Tempo di elezioni per i Consigli degli Ordini degli Avvocati. Tra gennaio e febbraio si terranno nella maggior parte degli Ordini Forensi le elezioni con un primo turno e (quasi sempre) il ballottaggio.
Con la posta natalizia, in mezzo a biglietti e cartoline di auguri, sono arrivate agli iscritti all’Albo le prime lettere di invito al voto per questa o quella lista. Benissimo.
Nelle sedi in cui gli iscritti agli albi professionali sono svariate diecine di migliaia occorre a chi voglia porre la propria candidatura sul serio di comunicarla a molti colleghi anche sconosciuti, non essendo pensabile che ci si possa limitare al passa-parola durante le udienze ed i quotidiani incontri professionali.
Fin qui, dunque tutto bene. Ma il discorso dell’effettiva proposizione della propria candidatura ad un numero di elettori pari a quello delle elezioni amministrative in una città di media grandezza non si ferma a quello dell’invio di una lettera.
Certo è che elezioni per i Consigli degli Ordini di grandi centri come Roma, Milano, Napoli, comportano problemi tali e quali la democrazia porta con sé da quando ha cominciato ad aver a che fare con i grandi numeri, già quelli delle città-Stato non più raccolte intorno ad una agorà. Non basta una lettera.
Da anni per le giornate di votazioni i candidati ingaggiano giovani colleghi, segretarie ed anche estranei o clienti (anche del ramo penale) per tallonare ogni avvocato, ed anche chi possa essere scambiato per tale, che si rechi al Palazzo di Giustizia, mettendogli in mano una lista: “Voti questa! Voti questa”.
Ricercate per tale compito sono segretarie, praticanti e giovani avvocatesse particolarmente avvenenti. Gazzarra grande. Ma, grazie anche all’avvenenza prevalente della maggioranza delle tallonatrici, una certa atmosfera festosa può compensare l’eccesso di turbolenza.
In mezzo alla folla e tra il rutilare degli stampati policromi i candidati soli o in gruppetti delle stesse cordate (ma la maggior parte non disdegna più corde) che all’apparire di ogni volto appena vagamente conosciuto, prorompono in accattivanti ed ilari: “Carissimo!” “Grande amico!” e si spingono pure in più confidenti espressioni: “Grazie assai di essere venuto!” E qui gli fa eco uno del crocchio: “Siamo nella stessa lista! Io sono Pinco Pallino, grazie!”. E giù strette di mano ed amichevoli pacche.
Anche questo fa parte di quanto è ineliminabile e che occorre saper guardare con bonaria, ironica comprensione.
Ma da qualche anno a questa parte le elezioni per gli Ordini Forensi hanno assunto nelle grandi città connotazioni che vanno ben oltre queste concessioni ad umane debolezze, a semplici strappi del buon gusto.
Ho tra le mani un portachiavi con tavoletta di plastica (credo) con la scritta “Insieme per gli Avvocati”. E’ un souvenir elettorale di Milano.
Quanti ne saranno stati distribuiti? Nelle ultime elezioni a Roma vi sono stati cocktail offerti generosamente in locali di un certo prestigio dai candidati delle varie liste. Ed anche cene non so se in piedi o ai tavoli. E migliaia di fax sono arrivati in tutti gli studi legali. E tanta, tanta carta stampata.
Non sarà proprio carino, ma non si può fare a meno di fare i conti: quanto costa una simile campagna elettorale? E più crudamente: quanto costa essere eletto?
Credo che la maggior parte degli avvocati propenda oggi per quell’atteggiamento che va sotto il nome di “antipolitica”, per il quale dati veri o fantastici di prebende e, di contro, di ingenti spese elettorali per parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, sindaci, consiglieri comunali e circoscrizionali sono gettati sul piatto della bilancia di infinite discussioni con una punta di sadismo e, al contempo, di trasparente invidia.
Una legge della Repubblica impone un “tetto” delle spese elettorali e l’obbligo della denunzia del conto dettagliato di esse.
Si deve arrivare a tanto per le elezioni dei Consigli degli Ordini Forensi?
Cicerone, quella sorta di nume tutelare della nostra professione (c’era una sua effige sulle marche previdenziali per gli avvocati) fece votare una legge sui limiti e le modalità di spese e propiziazioni varie nelle elezioni nella Roma del suo tempo, la “Lex Tullia de ambitu”, che non era la prima in materia.
E’ vero che fece una delle sue migliori arringhe per difendere un console suo amico imputato di averla violata.
Ma, anche lasciando da parte Cicerone e gli antichi romani, penso che qui ed oggi un certo ritegno nello spendere e prodigarsi per una elezione ad una carica che, tra l’altro, dovrebbe importare molti sacrifici e fatiche al servizio dei colleghi, sarebbero assolutamente necessari per salvaguardare quel po’ che resta della dignità di una professione per tanti versi ingiustamente malfamata.
Scritto da Mauro Mellini
Da: www.giustiziagiusta.info