martedì, luglio 15, 2008

Giudici, la svolta che serve al Partito Democratico.


L’arresto del presidente della Regione Abruzzo Ottaviano Del Turco e di altri dirigenti politici e amministrativi e l'incriminazione di molte altre persone nell’ambito di una inchiesta su presunte tangenti nella sanità ha scompaginato le file del Partito democratico di quella regione ricordando a tutti che i problemi dei rapporti fra giustizia e politica non riguardano solo Berlusconi.

Come sempre accade in questi casi vengono poste pubblicamente domande destinate a restare senza risposta. Una per tutte: a parte l’esigenza di ottenere il massimo impatto mediatico, c’è stata anche qualche altra ragione dietro la decisione (ovviamente molto grave per le sue conseguenze) di procedere all’arresto della massima autorità politico- amministrativa della Regione? Ancorché indubbiamente meno spettacolare, una semplice incriminazione a piede libero non sarebbe ugualmente servita agli scopi dell’inchiesta?

Una cosa è certa. Se mai Del Turco, alla fine, dovesse uscire pulito da questo affare giudiziario non ci sarà comunque mai alcuna sede disciplinare nella quale le suddette domande potranno essere poste a quei magistrati.

L’imbarazzo del Partito democratico è evidente. Il silenzio dei suoi vertici sulla vicenda abruzzese, durato per buona parte della giornata di ieri, è stato rotto solo a metà pomeriggio da una dichiarazione di Walter Veltroni che, mentre manifestava stupore e amarezza per l’arresto di Del Turco, riconfermava, un po’ ritualmente, la sua fiducia nella magistratura.

Ma forse, oggi, dal Partito democratico è lecito attendersi anche qualcosa d’altro. Forse anche per il Pd è arrivato il momento, dopo anni di silenzi, acrobazie e furbizie da parte dei partiti predecessori (Ds e Margherita), di smetterla di fare il pesce in barile sulle questioni della giustizia e dei rapporti fra magistratura e politica.

È lecito chiedere al Partito democratico: come pensate di tornare a essere forza di governo se non avete una vostra posizione sulla giustizia, una posizione che non si limiti a essere, come è sempre stato fin qui, una fotocopia di quella dell’Associazione nazionale magistrati?

Almeno da Mani pulite in poi la sinistra ha nel complesso finto (e comunque questo è il racconto che, per lo più, ha «venduto » all’elettorato e ai militanti o ha permesso che venisse venduto dai propri giornali di riferimento) che non ci fossero veri problemi nel rapporto fra giustizia e politica.

Ha negato l’esistenza di un potere discrezionale eccessivo dei pubblici ministeri, ha finto di non vedere le continue invasioni di campo. Ha accreditato in sostanza l’idea che i problemi derivassero tutti, e soltanto, dalla natura corrotta del nemico del momento (Craxi, Berlusconi).

In mezzo a tanti convegni inutili, l’unico convegno davvero prezioso che purtroppo manca ancora all’appello è quello in cui il Partito democratico, pubblicamente e solennemente, sceglie la strada della discontinuità, di una svolta decisa nella sua politica della giustizia.

Solo dopo l’incresciosa manifestazione di Piazza Navona, il Pd ha preso le distanze dal partito di Di Pietro. Ma perché quella decisione non si riduca solo a furbizia tattica occorrono ora cambiamenti nelle concezioni e nelle scelte in materia di giustizia.

Non esistono dubbi che, senza una collaborazione fra maggioranza e opposizione una riforma dell'ordinamento della giustizia (separazione delle carriere, responsabilizzazione dei pubblici ministeri, eccetera) che lo renda coerente con lo spirito e i principi di una democrazia liberale e che riequilibri i rapporti (squilibrati ormai da quasi un ventennio) fra magistratura e politica, non potrà mai passare.

È lecito dunque attendersi dalla massima forza di opposizione non solo qualche battuta utile per ottenere un titolo sui giornali ma un ripensamento serio delle proprie posizioni.

Luciano Violante, un esponente politico la cui influenza passata sulla politica della giustizia della sinistra sarebbe impossibile sottovalutare, sembra oggi uno dei pochi consapevoli della necessità di cambiamenti.

In un intervento ieri sulla Stampa Violante ha criticato in termini che a me paiono ineccepibili la nuova versione della cosiddetta norma blocca-processi decisa dal governo.

L'argomento che ha usato dovrebbe fare storcere il naso ai giustizialisti. Ha sostenuto che, se pure la nuova versione è meglio della precedente, produce anch'essa danni, lasciando in questo caso troppa discrezionalità ai magistrati.

Violante, mi pare di capire, dichiara il suo favore per un sistema nel quale, come avviene in tanti Paesi occidentali (in passato si è tentato di farlo anche in Italia ma senza grandi risultati), Guardasigilli e Parlamento dettino annualmente alla magistratura le priorità.

A me pare, però, che senza una riforma che, tra le altre cose, separi le carriere e tolga di mezzo l'obbligatorietà dell'azione penale, non sarà mai possibile ricondurre nell'alveo delle istituzioni democratico/rappresentative le grandi scelte di politica delle giustizia.

Forse proprio Violante, con la sua autorevolezza, potrebbe oggi essere, insieme ad altri (come i radicali, oggi accasati nel Partito democratico, con il loro patrimonio di battaglie e proposte garantiste) uno degli uomini in grado di fare da battistrada a un nuovo corso, aiutare il Partito democratico a cambiare registro.

di Angelo Panebianco

15 luglio 2008

Tratto da: www.corriere.it

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