mercoledì, ottobre 23, 2019

Difformità edilizie e nullità del contratto di appalto.




Cassazione Civile Sez. 2 - Sent. Num. 26952/2019 - Presidente: CAMPANILE -Relatore: OLIVA -  Data pubblicazione: 22/10/2019.

"In tema di contratto di appalto, avente ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti senza rispettare la concessione edilizia, occorre distinguere le ipotesi di difformità totale e parziale. Nel primo caso, che si verifica ove l'edificio realizzato sia radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie, l'opera è da equiparare a quella posta in essere in assenza di concessione, con conseguente nullità del detto contratto per illiceità dell'oggetto e violazione di norme imperative; nel secondo, invece, che ricorre quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto, tale nullità non sussiste" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n.30703 del 27/11/2018).

lunedì, settembre 30, 2019

Il vizio di “motivazione meramente apparente” della sentenza.



Cassazione Civile Sez. 2 - Ord. Num. 24183/2019 Presidente: GORJAN -Relatore: SAN GIORGIO - Data pubblicazione: 27/09/2019.

Va premesso che l'art. 118 disp.att.c.p.c. - nel testo risultante dalla modifica di cui all'art. 52, comma 5, della legge 18 giugno 2009, n. 69 -   dispone che la  motivazione della sentenza di cui all'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi.
Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. Ili, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove abbia fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni sia pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.
L’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» e affermazione che ha origini lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che
l'omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla stregua di tali principi la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l'iter logico seguito  per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga, con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente — e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo — quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr., ex plurimis, Cass.,n. 20414 del 2018, e la giurisprudenza ivi richiamata).

mercoledì, luglio 24, 2019

La competenza del Gdp in materia di immissioni.

L'art. 7, co. terzo, n. 3 cpc attribuisce alla competenza del giudice di pace le controversie relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.
La competenza ex art. 7 cpc è tassativamente circoscritta alle cause tra proprietari e detentori di immobili ad uso abitativo, rivivendo, al di fuori di tali ipotesi, i criteri ordinari di competenza. Come, difatti, sottolineato in dottrina, la norma processuale non copre l'intero ambito applicativo dell'art. 844 c.c. e, in particolare non comprende le controversie relative ad immissioni provenienti da impianti industriali, agricoli o destinati ad uso commerciale, essendo devoluta al giudice di pace la cognizione delle controversie relative ai rapporti di vicinato (Cass. s.u. 21582/2011), con esclusione - quindi - delle liti che, data la complessità delle questioni, esigano un bilanciamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà (art. 844, comma secondo c.c.).
Se, dunque, sul piano oggettivo, è decisiva la provenienza delle immissioni dall'utilizzo, in tutte le sue potenziali esplicazioni, di immobili destinati ad abitazione civile, occorre tuttavia tener conto della natura delle attività concretamente svolta e della particolare fonte da cui promanano i disturbi.
Qualora l'immobile, seppure a prevalente destinazione abitativa, sia utilizzato anche per scopi diversi e le relative attività siano all’origine delle immissioni illecite, non deve conferirsi rilievo alla destinazione prevalente, né alla classificazione catastale del bene (come sostenuto nella memoria difensiva dei ricorrenti), ma alla fonte dei fenomeni denunciati, nel senso che se questi siano dedotti come effetto di attività non connesse all'utilizzo dell'immobile come abitazione civile da parte degli occupanti (proprietari o detentori), è esclusa l'applicazione dell'art. 7, comma terzo, n. 3 cpc.
Nel caso concreto, le immissioni di rumore derivavano dallo svolgimento di feste e ricevimenti con intrattenimento musicale negli spazi esterni della proprietà dei resistenti, concessi a terzi dietro pagamento di un corrispettivo per ciascun evento.
L'attività immissiva, denunciata esclusivamente come effetto di tali accadimenti, eccedeva, quindi, per finalità e modalità di uso, dall'ordinaria destinazione dell'immobile ad abitazione civile (benché i resistenti si limitassero a concedere la disponibilità degli spazi senza ingerirsi nella concreta organizzazione dei singoli eventi) e, di conseguenza, la lite non rientrava nella competenza del giudice di pace ai sensi dell'art. 7, n. 3 cpc.

Corte Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 19946/2019 Presidente: D'ASCOLA - Relatore: FORTUNATO - Data pubblicazione: 23/07/2019.

sabato, luglio 20, 2019

La valutazione della prova assunta, in sede di giudizio di legittimità.


Cass. Civile Sez. 6 - Ord. Num. 19492/2019 - Presidente: CURZIO - Relatore: LEONE - Data pubblicazione: 18/07/2019. 

“L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. ex multis: Cass. n. 19011/2017; Cass. Civ. n. 16056/2016)”.

giovedì, luglio 11, 2019

I caratteri del cd “errore revocatorio” (art. 395 cpc).

Cassazione Civile Sez. VI - Ord. Num. 18576/2019 - Presidente: FRASCA - Relatore: DE STEFANO - Data pubblicazione: 10/07/2019. 


Va premesso che (cfr. Cass. Sez. Unite 16/11/2016, n. 23306, ove ulteriori ed ampi richiami) l'errore revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all'accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell'ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli, all'esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l'errore deve, allora, apparire d’assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o - meno che mai - di indagini o procedimenti ermeneutici. Pertanto, l'errore revocatorio non può articolarsi nella deduzione d’un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (integrando tale inesatto apprezzamento, semmai, il detto vizio logico deducibile secondo il previgente testo dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 5).
Del resto, una valutazione implica di per sé sola una decisione e quindi una ponderazione o scelta tra più possibilità od alternative, tanto escludendo la configurabilità dell'errore revocatorio: l'errore di percezione deve invece riguardare un fatto, vale a dire un evento esterno al processo e che deve essere rappresentato e ricostruito all’interno di questo come elemento di una fattispecie da sussumere nel successivo giudizio di diritto; sicché l'errore che cade sugli atti e i documenti della causa non è rilevante in se stesso, ma solo nella misura in cui si risolve in un errore di percezione di un fatto.
Ora, l'art. 395 cod. proc. civ., n. 4 si premura di dare la definizione di errore "di fatto": questo ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
Il contrasto rilevante è quindi quello tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice; e, per di più, deve trattarsi di un contrasto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l'una e l'altra.
Ciò che rileva è quindi una radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, costituite l'una da quella risultante dalla sentenza del giudice e l'altra da quella che si ricava univocamente dagli atti e dai documenti di causa; pertanto, deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale o meramente percettivo, riferita a fatti univocamente ed incontestabilmente percepibili nella loro ontologica esistenza e quindi insuscettibili di diverso apprezzamento: e mai può allora rilevare, a questi fini, un errore che implichi un benché minimo margine di apprezzamento o di valutazione o di giudizio per la sussunzione del fatto.
La rappresentazione del fatto (o del complesso di fatti) materiale è - in altri termini - qualificabile come univoca quando è evidente, quando cioè non implica giudizio, sia pure elementare, inteso ad eliminare potenziali o effettive divergenze; mentre la supposizione deve comportare valutazione di causalità tra fatto presupposto e suo diretto accertamento da parte del giudice.
Inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicché non è configurabile l'errore revocatorio qualora l'asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell'apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice.

lunedì, luglio 01, 2019

Circa l’operatività della cd “prescrizione presuntiva”.

Cassazione Civile Sez. I - Ord. Num. 17595/2019 Presidente: GENOVESE - Relatore: VELLA - Data pubblicazione: 28/06/2019. 

L'eccezione di prescrizione presuntiva deve essere rigettata se chi la oppone ha comunque ammesso in giudizio che l'obbligazione non è stata estinta, e a tal fine vale qualsiasi contestazione della esistenza o dell'ammontare del credito, per cui alla luce della giurisprudenza di questa Corte: a) il debitore che neghi l’esistenza del credito oggetto della domanda ovvero eccepisca che il credito non sia sorto ammette, implicitamente, che l'obbligazione non è stata estinta, sicché va disattesa, ex art. 2959 c.c., l'eccezione di prescrizione presuntiva in quanto incompatibile (Cass. 2977/2016); b) in tema di prescrizione presuntiva, l'affermazione del debitore in ordine all'insussistenza della obbligazione di pagamento (nella specie, il compenso spettante ad un professionista per la sua opera) è inconciliabile con la proposizione della relativa eccezione e vale come ammissione della mancata estinzione (Cass. 26986/2013); 3) le deduzioni con le quali il debitore assume che il debito sia stato pagato o sia comunque estinto non rendono inopponibile l'eccezione di prescrizione presuntiva poiché, lungi dall'essere incompatibili con la presunta estinzione del debito per decorso del termine, sono, invero, adesive e confermative del contenuto sostanziale dell'eccezione stessa (Cass. 23751/2018, con riguardo alla incompatibilità dell'eccezione di prescrizione presuntiva con quella che negava il conferimento di incarico al professionista ricorrente e, dunque, la stessa costituzione del rapporto giuridico)”.
Vanno quindi ribaditi i seguenti principi di diritto:
«Il debitore che neghi l'esistenza del credito ovvero lo svolgimento delle prestazioni sulle quali si basa la relativa pretesa non può avvalersi dell'eccezione di prescrizione presuntiva, poiché tali difese sono incompatibili con la relativa ratio, fondata sulla presunzione che il debito sia stato pagato, una volta decorso il lasso di tempo predeterminato dal legislatore».
«Le prescrizioni presuntive, trovando ragione unicamente nei rapporti che si svolgono senza formalità, dove il pagamento suole avvenire senza dilazione né rilascio di quietanza, non operano per il credito che trae origine da un contratto stipulato in forma scritta, mentre riprendono la loro ordinaria operatività per la parte del credito derivante dall'esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel documento contrattuale».

martedì, giugno 18, 2019

La scriminante dello “stato di necessità” nelle violazioni al codice della strada.

Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 16155/2019 - Presidente: D'ASCOLA Relatore: CARRATO - Data pubblicazione: 17/06/2019. 

“Con specifico riguardo alla scriminante dello “stato di necessità”, è indispensabile, ai fini della sua configurabilità (e, perciò, allo scopo del riconoscimento della fondatezza della sua prospettazione in sede giudiziale, che deve ovviamente essere supportata da un idoneo riscontro probatorio gravante sul ricorrente), che, in applicazione dei principi fissati dagli artt. 54 e 59 c.p., ricorra un’effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero - quando si invochi detta esimente in senso putativo - l’erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, provocata non da un mero stato d’animo, ma da circostanze concrete (oggettive) che la giustifichino (cfr., ad cs., Cass. n. 3961/1989, Cass. n. 4710/1999, Cass. n. 18099/2005 e Cass. n. 14286/2010).
In tal senso, in un caso assimilabile a quello in questione, questa Corte (v. Cass. n. 287/2005 cit.) ha confermato la decisione di merito, con la quale era stata esclusa la configurazione di una situazione di pericolo, rilevante ai fini dello “stato di necessità”, in un caso in cui, in sede di opposizione al verbale della polizia stradale con il quale era stata contestata all’opponente la violazione di cui all’art. 142, comma 9, c.d.s. per aver superato, alla guida della propria autovettura, il limite di velocità consentito, il ricorrente aveva invocato lo stato di necessità, adducendo che, nel momento dell’accertamento della violazione, si stava recando con urgenza in ospedale, ove il proprio genitore era stato ricoverato in gravi condizioni, poiché il pericolo di danno grave alla persona del genitore avrebbe potuto essere evitato altrimenti con il ricovero ospedaliero o anche mediante l’intervento sul posto del pronto soccorso, senza che l’opponente avesse potuto fornire un contributo determinante al fine di scongiurare il paventato danno (come nella vicenda oggetto della qui esaminata specifica controversia).
Più recentemente (cfr. Cass. n. 14286/2010, cit.) è stato asserito, sempre in tema di violazione al codice della strada prevista dall’art. 142, comma 9, che non vale ad escludere la responsabilità del conducente l'invocato stato di necessità dovuto all'esigenza di rispettare i tempi di una consultazione medica conseguente ad un malore lamentato da un passeggero, qualora non sia stato riscontrato l'imminente pericolo di vita del passeggero medesimo e l'impossibilità di provvedere diversamente alla salvezza di quest'ultimo.
Deve, quindi, qui riconfermarsi il principio di diritto sulla scorta del quale, in tema di cause di giustificazione, l'allegazione da parte del contravventore dell'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito, cioè, al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti e che siano univocamente idonei a poter comportare un imminente pericolo di danno grave per un soggetto non altrimenti ovviabile, e, quindi, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo al trasgressore di trovarsi in tale stato”.

mercoledì, giugno 12, 2019

L’usucapione dell’immobile detenuto in locazione.

Cass. Civile Sez. VI - Ord. Num. 15733/2019 - Presidente: LOMBARDO - Relatore: FORTUNATO - Data pubblicazione: 11/06/2019. 


 “La sostituzione dell'impianto elettrico e il solo intento di eseguire interventi radicali sull'immobile non potevano comportare l'affermazione di un possesso pieno, idoneo a far cessare il godimento “nomine alieno”, perpetuatosi, per contro, quale effetto del versamento del canone di locazione.
Occorreva quindi un atto di interversione che, ai sensi dell'art. 1141 comma secondo c.c., si manifestasse nel compimento di attività materiali che, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito (Cass. 27521/2011; Cass. 4404/2006), fossero tali da rendere esteriormente riconoscibile all’avente diritto che il detentore aveva iniziato a possedere, rivendicando la titolarità del diritto esercitato (Cass. 17376/2018; Cass. 26327/2016).
A tal fine non rilevavano né l'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi, in questo caso, un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale, né meri atti di esercizio del possesso, idonei solo a sostanziare un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass. 26327/2016; Cass. 2392/2009)”.

domenica, giugno 09, 2019

Ricorso cassazione civile: il vizio di violazione di legge e quello di motivazione.

Corte Cass. Civile Sez. I - Presidente: TIRELLI - Relatore: DE MARZO  - Sent. Num. 15402/2019 - Data pubblicazione: 06/06/2019. 

“In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione, come nel caso di specie, di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (v., ad es., Cass. 28 settembre 2017, n. 22707).
Ora, nel regime antecedente alle modifiche apportate all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., dall'art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modificazioni, dalla I. 7 agosto 2012, n. 134, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547)”.

martedì, maggio 28, 2019

Notifica non andata a buon fine e tempestiva riattivazione del procedimento notificatorio.

Cassazione Civile Sez. VI - Ordinanza n. 14575/2019 - Presidente: Frasca - Relatore Vincenti - Pubblicata il 28/05/2019. 

"Il Condominio ricorrente, destinatario della notificazione della sentenza di primo grado in data 6 giugno 2017, ha effettuato una prima e tempestiva notifica del ricorso in data 5 settembre 2017, non andata a buon fine per trasferimento ad altro indirizzo del difensore domiciliatario del Condominio resistente, nonché una seconda notificazione, con esito positivo, in data 14 settembre 2017, ossia 9 giorni dopo il primo tentativo. Nella specie, quindi, trova piena applicazione il principio secondo cui, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass., S.U., n. 14594/2016, Cass. n. 19059/2017, Cass. n. 20700/2018)".

mercoledì, maggio 15, 2019

I caratteri costitutivi della cd “truffa contrattuale”.


Cass. Civile Sez. I - Sent. Num. 12852/2019 - Presidente: BISOGNI -Relatore: NAZZICONE - Data pubblicazione: 14/05/2019. 

 “Nella c.d. truffa contrattuale, ai sensi dell'art. 1439 c.c., i raggiri usati devono essere tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel “deceptus” una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 cc.
Ne consegue che a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne, che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima (ex multis: Cass. 20 gennaio 2017, n. 1585; Cass. 27 ottobre 2004, n. 20792)”.

martedì, maggio 14, 2019

La distinzione tra l’estorsione e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Cass. Penale Sez. II- Sent. num. 20236/2019 - Presidente: DIOTALLEVI - Relatore: PACILLI - Data Udienza: 07/05/2019. 

“Questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016) ha già chiarito che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono in relazione all'elemento psicologico del reato, in quanto, nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria.
Nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia (in motivazione la Corte ha precisato che l'elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sé non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 cod. pen. - potendo l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni essere aggravato, come l'estorsione, dall'uso di armi - ma pub costituire indice sintomatico del dolo di estorsione).
Inoltre, ai fini della configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente.
Tale pretesa deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato.
Ciò premesso, nell'ipotesi in cui il creditore ponga in essere una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, è certamente configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poiché l'agente è necessariamente consapevole di esercitare la violenza o minaccia per ottenere il soddisfacimento dell'ingiusto profitto derivante da una pretesa contra ius, essendogli negata la possibilità di far valere un diritto tutelabile con l'azione giudiziaria, in considerazione dell'illiceità della pretesa (Cass. Sez. 2, n. 9931 del 01/12/2014)”.

sabato, maggio 11, 2019

Il valore probatorio del verbale d’accertamento d’infrazione.


Cass. Civile Sez. Lavoro - Ord. Num. 12363/2019 - Presidente: D'ANTONIO - Relatore: GHINOY - Data pubblicazione: 09/05/2019. 


“Il verbale di accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass. S.U. n. 12545 del 25/11/1992, Cass. n. 23800 del 07/11/2014).
Per le parti non coperte da efficacia probatoria privilegiata, il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (Cass. n. 15702 del 12/08/2004, n. 9251 del 19/04/2010)”.

giovedì, maggio 09, 2019

La “data certa” della scrittura privata non autenticata.

Cass. Civile Sez. II - Ord. Num. 12093/2019 - Presidente: GORJAN - Relatore: VARRONE - Data pubblicazione: 08/05/2019. 

“L'art. 2704 c.c. non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autentica deve ritenersi certa rispetto ai terzi e lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l'allegazione della parte, a dimostrare la data certa. Tale fatto può essere oggetto di prova per testi o per presunzioni, la quale non è ammessa solo se direttamente vertente sulla data della scrittura (Cass. Civ. Sez. I, Sent. n. 23425 del 2016). In tema di data certa, nel caso di scrittura privata non autenticata può essere ritenuta la certezza della data, solo nel caso in cui la scrittura formi un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale, perché la timbratura eseguita da un pubblico ufficiale equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita (Cass. Civ Sez. VI, Ord. n. 23281 del 2017)”.

martedì, maggio 07, 2019

Ricorso in Cassazione: i vizi di violazione di legge e d'omesso esame di fatto decisivo.

Corte Cassazione Civile Sez. VI - Ord. Num. 11833/2019 Presidente: LOMBARDO - Relatore: ORICCHIO - Data pubblicazione: 06/05/2019. 

“Non possono che richiamarsi i condivisi principi già enunciati da questa Corte per cui "in ogni caso non può ammettersi , anche attraverso la formale e strumentale deduzione di vizio di violazione di legge, una revisione in punto di fatto del giudizio di merito già svolto", giacché "il controllo di logicità del giudizio di fatto non può equivalere e risolversi nella revisione del "ragionamento decisorio" ( Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608), specie quando non ricorre - come nella fattispecie- l'ipotesi di "un ragionamento del giudice di merito dal quale emerga una totale obliterazione di elementi" ( Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148)”.
“L'omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformato, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. cod. civ., tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l'abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. 
Ne consegue ( fra l'altro) che il fatto decisivo ed oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, deve essere rigorosamente indicato ( nel doveroso rispetto anche delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) in modo che lo stesso "fatto storico", il cui esame sia stato omesso risulti con la specifica indicazione del "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del "come" e del "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, della sua "decisività" ( cfr. : Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In definitiva, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé”.

martedì, aprile 23, 2019

Inammissibile il reclamo elettorale presentato direttamente al CNF, anziché al COA.

“Il nuovo ordinamento professionale (artt. 28, 12° comma e 36, 1° comma della L. n. 247/2012) ha confermato la natura giurisdizionale della cognizione del CNF in materia elettorale ma, innovando rispetto al sistema precedente, ha prescritto il necessario deposito del relativo ricorso presso il Consiglio dell’Ordine, secondo quanto disposto dall’art. 59 del r.d. n. 37/1934 (Nel caso di specie, il reclamo elettorale era stato presentato direttamente al CNF. In applicazione del principio di cui in massima, il ricorso è stato dichiarato inammissibile)”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Caia), sentenza del 21 luglio 2016, n. 208.

NOTA: In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Allorio), sentenza del 14 aprile 2016, n. 89, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Mascherin), sentenza del 25 giugno 2016, n. 166, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Mascherin), sentenza del 25 giugno 2016, n. 167.

lunedì, aprile 22, 2019

Il comodato precario e la prova del possesso ad usucapionem.

Cass. Civile Sez. II - Ord. Num. 10469/2019- Presidente: CORRENTI - Relatore: VARRONE - Data pubblicazione: 15/04/2019. 

“Il comodato precario d’un bene immobile costituisce detenzione, non quindi possesso "ad usucapionem", tanto in favore del comodatario quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il comodatario che s’oppone alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di aver usucapito il bene non può limitarsi a provare il potere di fatto sull'immobile, ma deve dimostrare l'avvenuta interversione del possesso, cioè il compimento di attività materiali in opposizione al proprietario concedente» (cfr. Cass. Civ. Sez. 6-2, Ord. n. 12080 del 2018).
La presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 cod. civ., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della "res", ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, nella specie un contratto di comodato, poiché in tal caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario.
Ne consegue che la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile "ad usucapionem" in opposizione al proprietario concedente. Tale prova non poteva consistere nella coltivazione del fondo.
A tal proposito, infatti, deve ribadirsi che ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus"; l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (cfr. Cass. Civ. Sez. II - Ord. n. 17376 del 2018)”.

Gli effetti della morte della parte, nel giudizio civile di merito e di legittimità.

Cass. Civile Sez. II - Ord. Num. 10469/2019- Presidente: CORRENTI - Relatore: VARRONE - Data pubblicazione: 15/04/2019. 

“In caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l'evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall'altra parte o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ex art. 300, quarto comma, cpc (cfr. Cass. Civ. Sez. Unite Sent. n. 15295 del 04/07/2014).
Peraltro deve ribadirsi che nel giudizio di cassazione, dominato dall'impulso d'ufficio, non trova applicazione l'istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e ss. cpc sicché, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, la morte dell'intimato non produce l'interruzione del processo neppure se intervenuta prima della notifica del ricorso presso il difensore costituito nel giudizio di merito, dalla cui relata non emerga il decesso del patrocinato» (cfr. Cass. Civ. Sez. III, Sent. n. 24635 del 2015)”.

giovedì, aprile 18, 2019

Divisione ereditaria: differenze tra transazione divisionale, divisione transattiva ed accordi paradivisori.

Corte Cass. Civile Sez. II - Ord. Num. 8240/2019 - Presidente: MANNA -Relatore: VARRONE - Data pubblicazione: 22/03/2019. 

 “Le censure poste dal ricorrente hanno ad oggetto l'interpretazione della scrittura privata con la quale i fratelli D.L. si erano accordati per lo scioglimento della comunione sui beni ricevuti in eredità dal padre.
In sintesi, ciò che è in contestazione è la natura di tale atto: secondo il ricorrente si tratta di un progetto di divisione, non ancora compiuto in tutti i suoi elementi costitutivi, destinato ad essere integrato con la previsione di conguagli, che, in ogni caso, devono ritenersi già implicitamente ricompresi nel testo della scrittura.
Si verte, pertanto, nel campo dell'ermeneutica negoziale, in presenza della quale il sindacato di questa Corte è limitato soltanto ai profili relativi all'inosservanza dei canoni legali di interpretazione, salvo il diverso profilo dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.
Ciò premesso, nel caso di specie, i giudici del gravame hanno posto l'accento esclusivamente sulla sproporzione del valore dei beni, affermando che tale sproporzione era talmente evidente da essere necessariamente nota agli eredi.
Poiché il discrimen tra la transazione divisionale e la divisione transattiva risiede appunto nella sproporzione dei beni, l'atto stipulato non poteva che essere qualificato alla stregua del primo dei due termini messi a confronto. 
Osserva questa Corte che il giudice del gravame, nell'indagare la reale volontà delle parti, avrebbe dovuto tener conto, ai sensi degli artt. 1362 e ss. del cod. civ., del tenore letterale della scrittura privata, unitamente al complesso delle circostanze e dei comportamenti delle parti.
Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, infatti, «nell'interpretazione del contratto, il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto medesimo ex art. 1362 c.c., concorrono, in via paritaria, a definire la comune volontà dei contraenti.
Ne consegue che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione "prima facie" chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti» (Sez. Lav. , Sent. n. 24560 del 2016).
La Corte d'appello ha violato entrambi i criteri interpretativi, sia quello letterale, che quello derivante dal comportamento anche processuale delle parti. In particolare, risulta erroneo: l'aver valutato la sola alternativa secca tra divisione transattiva e transazione divisoria, senza valutare ipotesi terze quali il negozio preparatorio di divisione; l'aver optato per la soluzione della transazione divisoria senza ter conto né del tenore letterale della scrittura privata né della condotta successiva delle parti, ancorché quest'ultima risultasse accertata dalla stessa sentenza d'appello; l'avere omesso di considerare che l'unico elemento apprezzato come decisivo (la cosciente sproporzione del valore dei cespiti) è significativo solo a patto di escludere motivatamente la suddetta ipotesi terza, cioè il negozio preparatorio di divisione, il quale proprio per la sua natura non definitiva osta ad un giudizio di tal fatta, richiedendo ulteriori accordi sui conguagli.
Con riferimento al criterio letterale, infatti, nella scrittura privata non si rinviene alcuna espressione volta a manifestare la volontà di risolvere in via transattiva l'insorgere di future controversie aventi ad oggetto la divisione ereditaria e, tantomeno, si rinviene alcuna rinuncia a far valere i propri diritti, pur essendo, l'atto negoziale, di data antecedente al sorgere anche di una soltanto di tali circostanze.
Quel che emerge è la volontà di procedere alla divisione con una preliminare assegnazione dei beni oggetto della comunione in relazione alle personali aspettative, com'è naturale tra fratelli, senza alcuna animosità o litigiosità.
Peraltro, questa Corte già in passato ha affermato proprio con riferimento agli accordi divisionali che: «al fine di escludere la rescindibilità dell'atto di divisione ai sensi del secondo comma dell'art. 764 cod. civ., non è sufficiente accertare che essa contenga una contestuale transazione, ma occorre anche accertare che quest'ultima, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote, abbia riguardato proprio le questioni costituenti il presupposto e l'oggetto dell'azione di rescissione (Sent. n. 3396 del 1981).
Inoltre, la Corte d'Appello ha omesso di valutare anche il fatto che non fosse stata effettuata alcuna stima dei beni, anche tale circostanza induce a ritenere mancante l'intento transattivo. Come si è detto, risulta violato anche l'ulteriore criterio interpretativo della ricerca della volontà negoziale desumibile dal comportamento delle parti. Infatti, nella specie, il complessivo  comportamento dei fratelli D.L. depone nel senso che la loro reale volontà, al momento della stipula della scrittura privata del 15 gennaio 1999, non fosse quella di porre fine alla comunione ereditaria, risolvendo definitivamente le future controversie, quanto piuttosto quello di formalizzare un accordo preparatorio della divisione.
In particolare, oltre alla mancata stima, alla mancata indicazione del valore dei beni e alla mancata manifestazione della volontà di transigere, deve evidenziarsi che nella scrittura privata si rimandava ad un atto da stipularsi davanti il notaio dopo l'avverarsi della condizione relativa alla voltura della licenza di panificazione.
Infatti, gli stessi controricorrenti, in primo grado avevano agito in giudizio ex art 2932 cod. civ., intendendo, quindi, l'atto da loro sottoscritto, come un accordo preliminare di divisione. Inoltre, il fratello F.D.L., nelle sue prime difese, aveva condiviso le ragioni del fratello M., salvo poi cambiare difensore e linea di difesa.
Deve, infine, ribadirsi che gli accordi c.d. «paradivisori», volti alla formazione di porzioni dei beni da assegnare a determinate condizioni, pur non producendo l’effetto distributivo dei beni stessi, tipico del contratto di divisione, hanno finalità preparatoria di quest'ultimo, ovvero - ove insorgano successivi contrasti su punti non risolti col negozio stesso - del provvedimento del giudice.
Tali accordi secondo la giurisprudenza di legittimità, una volta perfezionati, possono essere revocati o risolti solo col consenso unanime delle parti contraenti e possono essere impugnati con i mezzi di annullamento previsti per i contratti in genere, ma dagli stessi non si può recedere unilateralmente. Dunque, deve ammettersi anche la loro rescindibilità ex artt. 763 e 764 cod. civ. per lesione oltre il quarto.
D'altra parte, attribuire esclusivo ed automatico rilievo all'evidente sproporzione dei beni oggetto dell'accordo divisorio, comporta come effetto del tutto ingiustificato, quello di rendere impossibile la proposizione della azione di rescissione nella quasi totalità dei casi e, comunque, ogni qual volta la lesione della parte è di maggiore portata.
La rescissione ex art. 763 cod. civ., infatti, si differenzia dall'azione di rescissione ordinaria, perché non richiede l'elemento soggettivo dell'approfittamento dello stato di bisogno e, come si è detto, riduce la lesione rilevante dalla misura della metà a quella di un quarto. Sulla base di tali presupposti, pertanto, se l'elemento discriminante per individuare la causa transattiva del negozio fosse esclusivamente la proporzionalità dei beni, risulterebbe sempre preclusa la rescissione per lesione oltre il quarto, che appunto presuppone una sproporzione della quale la parte difficilmente potrebbe rivendicare l'inconsapevolezza.
Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: «Ai fini dell'interpretazione di un negozio come transazione divisionale, nel quale la causa transattiva prevale su quella divisionale, non è possibile presumere la volontà di transigere con rinuncia ai propri diritti, sulla base della semplice consapevolezza della sproporzione delle quote o dei beni indicati nell'accordo divisorio, in mancanza non solo dell’aliquid datum aliquid retentum, ma anche di un mero disaccordo tra gli eredi e di qualsiasi espressa rinuncia o menzione della volontà di comporre future controversie»”.