mercoledì, luglio 23, 2008
CNF: potenziare il localismo giudiziario per rilanciare l'efficenza del sistema.
Roma, 23 luglio 2008 – Giustizia e territorio. Le caratteristiche socioeconomiche del territorio sono determinanti per il livello qualitativo della giustizia, e i «localismi» influenzano il modo in cui si muovono gli attori del sistema giudiziario.
È quanto emerge dal rapporto Censis, realizzato attraverso l’esame di cinque aree campione, per valutare i problemi della giustizia e le proposte di miglioramento espresse dai soggetti attivi sul territorio.
Le diverse velocità dell’economia e della giustizia nelle diverse aree del paese possono creare danni e rallentamenti del sistema giudiziario talvolta insopportabili.
Quando la crescita economica è sganciata da un’analoga crescita educativa e civica e da un ritmo di produzione giudiziaria altrettanto consistente, si produce un effetto sociale di smarrimento e si aprono spazi fertili per la nascita di forme di illecito nuove o più organizzate.
Per diffondere la cultura della legalità e costruire un modello di giustizia efficiente ed equo, intervenendo sulla «macchina» giudiziaria, non basta quindi produrre regole e presiedere al loro rispetto, ma occorre stimolare un nuovo approccio «dal basso», partendo dalle singole realtà territoriali.
La domanda sociale scarica sulla giustizia molte delle contraddizioni legate alla crescita economica e al bisogno di sicurezze.
Il processo di scomposizione del welfare tradizionale ha portato a una diversa strutturazione dei diritti, non più legati solo a principi astratti e universali, bensì divenuti espressione di un bisogno crescente di benessere del cittadino.
È quindi in corso una forte frammentazione dei diritti, che non si presentano più come rivendicazione di valori generali, di origine costituzionale, ma assumono valenze specifiche che si ricollegano alle condizione di vita individuali.
In questo modo si determina un dirottamento verso le sedi di risoluzione giudiziaria delle controversie, creando ulteriori ingorghi.
I magistrati in servizio, poco più di 9 mila, operano con una carenza di organico pari all’11,8%.
E non è risolutorio il fatto che alla magistratura ordinaria si affianca la magistratura onoraria, che presenta quasi la stessa consistenza quantitativa (9.073 giudici ordinari a fronte di 8.351 giudici onorari).
Gli organici del personale giudiziario, circa 50 mila persone bloccate dal regime di assunzioni vigente nel pubblico impiego, sono sottodimensionati del 6,5% effettivo, ossia al netto dei distacchi da altre amministrazioni.
Sono inoltre gravati dallo squilibrio della distribuzione interna, con uffici in sopranumero e altri con carenze di personale che arrivano al 20%.
A ciò si aggiunge la mancanza di una strategia di gestione e di valutazione del personale. Senza contare l’inadeguatezza dell’apparato tecnologico e infrastrutturale degli uffici giudiziari, che solo di recente e solo in una parte del paese sono stati coinvolti in forme sperimentali di trasferimenti online delle pratiche. A questa situazione di non-governo del personale giudiziario si accompagna la difficoltà di applicare gli istituti di legge relativi alla valutazione delle professionalità dei magistrati, che rappresenterebbe il necessario complemento di una scelta gestionale orientata di più al criterio dell’efficienza.
L’avvocatura, sollecitata dalle tendenze della domanda di giustizia e dai mutamenti del mercato professionale, risente molto più della magistratura dell’andamento delle economie locali.
Soprattutto gli avvocati più giovani fronteggiano la domanda di consulenza di tipo seriale espressa dai singoli individui, mentre la domanda qualificata delle imprese o delle organizzazioni complesse si incanala verso studi professionali altrettanto complessi, diffusi soprattutto nelle aree economiche più sviluppate.
Con ciò si determina una polarizzazione delle occasioni professionali fra i pochi che presidiano la quota migliore del mercato e i molti destinati a coprirne la parte meno qualificata.
Gli avvocati sono obbligati così a privilegiare competenze multidisciplinari, poiché devono imparare a destreggiarsi con tutte le materie legali, a scapito della specializzazione delle competenze, che rappresenta la naturale conclusione del rapporto con una domanda più esigente e qualificata.
“Occorre invertire questa tendenza, equilibrando il rapporto offerta/domanda. Obiettivo che si potrà raggiungere attraverso un costante monitoraggio del mercato professionale e favorendo l’acquisizione da parte dei giovani avvocati di quelle competenze essenziali rispetto al funzionamento del mercato stesso. In questa direzione, per esempio, va il progetto AIGA della costituzione di una Agenzia per il lavoro intellettuale, per il quale è in corso la firma di un protocollo con i ministeri del lavoro e della giustizia”, anticipa il presidente dell’Aiga Valter Militi.
Quali vie d’uscita? Occorre innanzitutto scardinare l’immagine stereotipata di una giustizia «contro» (e non una giustizia «per»), che scoraggia i cittadini dall’affidarsi al sistema con fiducia e non consente alla giustizia di diventare una delle leve della competitività, al pari di quanto si cerca di ottenere in altre amministrazioni pubbliche.
«Occorre infondere nel sistema giudiziario la cultura dell’efficienza attraverso lo sviluppo di una logica della qualità dell’intera filiera giudiziaria», ha osservato Giuseppe De Rita, presidente del Censis.
Ciò significa pensare alla giustizia come un sistema aperto, in cui intervengono i fattori strutturali (tecnologia, professionalità degli amministrativi), i fattori professionali (giudici e avvocati) e i fattori di supporto (polizia giudiziaria, consulenti tecnici).
I magistrati dovrebbero orientare la propria cultura professionale non solo alla giurisdizione, ma anche al servizio pubblico; mentre l’avvocatura dovrebbe assumersi la responsabilità di governare la propria crescita e di sostenere il processo di miglioramento delle competenze espresse, soprattutto dai più giovani, dotandosi di una logica di monitoraggio del proprio mercato sul piano locale.
La sfida della professionalità, ha ricordato il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa, è “ben presente al Cnf che ha investito gran parte della sua attività delle due ultime consiliature per promuovere la formazione professionale degli avvocati, adottando il regolamento per la formazione continua e organizzando seminari di studio dedicati non solo alle novità legislative e giurisprudenziali ma anche all’affinamento dei rimedi per la tutela degli interessi dei clienti, per l’affermazione dei diritti fondamentali e per l’abbreviazione dei tempi del processo”. Sulla specializzazione il discorso diventa più prudente perché “un conto è la formazione di base, che deve essere completa, altro i settori di maggior impegno professionale per ciascun avvocato, altro ancora il conseguimento di un titolo specialistico a seguito di corsi ad hoc”.
La Fondazione dell’avvocatura, è l’impegno del coordinatore Ugo Operamolla, “proseguirà tutte le iniziative avviate di concerto con il Cnf dirette ad approfondire i temi inerenti al migliore e più corretto esercizio professionale sia con riferimento al mercato interno che agli strumenti di cooperazione giudiziaria in ambito europeo”.
Questi sono alcuni dei risultati di una ricerca realizzata dal Censis e promossa da Consiglio Nazionale Forense, Fondazione dell’Avvocatura Italiana e Associazione Italiana Giovani Avvocati, presentata oggi a Roma presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani.
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