mercoledì, febbraio 22, 2012

Il Presidente dell'OUA scrive a Benedetto XVI.


Roma, 21 febbraio 2012

Beatissimo Padre,
l’Organismo Unitario dell’Avvocatura che ho l’onore di presiedere è l’organo di rappresentanza politica dell’Avvocatura Italiana.
In previsione dell’udienza generale del 22 febbraio 2012 che ci ha voluto concedere, sento di esprimere il profondo ringraziamento mio personale e degli avvocati italiani che l’Organismo, per intero, rappresenta.
L’Avvocatura italiana sta attraversando un momento difficile nel quale si tenta di cambiarne la identità ispirandosi ad un liberismo accentuato, che nega i valori e le libertà della nobile professione forense, che trova la sua specificità nella difesa dei diritti dei cittadini sancita dagli articoli 24 e 111 della Costituzione.
I diritti vengono prima del mercato. L’etica sociale è, purtroppo, oggi sostituita dall’ideologia del mercato, e il lavoro intellettuale è diventato nella configurazione sociale un prodotto, un bene senza anima.
A tal punto che si pretende che la prestazione di un avvocato, di un ingegnere, di un notaio venga identificata alla stregua di una merce.
A ciò si aggiunge che il grave momento di crisi politica ed economica che l’intero paese e in generale tutto il mondo sta attraversando non ha risparmiato gli avvocati italiani ed in particolare le donne e i più giovani, che scontano l’atavica difficoltà della nostra società di tutelare adeguatamente i più deboli che si affacciano sul mondo del lavoro.
Eppure, possiamo affermare che in nessun altro ambito professionale e produttivo la presenza di giovani e donne è così numerosa ed in forte aumento proporzionale e prospettico ed il nostro impegno è costantemente rivolto ad aumentarne le tutele ed a garantirne lo sviluppo.
In un quadro così fosco che induce comprensibilmente, soprattutto le giovani generazioni, a guardare al futuro con pessimismo e allarme, è soltanto l’esaltante impegno per la giustizia che ci sostiene nello svolgimento di questa meravigliosa professione che rimane ispirata all’etica dei comportamenti e alla difesa dei più deboli.
Quella giustizia, che, come scriveva Papa Paolo VI, costituisce “la misura minima della carità”, Noi sappiamo, Santo Padre, per averlo imparato dalla Sua enciclica Caritas in veritate, che Dio è particolarmente vicino a quanti in vario modo sono impegnati nella tutela e nell’amministrazione della Giustizia; Dio che ha voluto essere Legislatore, Giudice e Avvocato nostro.
Certamente non a caso Gesù Cristo ebbe a rivolgersi allo Spirito Santo nell’ultima cena chiamandolo “paraclito”, termine greco corrispondente appunto ad avvocato, a colui che rappresenta, assiste e agisce a nome dell’assistito.
Quella dell’avvocato è una professione di pace: è la professione che aiuta l’uomo a vedere riappacificati i propri interessi e tutelati i propri diritti; è la professione dell’ascolto delle sofferenze umane, è la professione del consiglio, che risolve i problemi degli altri; è la professione disinteressata a favore degli interessi dell’altro; è professione gioiosa quando vedi tutelati i diritti violati, è professione sofferta quando assisti alle ingiustizie della vita, è professione di chi condivide con l’altro, le gioie e i dolori.
Ci rivolgiamo a Lei Beatissimo Padre perché rivolga alla nostra categoria la Sua preghiera di benedizione, affinché il Suo sostegno possa rendere meno faticoso, ma sempre esaltante, l’impegno per la giustizia che quotidianamente per il povero e per il ricco, per il debole e per il forte, per il nero e per il bianco, per la donna e per l’uomo, per il giovane e per l’anziano andremo a profondere nei tribunali del nostro paese.
Dio benedica il Santo Padre.

Avv. Maurizio De Tilla

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