lunedì, aprile 27, 2009

Altre vittime della giustizia.



Uccisi a Ladispoli nel loro studio, un avvocato, Francesco Terracciano, il suo collaboratore, avv. Paolo Salineri, ferito assai gravemente il figlio, avv. Marco Terracciano.
Assassino: una persona contro cui essi avevano vinto una causa, resa folle dall’esito di essa e dal fatto di essere oramai chiamata a pagare quanto dovuto al cliente della vittima.
Non è né il primo caso né l’ultimo di una controparte, un cliente, litigante, imputato che diventa omicida in danno del suo difensore, di quello della controparte. C’è accaduto di conoscerne un'altra di queste vittime, l’avv. Letizia di Locri, uccisa anch’ella nello studio in cui lavorava.
Ignoriamo la vicenda giudiziaria di Santino Barbino, l’assassino di Ladispoli. Ma ogni vicenda della giustizia del nostro Paese, la giustizia stessa, sono da far impazzire. Sempre c’è qualcosa di assurdo, di incomprensibile, di ascrivibile alla mera sorte o che tale appare.
Ogni lite, in qualche misura, è una roulette russa…
Gli avvocati sono, di questo meccanismo grottesco, crudele, sgangherato, l’ultima propaggine verso il cittadino, il cliente o l’avversario, portatori, anche “portatori sani” del virus di quella assurdità soffocante del pianeta giustizia.
E da sempre l’ironia, la diffidenza, l’incomprensione si sono appuntate sull’Avvocato, soprattutto per quell’assurda pretesa, così diffusa tra la gente, per la quale tutti hanno, sì, diritto di difendersi e di essere difesi perché si possa fare giustizia ma al contempo che sia giusto e decoroso difendere solo “chi ha ragione”.
Ma la ragione vera, è che sull’ultima rotella del meccanismo sballato si avvertono tutte le dissonanze delle vibrazioni del suo precario funzionamento e si appuntano scetticismo, proteste e, magari, odii.
Nel diritto penale in vigore nello Stato Pontificio, era previsto un’aggravante per ogni reato di violenza, ed anche d’altro, commesso “in odio di lite”, a causa dell’esasperarsi delle passioni provocate dalle contese giudiziarie, delitti commessi nei confronti di giudici, funzionari, parti, avvocati.
Un’aggravante giustificata dal fatto che la contesa giudiziaria è il luogo, il mezzo con cui la società persegue la finalità opposta allo scontro violento delle passioni e degli interessi essendo la giustizia ordinata al fine “ne cives ad arma veniant”.
Già, la giustizia.
Alla quale si ribellano spesso gli uomini, anche quando per il meglio funziona. Figuriamoci quando tutto congiura a dare della giustizia l’immagine opposta a quella della natura che dovrebbe esserle propria.
Quando è inconcludente, imperfetta, sospettabile, ingiusta, così che chi vince è scontento per quanto ha dovuto soffrire e chi perde è sempre convinto che avrebbe potuto e dovuto vincere.
Vittime di questa pesante realtà di questa eterna irraggiungibilità della giustizia e di questa particolare, nostrana sua inadeguatezza che fermenta nelle menti tarate, è morto Terracciano, è morto Salineri. I quali, oltre tutto, sembra cercassero, magari, di comporre gli interessi delle parti anche in quell’ultima fase, a causa già decisa, con un accordo sul pagamento dovuto dal perdente.
Accostare l’assassino alle vittime è assurdo, sconcio, offensivo.
Ma non intendiamo certo mettere tutti sullo stesso piano se diciamo che anche questo assurdo e folle assassino, Santino Barbino, anche lui, oltre che assassino, è, se non certo vittima, personaggio di una vicenda tragica che ha nella giustizia non solo il suo scenario, ma ogni possibile spiegazione.
La tragedia ha sempre una sua qualche fatalità.
In questo caso, la fatalità di una giustizia che anche nel caso di Santino Barbino, non sarà stata o non avrà saputo apparirgli poi, veramente tale.
Una giustizia che, anche quando è giusta, non ha il credito e l’autorità per convincere, che più facilmente accende follie nascoste, mentre non riesce a segnare la fine dei contrasti. Ed è sempre tragedia.
lunedì 27 aprile 2009
di Mauro Mellini
www.giustiziagiusta.info

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