giovedì, aprile 18, 2019

Divisione ereditaria: differenze tra transazione divisionale, divisione transattiva ed accordi paradivisori.

Corte Cass. Civile Sez. II - Ord. Num. 8240/2019 - Presidente: MANNA -Relatore: VARRONE - Data pubblicazione: 22/03/2019. 

 “Le censure poste dal ricorrente hanno ad oggetto l'interpretazione della scrittura privata con la quale i fratelli D.L. si erano accordati per lo scioglimento della comunione sui beni ricevuti in eredità dal padre.
In sintesi, ciò che è in contestazione è la natura di tale atto: secondo il ricorrente si tratta di un progetto di divisione, non ancora compiuto in tutti i suoi elementi costitutivi, destinato ad essere integrato con la previsione di conguagli, che, in ogni caso, devono ritenersi già implicitamente ricompresi nel testo della scrittura.
Si verte, pertanto, nel campo dell'ermeneutica negoziale, in presenza della quale il sindacato di questa Corte è limitato soltanto ai profili relativi all'inosservanza dei canoni legali di interpretazione, salvo il diverso profilo dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.
Ciò premesso, nel caso di specie, i giudici del gravame hanno posto l'accento esclusivamente sulla sproporzione del valore dei beni, affermando che tale sproporzione era talmente evidente da essere necessariamente nota agli eredi.
Poiché il discrimen tra la transazione divisionale e la divisione transattiva risiede appunto nella sproporzione dei beni, l'atto stipulato non poteva che essere qualificato alla stregua del primo dei due termini messi a confronto. 
Osserva questa Corte che il giudice del gravame, nell'indagare la reale volontà delle parti, avrebbe dovuto tener conto, ai sensi degli artt. 1362 e ss. del cod. civ., del tenore letterale della scrittura privata, unitamente al complesso delle circostanze e dei comportamenti delle parti.
Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, infatti, «nell'interpretazione del contratto, il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto medesimo ex art. 1362 c.c., concorrono, in via paritaria, a definire la comune volontà dei contraenti.
Ne consegue che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione "prima facie" chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti» (Sez. Lav. , Sent. n. 24560 del 2016).
La Corte d'appello ha violato entrambi i criteri interpretativi, sia quello letterale, che quello derivante dal comportamento anche processuale delle parti. In particolare, risulta erroneo: l'aver valutato la sola alternativa secca tra divisione transattiva e transazione divisoria, senza valutare ipotesi terze quali il negozio preparatorio di divisione; l'aver optato per la soluzione della transazione divisoria senza ter conto né del tenore letterale della scrittura privata né della condotta successiva delle parti, ancorché quest'ultima risultasse accertata dalla stessa sentenza d'appello; l'avere omesso di considerare che l'unico elemento apprezzato come decisivo (la cosciente sproporzione del valore dei cespiti) è significativo solo a patto di escludere motivatamente la suddetta ipotesi terza, cioè il negozio preparatorio di divisione, il quale proprio per la sua natura non definitiva osta ad un giudizio di tal fatta, richiedendo ulteriori accordi sui conguagli.
Con riferimento al criterio letterale, infatti, nella scrittura privata non si rinviene alcuna espressione volta a manifestare la volontà di risolvere in via transattiva l'insorgere di future controversie aventi ad oggetto la divisione ereditaria e, tantomeno, si rinviene alcuna rinuncia a far valere i propri diritti, pur essendo, l'atto negoziale, di data antecedente al sorgere anche di una soltanto di tali circostanze.
Quel che emerge è la volontà di procedere alla divisione con una preliminare assegnazione dei beni oggetto della comunione in relazione alle personali aspettative, com'è naturale tra fratelli, senza alcuna animosità o litigiosità.
Peraltro, questa Corte già in passato ha affermato proprio con riferimento agli accordi divisionali che: «al fine di escludere la rescindibilità dell'atto di divisione ai sensi del secondo comma dell'art. 764 cod. civ., non è sufficiente accertare che essa contenga una contestuale transazione, ma occorre anche accertare che quest'ultima, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote, abbia riguardato proprio le questioni costituenti il presupposto e l'oggetto dell'azione di rescissione (Sent. n. 3396 del 1981).
Inoltre, la Corte d'Appello ha omesso di valutare anche il fatto che non fosse stata effettuata alcuna stima dei beni, anche tale circostanza induce a ritenere mancante l'intento transattivo. Come si è detto, risulta violato anche l'ulteriore criterio interpretativo della ricerca della volontà negoziale desumibile dal comportamento delle parti. Infatti, nella specie, il complessivo  comportamento dei fratelli D.L. depone nel senso che la loro reale volontà, al momento della stipula della scrittura privata del 15 gennaio 1999, non fosse quella di porre fine alla comunione ereditaria, risolvendo definitivamente le future controversie, quanto piuttosto quello di formalizzare un accordo preparatorio della divisione.
In particolare, oltre alla mancata stima, alla mancata indicazione del valore dei beni e alla mancata manifestazione della volontà di transigere, deve evidenziarsi che nella scrittura privata si rimandava ad un atto da stipularsi davanti il notaio dopo l'avverarsi della condizione relativa alla voltura della licenza di panificazione.
Infatti, gli stessi controricorrenti, in primo grado avevano agito in giudizio ex art 2932 cod. civ., intendendo, quindi, l'atto da loro sottoscritto, come un accordo preliminare di divisione. Inoltre, il fratello F.D.L., nelle sue prime difese, aveva condiviso le ragioni del fratello M., salvo poi cambiare difensore e linea di difesa.
Deve, infine, ribadirsi che gli accordi c.d. «paradivisori», volti alla formazione di porzioni dei beni da assegnare a determinate condizioni, pur non producendo l’effetto distributivo dei beni stessi, tipico del contratto di divisione, hanno finalità preparatoria di quest'ultimo, ovvero - ove insorgano successivi contrasti su punti non risolti col negozio stesso - del provvedimento del giudice.
Tali accordi secondo la giurisprudenza di legittimità, una volta perfezionati, possono essere revocati o risolti solo col consenso unanime delle parti contraenti e possono essere impugnati con i mezzi di annullamento previsti per i contratti in genere, ma dagli stessi non si può recedere unilateralmente. Dunque, deve ammettersi anche la loro rescindibilità ex artt. 763 e 764 cod. civ. per lesione oltre il quarto.
D'altra parte, attribuire esclusivo ed automatico rilievo all'evidente sproporzione dei beni oggetto dell'accordo divisorio, comporta come effetto del tutto ingiustificato, quello di rendere impossibile la proposizione della azione di rescissione nella quasi totalità dei casi e, comunque, ogni qual volta la lesione della parte è di maggiore portata.
La rescissione ex art. 763 cod. civ., infatti, si differenzia dall'azione di rescissione ordinaria, perché non richiede l'elemento soggettivo dell'approfittamento dello stato di bisogno e, come si è detto, riduce la lesione rilevante dalla misura della metà a quella di un quarto. Sulla base di tali presupposti, pertanto, se l'elemento discriminante per individuare la causa transattiva del negozio fosse esclusivamente la proporzionalità dei beni, risulterebbe sempre preclusa la rescissione per lesione oltre il quarto, che appunto presuppone una sproporzione della quale la parte difficilmente potrebbe rivendicare l'inconsapevolezza.
Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: «Ai fini dell'interpretazione di un negozio come transazione divisionale, nel quale la causa transattiva prevale su quella divisionale, non è possibile presumere la volontà di transigere con rinuncia ai propri diritti, sulla base della semplice consapevolezza della sproporzione delle quote o dei beni indicati nell'accordo divisorio, in mancanza non solo dell’aliquid datum aliquid retentum, ma anche di un mero disaccordo tra gli eredi e di qualsiasi espressa rinuncia o menzione della volontà di comporre future controversie»”.

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