustizia come un sistema aperto, in cui intervengono i fattori strutturali (tecnologia, professionalità degli amministrativi), i fattori professionali (giudici e avvocati) e i fattori di supporto (polizia giudiziaria, consulenti tecnici).
I magistrati dovrebbero orientare la propria cultura professionale non solo alla giurisdizione, ma anche al servizio pubblico; mentre l’avvocatura dovrebbe assumersi la responsabilità di governare la propria crescita e di sostenere il processo di miglioramento delle competenze espresse, soprattutto dai più giovani, dotandosi di una logica di monitoraggio del proprio mercato sul piano locale.
La sfida della professionalità, ha ricordato il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa, è “ben presente al Cnf che ha investito gran parte della sua attività delle due ultime consiliature per promuovere la formazione professionale degli avvocati, adottando il regolamento per la formazione continua e organizzando seminari di studio dedicati non solo alle novità legislative e giurisprudenziali ma anche all’affinamento dei rimedi per la tutela degli interessi dei clienti, per l’affermazione dei diritti fondamentali e per l’abbreviazione dei tempi del processo”. Sulla specializzazione il discorso diventa più prudente perché “un conto è la formazione di base, che deve essere completa, altro i settori di maggior impegno professionale per ciascun avvocato, altro ancora il conseguimento di un titolo specialistico a seguito di corsi ad hoc”.
La Fondazione dell’avvocatura, è l’impegno del coordinatore Ugo Operamolla, “proseguirà tutte le iniziative avviate di concerto con il Cnf dirette ad approfondire i temi inerenti al migliore e più corretto esercizio professionale sia con riferimento al mercato interno che agli strumenti di cooperazione giudiziaria in ambito europeo”.
Questi sono alcuni dei risultati di una ricerca realizzata dal Censis e promossa da Consiglio Nazionale Forense, Fondazione dell’Avvocatura Italiana e Associazione Italiana Giovani Avvocati, presentata oggi a Roma presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani.

Giustizia: Napolitano ha promulgato la legge con il Lodo Alfano.


(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 23 lug - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha promulgato la legge con il cosiddetto Lodo Alfano per l'immunita' alle quattro piu' alte cariche dello Stato.
Lo riferisce una nota del Quirinale, ribadendo che le norme "a un primo esame" corrispondono ai rilievi con cui la Corte Costituzionale nella sentenza del 2004 dichiaro' illegittimo il precedente Lodo Schifani.
La Corte, infatti, sottolinea il Quirinale, non sanci' che la norma di sospensione di quei processi dovesse essere adottata con legge costituzionale.

martedì, luglio 22, 2008

Un buon consiglio da un avvocato............

...Questi sono i "fratelli d'Italia"!

Per l’ammissione al gratuito patrocinio, non si computano le deduzioni spettanti ai sensi degli artt. 11 e 12 del TUIR (Cass.Pen. sent. 22299/2008).


Patrocinio a spese dello Stato - revoca ammissione - determinazione dei limiti di reddito - detrazioni o deduzioni
Cassazione – Sezione quarta pen. – sentenza - 4 giugno 2008, n. 22299

Fatto e Diritto
Il Giudice del Tribunale di Palmi, con provvedimento in data 21-6-2005, revocava l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato già disposta in favore dell'imputato Antonimi I. , perché, a seguito di accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, era emerso altro reddito percepito dal padre dello I. pari ad euro 941,64 che comportava il superamento dei limiti di reddito previsti, per la concessione del beneficio, dagli artt. 76 e 92 D.P.R. 115/2002.
Proposta opposizione ex art. 99 D.P.R. 115/2002, il Giudice delegato dal Presidente del Tribunale rigettava il ricorso, con ordinanza del 10/10/2005.
Osservava che, ai sensi dell'art. 76, per la determinazione dei limiti di reddito occorreva fare riferimento al reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, tenendo conto anche dei redditi esenti o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
Di conseguenza, diversamente da quanto sostenuto dall'interessato, non potevano computarsi, ai fini del calcolo in esame, le deduzioni spettanti ai sensi degli artt. 11 e 12 del TUIR.
Lo I. avanzava ricorso per cassazione.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedeva il rigetto.
Il ricorso si palesa infondato, per cui va respinto.
Il rilievo esposto dal Giudice del merito appare corretto.
Invero, nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell'individuazione delle condizioni necessarie per l'ammissione al gratuito patrocinio, non si può tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore nel T.U., ed in particolare dell'art. 11 citato (introdotto dalla Legge 289/2002 ), che prevede la deduzione di euro 3.000 per garantire la progressività dell'imposta.
Si tratta, appunto, di deduzioni introdotte ai fini della determinazione concreta dell'imposta da pagare, concetto questo che presenta una configurazione diversa rispetto al reddito imponibile cui fa riferimento l'art. 76 del D.P.R. in tema di spese di giustizia, che intende dare rilevanza anche a redditi non assoggettabili ad imposta ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell'istante, (v. sul punto, la sentenza della Corte Costituzionale in data 17-3-1992 n°144).
La reiezione del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione IV° Sezione Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La giustizia, la privacy e l'equilibrio dei diritti.

Nel messaggio di saluto indirizzato ieri al convegno in memoria di Vittorio Chiusano, valoroso avvocato di grande equilibrio e non dimenticato presidente dell'Unione delle Camere penali, il Capo dello Stato ha toccato (non soltanto di striscio) uno dei temi più delicati della giustizia penale, sempre più spesso ridotta a «giustizia spettacolo ».
E lo ha fatto con grande chiarezza e intensità di accenti.
Si tratta del tema relativo alla garanzia della privacy delle persone coinvolte nel processo, e prima ancora nelle indagini, sotto il particolare profilo del rapporto tra tale garanzia e l'esercizio del diritto di cronaca.
Tema delicato e complesso, di cui per certi aspetti già il codice si fa carico, ad esempio in materia di ripresa televisiva delle udienze dibattimentali (attraverso una disciplina volta comunque a tutelare i soggetti che non vi consentano), e di cui sovente si torna a discutere.
Specialmente di fronte a certe esorbitanze dei salotti televisivi, nei quali troppo spesso si disputa di giustizia, senza l'osservanza — ovviamente — delle regole e dei limiti propri della legge processuale: con il duplice rischio di ingenerare errati convincimenti nell'opinione pubblica (anche per la mancanza di contraddittorio), e di pregiudicare indebitamente l'immagine delle persone di cui si parla (non di rado anche in loro assenza).
E questo senza dire di altre, e ben più gravi, esorbitanze verbali di uomini politici nei confronti di singoli magistrati, o dell'intera magistratura.
È chiaro tuttavia — sebbene il presidente Napolitano non lo dica espressamente — che i rilievi contenuti nel suo messaggio sono riferibili anche, anzi soprattutto, al problema delle intercettazioni telefoniche, o meglio al fenomeno della pubblicazione sui giornali (ma spesso anche nei ben noti salotti televisivi, con l'aggravante della simulazione sonora dei dialoghi captati) dei risultati di tali intercettazioni.
È proprio con riferimento a questo fenomeno, ed alle sue più clamorose degenerazioni, infatti, che negli ultimi tempi è apparsa sempre più urgente l'esigenza di realizzare «con responsabilità e senso del limite», il contemperamento di due valori solo in apparenza contrapposti: da un lato la «difesa del diritto alla informazione» (come diritto sia di informare, sia di essere informati), e, dal-l'altro, la «tutela del diritto dei cittadini a vedere salvaguardata la loro riservatezza».
E non c'è dubbio, come sottolinea ancora Napolitano — stigmatizzando una innegabile, quanto deplorevole, tendenza alla «spettacolarizzazione dei processi» — che il momento di maggiore criticità riguardi la «divulgazione di notizie attinenti a terzi estranei alle vicende» oggetto di tali processi.
Il discorso, a questo punto, si riallaccia inevitabilmente alle proposte di politica legislativa ancora di recente formulate (attraverso il disegno di legge presentato dal ministro Alfano) in materia di riforma delle intercettazioni telefoniche.
Perché, a ben vedere, come ha ricordato da ultimo anche il Garante della privacy Francesco Pizzetti, la vera «anomalia tutta italiana» dell'attuale disciplina risiede non già nella quantità o nella durata (valutazioni quantomai opinabili, da parte di chi non conosca in concreto le esigenze delle indagini) delle intercettazioni ammesse, bensì nella circostanza che (attraverso l'abusiva pubblicazione dei colloqui intercettati) si pervenga a sacrificare «il rispetto della dignità e del decoro delle persone coinvolte», per usare ancora le parole di Napolitano.
Sia delle persone estranee al processo, sia anche degli indagati o degli imputati, con riferimento a conversazioni non concernenti la vicenda processuale.
È questo, dunque, il versante su cui dovrà intervenire il legislatore, del resto lungo la strada segnata dal progetto Mastella (approvato dalla Camera, pressoché all'unanimità, nell'aprile 2007), sulla scia delle indicazioni già contenute nel progetto Flick di oltre 10 anni orsono, oggi recepite anche nel progetto della Repubblica di San Marino.
Si tratta, in sintesi, di stabilire — predisponendo allo scopo opportuni filtri di controllo, anche da parte dei difensori — che i risultati delle intercettazioni concernenti persone, fatti o circostanze estranei alle indagini non debbano nemmeno venire depositate tra le carte processuali, essendo essi irrilevanti, ma debbano rimanere custodite in un apposito «archivio riservato», con il vincolo del segreto, e sotto la responsabilità di un magistrato della procura.
Inutile dire che di queste ultime intercettazioni (in quanto segrete, e come tali destinate ad essere distrutte) dovrà essere rigorosamente vietata la pubblicazione, con la previsione di sanzioni anche gravi in caso di violazione del divieto.
Mentre, per quanto riguarda i risultati delle intercettazioni acquisite al processo, in quanto riconosciute rilevanti, non si vede la necessità di vietarne la pubblicazione (almeno nel loro contenuto), una volta caduto il segreto sulle medesime.
Vittorio Grevi
22 luglio 2008
www.corriere.it

Appello per la giustizia (Oua - Anm).


L'Associazione Nazionale Magistrati e l'Organismo Unitario dell'Avvocatura, procedendo ad un esame congiunto del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", attualmente all'esame del Parlamento in sede di conversione,

rilevato

- che il decreto-legge n. 112 / 2008 prevede norme condivisibili volte a migliorare l'efficienza dell'azione amministrativa dello Stato, ad esempio attraverso una più diffusa utilizzazione degli strumenti informatici e telematici [cfr. ad es. gli artt. 27 ("tagliacarta") e 51 (comunicazioni e notificazioni per via telematica)], il recupero di efficienza nella riscossione di somme dovute allo Stato anche per sanzioni [art. 52 (misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia)] e una migliore gestione dei rapporti di lavoro dipendente [cfr. alcuni aspetti di cui all'art. 72 (personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo)];

- che lo stesso decreto-legge - con l'intento di "ridurre, a decorrere dalla seconda metà dell'esercizio finanziario in corso, l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche" - prevede altresì norme che incidono pesantemente - nel prossimo triennio e, in un caso, sino al 2013 – anche sulle risorse, materiali e soprattutto umane, del settore Giustizia, ritenute "sovradimensionate", non solo nelle dotazioni organiche ma anche nelle, pur inferiori, presenze in servizio [cfr. gli artt. 25 ("taglia-oneri" amministrativi), 60 (missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica), 66 (turn over), 72 (personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo) e 74 (riduzione degli assetti organizzativi)];

- che tali norme di riduzione di dotazioni sia di fondi che di personale si applicano anche, senza eccezioni, per il settore giustizia;

- che altri settori dell'amministrazione pubblica sono stati invece in vario modo preservati, almeno in parte, dai tagli, sul presupposto della "valenza strategica del settore" [art. 66 (turn over)] ovvero sono destinatari [art. 63 (esigenze prioritarie)] di una "integrazione" della dotazione di risorse "resa necessaria - si legge nella relazione al disegno di legge di conversione - per consentire l'acquisto di beni e servizi indispensabili per il mantenimento di un livello minimo di efficienza delle funzioni amministrative e tecniche di dette istituzioni, . incremento reso indifferibile, altresì, in considerazione del significativo ammontare dei debiti pregressi accumulati che, in mancanza di intervento, subirebbe un ulteriore aumento con indubbie ricadute negative";

- che, secondo dati di fonte ministeriale, la percentuale di scopertura media nazionale delle risorse umane (intesa come presenze in servizio rispetto alle dotazioni organiche) è del 12,63%, di cui 12% per i magistrati ordinari, 14% per i magistrati onorari, 13% per il personale amministrativo e 27% per i dirigenti;

- che l'indice reale di scopertura, quanto al personale amministrativo, è ancora superiore al dato sopra indicato, ottenuto attribuendo al personale che beneficia del part-time (e di cui non si conosce il dato complessivo) lo stesso peso del personale a tempo pieno;

- che, a fronte della progressiva riduzione della pianta organica del personale amministrativo, di oltre 8'000 unità dal 1996 ad oggi, ed invece del costante incremento della domanda di giustizia, espressa dalla continua lievitazione degli indici delle sopravvenienze di procedimenti, sia nel settore penale che civile, non è stata contemporaneamente attuata alcuna strutturale riorganizzazione dei metodi e degli strumenti di lavoro, anche per quanto riguarda il concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali;

- che è opinione condivisa da tutti gli operatori del settore che le attuali dotazioni di risorse, sia materiali che umane, a disposizioni del settore giustizia sono insufficienti per consentirne il funzionamento ordinario; che le condizioni in cui presso gli uffici giudiziari si è chiamati quotidianamente a svolgere, nei rispettivi ruoli, delicate attività afferenti i diritti fondamentali delle persone mortificano visibilmente, a diverso titolo, la professionalità di tutte le categorie che operano nel settore; che non è stata adottata alcuna seria iniziativa volta alla tutela dell'importanza e dignità della funzione giurisdizionale ed al riconoscimento, alla motivazione, all'incentivazione e alla riqualificazione degli operatori in coerenza al rilievo delle funzioni esercitate;

- che, nonostante reiterate autorevoli proposte organiche di riforma e semplificazione di riti e procedure e di ridefinizione dell'area dei beni giuridici penalmente tutelati e nonostante le iniziative in questi campi attualmente all'esame, difetta tuttora una complessiva strategia e volontà d'intervento tese a realizzare il precetto costituzionale di garanzia della ragionevole durata dei processi, mentre gli attuali, pur nettamente deficitari, standard di risposta alla domanda di giustizia dei cittadini sono garantiti solo a prezzo della costante opera di supplenza svolta dai magistrati, dagli avvocati e dal personale amministrativo, che sopperiscono alle croniche carenze di mezzi e risorse, ben al di là delle competenze fissate dalle leggi processuali;

- che il malfunzionamento del settore giustizia è purtroppo sotto gli occhi di tutti i cittadini e non necessita di particolari spiegazioni, mentre appare inammissibile continuare a scaricarne l'esclusiva responsabilità sui magistrati, anche onorari, e su avvocati e personale amministrativo, sottacendo che soltanto la loro generosa e non dovuta opera di supplenza ha fin qui impedito la definitiva paralisi del sistema;

- che oltre al problema della gestione dell'ordinario e dei flussi di domanda di giustizia in entrata, l'Italia possiede un enorme "debito pubblico giudiziario", tanto da essere sotto stretta osservazione a livello europeo e soggetta ad una procedura che potrebbe portare all'adozione di provvedimenti da parte del Consiglio d'Europa;

- che è certamente possibile migliorare l'efficienza del settore giustizia attraverso la sua riorganizzazione e informatizzazione, così come dimostrato dalle cd. "best practices" di alcuni uffici che hanno ottenuto anche prestigiosi riconoscimenti all'estero;

- che l'attuale dibattito politico rivela in modo inequivocabile l'esistenza di un'emergenza giustizia e la priorità delle esigenze del settore per rispondere alle domande dei cittadini;

- che tutte le forze politiche hanno dichiarato di condividere tale analisi e di voler porre la questione giustizia al centro dell'azione di governo e legislativa, tanto che la manovra finanziaria impostata prevede numerose disposizioni in materia di giustizia civile, amministrativa, tributaria e penale;

- che tale analisi e la richiesta di soluzione al problema giustizia è costantemente invocata anche dalle forze sociali e produttive del paese le quali, a livello istituzionale e con ricchezza di analisi econometrica, indicano l'inefficienza del settore giustizia tra le cause principali della mancanza sia di competitività del paese, sia di attrazione degli investimenti e, in definitiva, dell'inesigibilità dei diritti costituzionalmente riconosciuti e tutelati;

- che non appare seriamente sostenibile l'esclusione del settore giustizia da quelli di "valenza strategica" per il Paese, considerato che la Giustizia rappresenta, indubbiamente, una "esigenza prioritaria", anche alla luce della crescente domanda di sicurezza espressa dai cittadini e degli impegni in tal senso assunti dalla politica;

- che, conseguentemente, il settore giustizia deve essere non solo esonerato dai tagli ma implementato nelle dotazioni, così come fatto per altri settori di "valenza strategica" o il cui miglior funzionamento costituisce, come per la giustizia, una "esigenza prioritaria";

- che, fra l'altro, la struttura del bilancio dello Stato impedisce di comprendere quale sia l'effettivo "bilancio della Giustizia", poiché la maggior parte delle entrate ricollegabili all'attività della "macchina giudiziaria" non confluiscono nel bilancio del Ministero della Giustizia, bensì nell'insieme di tutte le entrate, rendendo così impossibile una realistica valutazione del rapporto di congruità fra investimenti, domanda e resa del servizio nonché della giustificazione del progressivo aumento dei costi addossati ai cittadini per accedere alla giustizia (per es. mediante l'aumento del contributo unificato) senza che le maggiori entrate, per i già ricordati complessi meccanismi di bilancio, siano poi riversate al Ministero della giustizia e quindi destinate, come affermato, a migliorare l'efficienza del servizio;

chiedono

- che, nell'immediato, in sede di conversione del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, il Governo voglia proporre e il Parlamento voglia adottare emendamenti a tale provvedimento che inseriscano espressamente l'amministrazione della giustizia tra quelle di "valenza strategica" per il Paese il cui migliore funzionamento costituisce una "esigenza prioritaria" e la esonerino conseguentemente dai "tagli", disponendo l'inapplicabilità per l'amministrazione della giustizia degli artt. 25 ("taglia-oneri" amministrativi), 60 (missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica), 66 (turn over), 72 comma 6 ultima parte (personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo) e 74 (riduzione degli assetti organizzativi), nella parte in cui prevedono riduzioni di fondi e personale non solo rispetto alle dotazioni di organico ma anche rispetto alla situazione delle attuali presenze in servizio;

- che, con una visione prospettica di più ampio orizzonte, il Governo, il Ministero per la Giustizia e il Parlamento vogliano adottare ogni provvedimento volto al miglioramento, per quanto di rispettiva competenza, dell'efficienza dell'amministrazione della giustizia e al riconoscimento e alla valorizzazione della professionalità e della dignità delle funzioni di magistrati, avvocati e personale amministrativo, disponendo lo stanziamento delle risorse aggiuntive necessarie e la razionalizzazione dei flussi di spesa, previa una attenta verifica della loro destinazione ed utilità;

- che Governo, Ministero e Parlamento vogliano creare un osservatorio-cabina di regia centrale per la verifica dei dati della giustizia, completo, accessibile, trasparente, costantemente aggiornato e cogestito, con la partecipazione attiva delle rappresentanze della magistratura, dell'avvocatura e del personale, che si accompagni all'avvio di un serio ed effettivo processo di monitoraggio e verifica sui meccanismi di acquisizione, allocazione e gestione delle risorse, umane e materiali, dell'amministrazione della Giustizia, e della loro distribuzione sul territorio;

- che venga dato impulso ad un progetto di modernizzazione degli uffici giudiziari mediante adeguati investimenti nel progetto del "processo telematico" e nella riorganizzazione del lavoro, innescando così un processo virtuoso che consenta di destinare il tempo lavorativo non più utilizzato per attività di c.d. front office (ad es. per effettuare la movimentazione e la copia cartacea di atti e documenti) in attività di effettivo e diretto supporto dell'attività giurisdizionale;

- che eventuali decisioni di tagli delle risorse e degli organici del personale del settore giustizia, anche rispetto alle attuali presenze in servizio già ridotte rispetto alle dotazioni organiche, vengano adottati solo dopo il miglioramento e la riorganizzazione delle attuali (ed inefficienti) strutture degli uffici giudiziari e dell'amministrazione della giustizia e dopo la ricognizione di tutti i dati del settore giustizia e del "bilancio giustizia";

auspicano

la massima diffusione e il più ampio contributo ed adesione al presente appello di tutti gli organismi rappresentativi delle categorie professionali della giustizia, delle forze politiche, delle associazioni sindacali e delle forze economiche, dei consumatori e della società civile, richiamando anche l'iniziativa adottata dalle Organizzazioni sindacali di indizione di una giornata di mobilitazione e di informazione-sensibilizzazione rivolta alla cittadinanza il prossimo 22 luglio presso gli uffici giudiziari;

convengono

di darsi appuntamento in occasione del prossimo 25 ottobre, "Giornata europea della giustizia civile", per la verifica degli impegni concretamente assunti dal Governo nei sensi indicati, riservando in tale sede, in difetto della messa in opera degli ormai indilazionabili interventi risolutivi in materia di giustizia, un attento approfondimento sulle iniziative da assumere per rappresentare all'opinione pubblica le complessive inefficienze del sistema che gravano quotidianamente sui magistrati, sugli avvocati e sul personale amministrativo.

L'Associazione Nazionale Magistrati e l'Organismo Unitario dell' Avvocatura

lunedì, luglio 21, 2008

L'elezione diretta avvicinerebbe i magistrati ai cittadini.


L’elezione dei magistrati da parte dei cittadini, come proposto da Umberto Bossi, e’ per il coordinatore nazionale di Forza Italia, Denis Verdini, "un’idea che avvicina molto la giustizia ai cittadini".
Lo ha affermato Verdini a margine del Caffe’ della Versiliana, intervistato da Romano Battaglia e dal direttore de ’Il Corriere Fiorentino’, Paolo Ermini, che gli chiedevano un parere sul 41 bis e, appunto, sull’idea di Bossi.
"Non e’ da oggi che lui lo propone. Non e’ una novita’ assoluta nel mondo. Come sempre in Italia quando si parla di giustizia si aprono le cateratte del cielo. E’ sicuramente una grande innovazione rispetto all’attuale sistema. Non e’ un sistema sconosciuto da noi, perche’ ha questa caratteristica anglosassone molto marcata".
Quanto al 41 bis "e’ un problema da tempo da una parte ha la sua utilita’ nel combattere la mafia, dall’altro e’ un tipo di carcerazione estremamente duro. D’altra parta l’organizzazione mafiosa riesce comune e sempre a penetrare; e’ un problema che e’ all’ordine del giorno da diversi anni. Il ministro Alfano ha preso questa decisione, e l’ha presa dal suo punto di vista perche’ conosce anche meglio quello che accade nelle carceri".

domenica, luglio 20, 2008

L'aforisma della domenica.


Se temi la solitudine, non cercare di essere giusto.
Jules Renard

Riforma giustizia: Cossiga, Gargani e Vaccarella, Berlusconi si sceglie tre «saggi».

ROMA — Francesco Cossiga, Romano Vaccarella, Giuseppe Gargani.
A loro tre, magari con l’aggiunta di qualche altro professore di diritto, titolato e di area liberale, pensa Silvio Berlusconi quando annuncia che un comitato di saggi dovrà aiutare il Guardasigilli a stendere la riforma della giustizia.
Una riforma, assicura il capo del governo, che dovrà essere radicale, andare cioè alle fondamenta.
Già giudice costituzionale dimessosi in polemica con il governo Prodi che avrebbe influenzato le decisioni dell’alta Corte sui referendum elettorali, Vaccarella è considerato un giurista vicino al centrodestra che appunto lo indicò per la Consulta.
Non altrettanto può dirsi del senatore a vita, Francesco Cossiga, un battitore libero che in passato ha condotto aspre battaglia contro il giustizialismo e le interferenze dei magistrati. Basti pensare che da presidente della Repubblica minacciò di inviare i carabinieri nella sede del Csm per impedire una riunione il cui ordine del giorno non era stato da lui espressamente approvato in quanto presidente del Csm.
Giuseppe Gargani, parlamentare europeo di Forza Italia, con tutta probabilità, avrà il compito di coordinare il comitato.
Lui ha ben chiaro dove si devono mettere le mani per riformare la giustizia. «Occorre tornare a quella parte del programma con cui vincemmo nel 2001».
Entrando nei dettagli, Gargani osserva che i punti rilevanti sono cinque: «La separazione delle carriere tra pm e giudici, il ripristino dell’immunità parlamentare e quindi una diversa disciplina delle autorizzazioni a procedere, una revisione del Csm che introduca la parità tra membri togati e “laici”, cosa questa che a parola trova favorevole anche Luciano Violante, e per quanto riguarda l’azione penale vanno indicate le priorità bisogna cioè dare degli indirizzi, dei criteri ai quali i magistrati devo attenersi e non più affidarsi alla loro discrezionalità».

Il dilemma giudiziario del Partito Democratico.

sabato, luglio 19, 2008

Fini: Borsellino esempio luminoso d’italianita'.



ROMA (ANSA)- "Quello di Paolo Borsellino è un esempio luminoso di italianità e di servizio allo Stato testimoniati fino all'estrema ed eroica coerenza".
Lo afferma il presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, ricordando la figura del magistrato nel 16/o anniversario dell'attentato di Via d'Amelio.
"La lezione di Borsellino - prosegue la nota - mantiene inalterata la sua validità. E' lezione della legalità, del coraggio, del senso del dovere e dell'amore per il proprio Paese e per la propria gente. Un patrimonio morale e culturale prezioso per difendere la democrazia e la libertà dell'Italia. Il suo sacrificio e quello degli uomini della scorta - conclude Fini - siano di incitamento per mantenere alto l'impegno delle istituzioni e della società civile nella battaglia contro la mafia e ogni forma di criminalità organizzata. Al di fuori e contro lo Stato - conclude il presidente della Camera - non c'é civiltà ma la barbarie della prevaricazione e della violenza".

Gasparri: “il CSM è una cloaca”!


Roma – Il capogruppo del Pdl al Senato Gasparri è stato molto diretto.

Parlando del Consiglio superiore della Magistratura, ieri durante un vivace contraddittorio radiofonico,ha detto: “La cloaca del Csm correntizzato, partitizzato e parcellizzato è uno scandalo che offende gli italiani”.

A proposito degli altri principi che regolano la funzione giurisdizionale, Gasparri ha dichiarato: “Reputo prioritaria una equilibrata riforma della giustizia. L’obbligatorietà dell’azione penale è un feticcio teorico perché sono poi i magistrati a decidere quali processi fare e quali non fare”. La separazione delle carriere è un’esigenza prioritaria per restituire maggiore trasparenza alla giustizia, la depoliticizzazione della magistratura è un’emergenza democratica”.

Politica e giustizia: il vero rimedio del conflitto.


Se può essere di consolazione a qualche lettore, la guerra fra politica e giustizia non è un fenomeno esclusivamente italiano.
Esiste sin dagli inizi degli anni Novanta, anche se in forme diverse, in quasi tutte le maggiori democrazie occidentali, dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Spagna alla Germania.
I magistrati lamentano «l’arrogante brama di potere di molti governanti che pretendono di sottomettere la giustizia alle lunghe maglie del loro controllo» (sono le parole di un giudice spagnolo, Baltasar Garzón, tratte da un libro pubblicato nel 2005 da Baldini Castoldi Dalai).
La classe politica deplora l’invadenza della magistratura e il suo tentativo di esercitare una sorta di supervisione su funzioni che sono state tradizionale appannaggio del potere esecutivo e del potere legislativo.
La magistratura rivendica la propria indipendenza e si proclama «bocca del diritto».
La classe politica invoca il mandato popolare e rivendica la propria legittimità democratica. Chiedete ad Aznar, Chirac, Kohl, Bush, Kissinger, Olmert o, se fosse in grado di rispondervi, Sharon, che cosa pensino dei loro magistrati o di quelli che cercano d’incriminarli di fronte al tribunale di un altro Paese.
Vi daranno privatamente risposte non troppo diverse dalle parole con cui Silvio Berlusconi ha polemizzato in questi anni con la magistratura italiana.
Questa guerra della giustizia contro la politica, o viceversa, ha parecchie cause.
Con la fine della guerra fredda e la disgregazione degli Stati comunisti è cominciata la stagione delle guerre civili, delle pulizie etniche, della criminalità senza frontiere, ma anche dei diritti umani, degli interventi umanitari, dei tribunali per i crimini di guerra: occasioni che molti magistrati hanno colto per annunciare il «regno della legalità» e promuovere se stessi al ruolo di sacerdoti di una nuova fede.
Ma gli attacchi terroristici, soprattutto dopo l’11 settembre, hanno fornito ai governi l’occasione per rafforzare i tradizionali poteri dell’esecutivo, dal fermo di polizia all’abolizione di alcune garanzie conquistate negli anni precedenti.
All’ondata pangiudiziaria degli anni Novanta (un’epoca in cui molti magistrati pensavano che tutto potesse venire risolto in un’aula di tribunale) è seguita un’ondata di riflusso durante la quale i governi hanno riconquistato una parte del terreno perduto.
In queste lotte fra poteri è probabile che i magistrati, soprattutto in alcuni Paesi, siano stati avvantaggiati dalla crescente insoddisfazione della società per la «casta » che governa.
La democrazia resta la meno peggiore di tutte le forme di governo possibili, ma non gode di buona salute né da questa né dall’altra parte dell’Atlantico.
Queste sono riflessioni che conviene tuttavia lasciare ai sociologi e ai filosofi della politica. Ciò che maggiormente ci concerne è la constatazione che la guerra è molto più grave e politicamente cruenta in Italia di quanto non sia in altri Paesi comparabili al nostro. Ne conosciamo le ragioni.
I politici hanno delegato ai giudici la lotta contro tre minacce— terrorismo, mafia, corruzione — che hanno insidiato la vita repubblicana degli ultimi trent’anni, e li hanno così implicitamente incoraggiati a uscire dal loro ruolo tradizionale.
La piaga della corruzione ha infettato buona parte della società nazionale.
Berlusconi ha portato con sé, entrando in politica, un conflitto d’interessi che lo ha reso particolarmente criticabile, sospettabile e vulnerabile. E la sinistra, fino a poco tempo fa, ha lasciato spazio ai magistrati nella speranza che la sbarazzassero di qualche scomodo avversario.
È questo il fattore che ha maggiormente complicato la situazione italiana.
In altre democrazie la politica sta riprendendo nelle sue mani il controllo della situazione e sta cercando di adottare norme in cui legalità e legittimità democratica possano trovare un nuovo punto di equilibrio.
Il caso più interessante è quello della Spagna dove socialisti e popolari, dopo essersi paralizzati a vicenda, si stanno accordando per una riforma che riaffermerà le prerogative del Parlamento nei suoi rapporti con le maggiori istituzioni giudiziarie.
Da noi invece la destra cerca d’imporre la propria riforma e la sinistra, incapace di accordarsi su proposte alternative o complementari, si limita a deplorare e condannare.
Gli umori del Paese nel frattempo stanno cambiando.
Dopo una fase in cui la filosofia pangiudiziaria dei magistrati trovava molti consensi, la società sembra divisa fra coloro per cui i procuratori hanno sempre ragione e quelli per cui la magistratura è una corporazione ambiziosa e autoreferenziale che sta rendendo un cattivo servizio al Paese.
Siamo giunti al punto in cui le azioni giudiziarie, le intercettazioni, gli avvisi di reato e le detenzioni cautelari raggiungono il paradossale risultato di screditare contemporaneamente, anche se in campi opposti della società, sia il partito della legalità sia quello della legittimità democratica.
A questa situazione esiste un solo rimedio: una riforma della giustizia realizzata, come in Spagna, dalla maggioranza e da quella parte dell’opposizione che non vuole ereditare, quando verrà il suo turno, un Paese in cui gli italiani non crederanno più né ai magistrati né ai politici.
di Sergio Romano-19 luglio 2008
www.corriere.it

mercoledì, luglio 16, 2008

ENGLARO/ VILLARI: SENTENZA GIUDICE DI FATTO INTRODUCE EUTANASIA



Roma, 16 lug. (Apcom) - Il senatore del Pd Riccardo Villari denuncia come sia stata "di fatto introdotta l'eutanasia in Italia", con la sentenza che consente di sospendere l'alimentazione e l'idratazione ad Eluana Englaro.
Villari fa appello alla politica che "non può e non deve rimanere in silenzio, non possiamo attribuire ad un magistrato la facoltà di operare scelte sulla vita e sulla morte delle persone".
Per questo di fronte a tale questione "devono essere la polica e la scienza a discutere di un tema tanto delicato per giungere ad una normativa sul testamento biologico che sia condivisa dal Parlamento e dal sentire dei cittadini".
Il senatore dichiara di aderire all'Appello di Scienza e Vita contro la sentenza, "con un pensiero alla famiglia".

martedì, luglio 15, 2008

E' vero o no che somiglia al Dottor House?


Giudici, la svolta che serve al Partito Democratico.


L’arresto del presidente della Regione Abruzzo Ottaviano Del Turco e di altri dirigenti politici e amministrativi e l'incriminazione di molte altre persone nell’ambito di una inchiesta su presunte tangenti nella sanità ha scompaginato le file del Partito democratico di quella regione ricordando a tutti che i problemi dei rapporti fra giustizia e politica non riguardano solo Berlusconi.

Come sempre accade in questi casi vengono poste pubblicamente domande destinate a restare senza risposta. Una per tutte: a parte l’esigenza di ottenere il massimo impatto mediatico, c’è stata anche qualche altra ragione dietro la decisione (ovviamente molto grave per le sue conseguenze) di procedere all’arresto della massima autorità politico- amministrativa della Regione? Ancorché indubbiamente meno spettacolare, una semplice incriminazione a piede libero non sarebbe ugualmente servita agli scopi dell’inchiesta?

Una cosa è certa. Se mai Del Turco, alla fine, dovesse uscire pulito da questo affare giudiziario non ci sarà comunque mai alcuna sede disciplinare nella quale le suddette domande potranno essere poste a quei magistrati.

L’imbarazzo del Partito democratico è evidente. Il silenzio dei suoi vertici sulla vicenda abruzzese, durato per buona parte della giornata di ieri, è stato rotto solo a metà pomeriggio da una dichiarazione di Walter Veltroni che, mentre manifestava stupore e amarezza per l’arresto di Del Turco, riconfermava, un po’ ritualmente, la sua fiducia nella magistratura.

Ma forse, oggi, dal Partito democratico è lecito attendersi anche qualcosa d’altro. Forse anche per il Pd è arrivato il momento, dopo anni di silenzi, acrobazie e furbizie da parte dei partiti predecessori (Ds e Margherita), di smetterla di fare il pesce in barile sulle questioni della giustizia e dei rapporti fra magistratura e politica.

È lecito chiedere al Partito democratico: come pensate di tornare a essere forza di governo se non avete una vostra posizione sulla giustizia, una posizione che non si limiti a essere, come è sempre stato fin qui, una fotocopia di quella dell’Associazione nazionale magistrati?

Almeno da Mani pulite in poi la sinistra ha nel complesso finto (e comunque questo è il racconto che, per lo più, ha «venduto » all’elettorato e ai militanti o ha permesso che venisse venduto dai propri giornali di riferimento) che non ci fossero veri problemi nel rapporto fra giustizia e politica.

Ha negato l’esistenza di un potere discrezionale eccessivo dei pubblici ministeri, ha finto di non vedere le continue invasioni di campo. Ha accreditato in sostanza l’idea che i problemi derivassero tutti, e soltanto, dalla natura corrotta del nemico del momento (Craxi, Berlusconi).

In mezzo a tanti convegni inutili, l’unico convegno davvero prezioso che purtroppo manca ancora all’appello è quello in cui il Partito democratico, pubblicamente e solennemente, sceglie la strada della discontinuità, di una svolta decisa nella sua politica della giustizia.

Solo dopo l’incresciosa manifestazione di Piazza Navona, il Pd ha preso le distanze dal partito di Di Pietro. Ma perché quella decisione non si riduca solo a furbizia tattica occorrono ora cambiamenti nelle concezioni e nelle scelte in materia di giustizia.

Non esistono dubbi che, senza una collaborazione fra maggioranza e opposizione una riforma dell'ordinamento della giustizia (separazione delle carriere, responsabilizzazione dei pubblici ministeri, eccetera) che lo renda coerente con lo spirito e i principi di una democrazia liberale e che riequilibri i rapporti (squilibrati ormai da quasi un ventennio) fra magistratura e politica, non potrà mai passare.

È lecito dunque attendersi dalla massima forza di opposizione non solo qualche battuta utile per ottenere un titolo sui giornali ma un ripensamento serio delle proprie posizioni.

Luciano Violante, un esponente politico la cui influenza passata sulla politica della giustizia della sinistra sarebbe impossibile sottovalutare, sembra oggi uno dei pochi consapevoli della necessità di cambiamenti.

In un intervento ieri sulla Stampa Violante ha criticato in termini che a me paiono ineccepibili la nuova versione della cosiddetta norma blocca-processi decisa dal governo.

L'argomento che ha usato dovrebbe fare storcere il naso ai giustizialisti. Ha sostenuto che, se pure la nuova versione è meglio della precedente, produce anch'essa danni, lasciando in questo caso troppa discrezionalità ai magistrati.

Violante, mi pare di capire, dichiara il suo favore per un sistema nel quale, come avviene in tanti Paesi occidentali (in passato si è tentato di farlo anche in Italia ma senza grandi risultati), Guardasigilli e Parlamento dettino annualmente alla magistratura le priorità.

A me pare, però, che senza una riforma che, tra le altre cose, separi le carriere e tolga di mezzo l'obbligatorietà dell'azione penale, non sarà mai possibile ricondurre nell'alveo delle istituzioni democratico/rappresentative le grandi scelte di politica delle giustizia.

Forse proprio Violante, con la sua autorevolezza, potrebbe oggi essere, insieme ad altri (come i radicali, oggi accasati nel Partito democratico, con il loro patrimonio di battaglie e proposte garantiste) uno degli uomini in grado di fare da battistrada a un nuovo corso, aiutare il Partito democratico a cambiare registro.

di Angelo Panebianco

15 luglio 2008

Tratto da: www.corriere.it