sabato, febbraio 14, 2009

Il CNF “non è rappresentante istituzionale degli interessi dell’Avvocatura” (Corte Cost. ord. n. 43 del 2009).


La cura degli interessi professionali della classe forense non rientrerebbe tra le attribuzioni del Consiglio Nazionale Forense, e dunque le sue prerogative istituzionali non sono incise dalla legge oggetto del giudizio di costituzionalità.
Lo ha ritenuto, con decisione che non mancherà di far discutere, la Corte Costituzionale (ord. 43/2009) in una vicenda che interessava la scelta degli avvocati della Regione Lombardia.
La Regione Lombardia aveva previsto, con propria legge 27 dicembre 2006 n. 30 che gli enti pubblici regionali si avvalessero, di norma, del patrocinio dell'Avvocatura Regionale per la difesa di atti o attività connessi ad atti di indirizzo e di programmazione regionale, con la pretermissione degli avvocati del libero foro.
Il Tar Lombardia aveva sollevato la questione di costituzionalità, lamentando la:
1) Violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione
La legge professionale forense prevede che gli avvocati dipendenti da enti pubblici siano abilitati al patrocinio unicamente per le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera; la regione, incidendo sulla materia delle professioni, avrebbe violato la norma rubricata che in tale materia di competenza concorrente riserva allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, tra cui rientra il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione di avvocato (a tutela dell'indipendenza del professionista, oltre che degli interessi dell'ente pubblico, cui il dipendente è legato da un rapporto di esclusività).
2) Violazione dell'art. 24 della Costituzione
La norma regionale sarebbe poi in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 della Costituzione, da intendersi comprensivo anche della libertà di scelta delle modalità della difesa medesima;
3) Violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione
La norma regionale contrasterebbe infine con la riserva allo Stato della normativa in materia di tutela della concorrenza (e, incidendo sul principio del libero esercizio di un'attività professionale, contrasterebbe pure con gli articoli 49 e 50 del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce le Comunità europee).
Successivamente alla proposizione della questione, la Regione ha approvato una nuova legge che abroga l'obbligo, per gli enti pubblici operanti nell'ambito della Regione Lombardia, di far ricorso agli avvocati della Regione, stabilendo solo, a loro carico, un mero onere di comunicazione dell'esistenza della vertenza alla Giunta della Regione.
La Consulta ha quindi preso atto, nel merito, della sopravvenuta ragione di inammissibilità della questione sollevata, essendo frattanto mutato il quadro normativo di riferimento.
Nondimeno, per quanto attiene l’intervento volontario spiegato dal CNF nel giudizio di costituzionalità, la Corte ha ritento quanto segue:
“Preliminarmente, deve essere dichiarato inammissibile l'intervento del Consiglio Nazionale Forense; Invero, nei giudizi incidentali di costituzionalità, l'intervento di soggetti estranei al procedimento nell'ambito del quale è stata sollevata la questione è ammesso soltanto qualora l'interveniente sia portatore di un interesse qualificato, suscettibile di essere direttamente inciso dalla decisione della Corte (ex plurimis, sentenze n. 440 del 2005, n. 279 del 2006, n. 245 del 2007) e, più specificamente, qualora detta incidenza derivi dall'immediato effetto che la decisione della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo (ordinanze n. 251 del 2002 e n. 250 del 2007);
Nel giudizio amministrativo da cui origina la presente questione di costituzionalità, la posizione sostanziale dibattuta riguarda gli interessi professionali della classe forense, ma non tocca questioni che coinvolgano direttamente le attribuzioni del Consiglio Nazionale Forense, mettendone in gioco le sue prerogative istituzionali”.

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