mercoledì, giugno 02, 2010
Il compleanno, senza festa, della Repubblica.
Oggi 2 giugno, festa della Repubblica e quest’anno festa del Sacrificio, vorrei tentare un rapporto sull’Italia allo stato presente.
Agli occhi degli italiani stessi l’Italia appare divisa in tre etnie rognose: al Nord gli evasori, al Sud i malfattori, al Centro i profittatori.
Per mezza Italia, la colpa del nostro buco pauroso è degli evasori, vil razza padana; per l’altra metà la colpa è degli evasi dal lavoro, vil razza statale. Ma per tutti è colpa dei profittatori, compresi i profittatori medesimi.
I gemelli fondatori della nostra Repubblica, i Romolo e Remo d’oggi, sono Frodo e Frego: uno deruba il fisco e agisce nel privato, l’altro deruba lo stipendio e prospera nel pubblico. C’è chi dice che la colpa principale è di Frodo, e chi dice che la colpa principale è di Frego. Proporrei una soluzione salomonica, con l’aggiunta del terzo di cui sopra, il Profittatore di Stato.
A tutti, me incluso, vorrei però ricordare tre amare verità. Uno. Cari compagni, a evadere non sono poche migliaia di ricconi e sfruttatori del Nord, ma quasi mezza Italia, se considerate che venti milioni di italiani dichiarano al fisco di vivere con le loro famiglie con 15mila euro all’anno e la metà di loro mente, basta notare come vivono.
E pure tra i restanti venti milioni, molti si sottovalutano dal punto di vista fiscale. È ridicolo pensare con il pienone di viaggi, doppie case, navi, ristoranti e hotel, che i benestanti in Italia siano solo uno su mille.
L’evasione è un fenomeno popolare, trasversale, nazionale e non settentrionale. Non è un’assoluzione, intendiamoci, ma una chiamata in corresponsabilità. Condannate, punite, ma risparmiateci il moralismo.
Due, i malfattori. Quelli veri e seri, vale a dire la criminalità organizzata, sono una piccola minoranza e pur avendo una netta provenienza meridionale, ormai hanno portata nazionale e planetaria.
Però il peggio del nostro Paese non è la malavita, ma due fenomeni connessi. Uno, evidente, è la complicità diffusa, un misto di connivenza, paura e rassegnazione, di alcune aree del Sud con la criminalità organizzata. Per non essere generico direi alcuni quartieri di Napoli, alcune aree campane, sparse chiazze siciliane, tanta Calabria, un po’ di Roma.
L’altra è più sorprendente: la mafia e la camorra sono due modelli di organizzazione sociale assai imitati in tutta Italia, non solo al Sud. E in ambiti impensabili: partiti, correnti, premi letterari, collettivi di intellettuali, logge, lobby di imprenditori, persino cricche di magistrati e clan di giornalisti sono organizzati a immagine e somiglianza delle cosche.
Sono la versione incruenta della criminalità organizzata, non uccidono e non spacciano droga ma imitano riti di ammissione e di sottomissione, logiche di esclusione e di branco, usano criteri di affiliazione e di cancellazione di stampo mafioso, spacciano veleni e propagano bugie.
Insomma la malavita non nuoce solo in sé ma per gli effetti riflessi, per contagio e imitazione. A livello popolare ma anche d’élite.
Infine, i profittatori. Chi sono, dove si annidano? Roma è naturalmente la loro capitale, ma anche le sedi regionali non scherzano.
Ci sono i profittatori veri e propri, che hanno il potere come mezzo e la corruzione, lo sbafo, l’interesse privato in atti di ufficio come fine. Poi ci sono quelli che hanno il potere come fine e la corruzione come mezzo, ricreazione e vantaggio secondario.
Infine ci sono quelli, non sempre di infima classe, che godono di piccoli benefici, favori indiretti o piccole creste, che rientrano nel malcostume più che nel malaffare. Bisogna distinguere i gradi di responsabilità e capire se oltre i danni procurano anche qualche utilità pubblica.
Bisogna colpire i malfattori; anche a campione, non riuscendo a colpirli tutti. Ma il rimedio ideale sarebbe dimezzare il numero dei dominanti.
Primo, perché si dimezzano i costi e gli abusi; secondo, perché si crea una selezione e una maggiore responsabilizzazione; terzo, perché diminuendo il numero, aumenta la possibilità di controllarli.
Vorrei però notare che i profittatori sono sì un numero consistente, ma i potenziali profittatori sono la grande maggioranza del Paese. Ovvero in tanti al loro posto farebbero le stesse cose; e in tanti appena possono lo chiedono, quando sono a tu per tu. Rapinare è sport di pochi ardimentosi, rubare allo Stato è sport di tanti, ma godere favori e in genere approfittare, è sport di massa. Diciamolo, non per depenalizzare i reati ma per capire il contesto ed evitare ancora i moralismi.
Torno al ritratto italiano e al Paese della dolce vita & della malavita. Vivere qui è più dolce e più infame che altrove. Ora, in questo Paese viziato prima che vizioso, è davvero difficile lanciare l’etica del sacrificio. Per anni ci hanno istigato a consumare di più, a godere di più, a tutelare i nostri diritti e a realizzare i nostri desideri. E ora vorrebbero imporci il Sacrificio, il Dovere e la Rinuncia? Via, l’Italia non è più abituata, crede che sia solo un rito espiatorio.
E allora chi deve pagare la crisi? Tutti gli italiani, dicono i democratici pii. Solo i cattivi, dicono i giustizialisti etici. Solo i ricchi e i privilegiati, dicono i comunisti e i qualunquisti. Ognuno ha la sua categoria nefasta di riferimento, ciascuno ha il suo delinquente preferito: oltre gli Evasori, i Fannulloni, i Superpagati, c’è la Casta, la Cricca, i Furbi, i Padrini, i Padroni. O per usare categorie professionali: i politici, i magistrati, i supermanager.
Qualcuno dice: paghi Berlusconi. E gli ripetono ogni giorno: metti la tua faccia sul sacrificio. L’ha fatto, ma non basta. Non basterebbe nemmeno se Berlusconi fosse pronto a sacrificare Pier Silvio, come Abramo suo figlio Isacco. Solo il suicidio sarebbe approvato, salvo accusarlo di esibizionismo egocentrico.
Alla fine si spera sempre nel martire o nel riccone che dica: offro io per tutti; il sacrificio, come il caffè al bar, è già pagato.
Nel ’46 i monarchici cantavano: il 2 giugno è nata una puttana e fu chiamata Repubblica italiana. Non sarà vero, ma l’Italia è l’unica repubblica al mondo dove figlio di puttana è un complimento.
di Marcello Veneziani
tratto dal quotidiano: “Il Giornale”.
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