lunedì, maggio 14, 2007

Il mito di Laocoonte: l'eterna lotta della verità contro l'inganno!


Di Laocoonte ci parla Virgilio nel libro secondo dell’Eneide: Enea, nel suo viaggio verso l’Italia approda alla corte di Didone.

Silenti ed attenti gli ascoltatori (contictuere omnes intentique ora tenebant), racconta alla regina l’indicibile fine di Troia (Infandum regina iubes renovare dolorem).

Egli riferisce che, dopo dieci anni di assedio, una mattina i troiani videro che i greci erano nottetempo partiti, lasciando sulla spiaggia un enorme cavallo di legno.

Nello stupore e nella curiosità generale, unico fu Laocoonte, veggente e sacerdote di Nettuno, a dubitarne (Equo ne credite, Teucri. Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentes).

E per rafforzare il proprio scetticismo lanciò verso il ventre del cavallo una lancia che vi si conficcò con cupo rimbombo. (Stetit illa tremens, uteroque recusso insonuere cavae gemitumque dedere cavernae).

Ma in quel momento irrompe nella scena, portato in vincoli da alcuni guerrieri troiani, il greco Sinone. Egli racconta di essersi inimicato Ulisse e perciò di essere stato condannato a morte, riuscendo poi a fuggire. Svela, poi, ai troiani il significato del cavallo.

Trattasi di offerta votiva a Minerva: se il cavallo fosse stato introdotto in città l’avrebbe resa inespugnabile.

I Troiani credono alle parole di Sinone, anche perché due terrificanti serpenti dagli occhi sanguigni, suscitati da Poseidone, escono dal mare spumeggiante in ampie spire e avvinghiano e divorano i due figli di Laocoonte.

Inutile è il soccorso che loro porta il sacerdote; rimane anch’egli preso e stritolato dalla morsa dei serpenti nonostante il tentativo di svincolarsi (Ille simul manibus tendit divellere nodos).

I serpenti si rifugiano sotto lo scudo della statua di Atena; questo episodio convince definitivamente i troiani delle parole di Sinone; trasportano, così, il cavallo dentro la città, abbattendo le porte per farlo entrare. In tal modo decretando la fine di Troia.

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