martedì, luglio 22, 2008

La giustizia, la privacy e l'equilibrio dei diritti.

Nel messaggio di saluto indirizzato ieri al convegno in memoria di Vittorio Chiusano, valoroso avvocato di grande equilibrio e non dimenticato presidente dell'Unione delle Camere penali, il Capo dello Stato ha toccato (non soltanto di striscio) uno dei temi più delicati della giustizia penale, sempre più spesso ridotta a «giustizia spettacolo ».
E lo ha fatto con grande chiarezza e intensità di accenti.
Si tratta del tema relativo alla garanzia della privacy delle persone coinvolte nel processo, e prima ancora nelle indagini, sotto il particolare profilo del rapporto tra tale garanzia e l'esercizio del diritto di cronaca.
Tema delicato e complesso, di cui per certi aspetti già il codice si fa carico, ad esempio in materia di ripresa televisiva delle udienze dibattimentali (attraverso una disciplina volta comunque a tutelare i soggetti che non vi consentano), e di cui sovente si torna a discutere.
Specialmente di fronte a certe esorbitanze dei salotti televisivi, nei quali troppo spesso si disputa di giustizia, senza l'osservanza — ovviamente — delle regole e dei limiti propri della legge processuale: con il duplice rischio di ingenerare errati convincimenti nell'opinione pubblica (anche per la mancanza di contraddittorio), e di pregiudicare indebitamente l'immagine delle persone di cui si parla (non di rado anche in loro assenza).
E questo senza dire di altre, e ben più gravi, esorbitanze verbali di uomini politici nei confronti di singoli magistrati, o dell'intera magistratura.
È chiaro tuttavia — sebbene il presidente Napolitano non lo dica espressamente — che i rilievi contenuti nel suo messaggio sono riferibili anche, anzi soprattutto, al problema delle intercettazioni telefoniche, o meglio al fenomeno della pubblicazione sui giornali (ma spesso anche nei ben noti salotti televisivi, con l'aggravante della simulazione sonora dei dialoghi captati) dei risultati di tali intercettazioni.
È proprio con riferimento a questo fenomeno, ed alle sue più clamorose degenerazioni, infatti, che negli ultimi tempi è apparsa sempre più urgente l'esigenza di realizzare «con responsabilità e senso del limite», il contemperamento di due valori solo in apparenza contrapposti: da un lato la «difesa del diritto alla informazione» (come diritto sia di informare, sia di essere informati), e, dal-l'altro, la «tutela del diritto dei cittadini a vedere salvaguardata la loro riservatezza».
E non c'è dubbio, come sottolinea ancora Napolitano — stigmatizzando una innegabile, quanto deplorevole, tendenza alla «spettacolarizzazione dei processi» — che il momento di maggiore criticità riguardi la «divulgazione di notizie attinenti a terzi estranei alle vicende» oggetto di tali processi.
Il discorso, a questo punto, si riallaccia inevitabilmente alle proposte di politica legislativa ancora di recente formulate (attraverso il disegno di legge presentato dal ministro Alfano) in materia di riforma delle intercettazioni telefoniche.
Perché, a ben vedere, come ha ricordato da ultimo anche il Garante della privacy Francesco Pizzetti, la vera «anomalia tutta italiana» dell'attuale disciplina risiede non già nella quantità o nella durata (valutazioni quantomai opinabili, da parte di chi non conosca in concreto le esigenze delle indagini) delle intercettazioni ammesse, bensì nella circostanza che (attraverso l'abusiva pubblicazione dei colloqui intercettati) si pervenga a sacrificare «il rispetto della dignità e del decoro delle persone coinvolte», per usare ancora le parole di Napolitano.
Sia delle persone estranee al processo, sia anche degli indagati o degli imputati, con riferimento a conversazioni non concernenti la vicenda processuale.
È questo, dunque, il versante su cui dovrà intervenire il legislatore, del resto lungo la strada segnata dal progetto Mastella (approvato dalla Camera, pressoché all'unanimità, nell'aprile 2007), sulla scia delle indicazioni già contenute nel progetto Flick di oltre 10 anni orsono, oggi recepite anche nel progetto della Repubblica di San Marino.
Si tratta, in sintesi, di stabilire — predisponendo allo scopo opportuni filtri di controllo, anche da parte dei difensori — che i risultati delle intercettazioni concernenti persone, fatti o circostanze estranei alle indagini non debbano nemmeno venire depositate tra le carte processuali, essendo essi irrilevanti, ma debbano rimanere custodite in un apposito «archivio riservato», con il vincolo del segreto, e sotto la responsabilità di un magistrato della procura.
Inutile dire che di queste ultime intercettazioni (in quanto segrete, e come tali destinate ad essere distrutte) dovrà essere rigorosamente vietata la pubblicazione, con la previsione di sanzioni anche gravi in caso di violazione del divieto.
Mentre, per quanto riguarda i risultati delle intercettazioni acquisite al processo, in quanto riconosciute rilevanti, non si vede la necessità di vietarne la pubblicazione (almeno nel loro contenuto), una volta caduto il segreto sulle medesime.
Vittorio Grevi
22 luglio 2008
www.corriere.it

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