Per questa ragione, un frate domenicano è stato condannato, con sentenza della Corte d'appello di Torino, confermata dalla Cassazione, per il delitto di ingiuria.
Il religioso si era rivolto alla Suprema Corte per l'annullamento della condanna, sostenendo che «per i suoi rapporti di confidenza con i carabinieri, la frase controversa, entrata ormai nel pur volgare linguaggio quotidiano, non aveva effettivo contenuto offensivo».
Di diverso avviso i giudici della quinta sezione penale di 'Palazzacciò, che hanno dichiarato il ricorso inammissibile: i giudici del merito, si legge nella sentenza n.35548/2007, «hanno plausibilmente ritenuto» che il frate «intendesse contrastare l'operazione dei carabinieri, qualificandola come inutilmente vessatoria e quindi attribuendo sostanzialmente ai militari la responsabilità di un abuso, sicchè il giudizio di colpevolezza risulta ragionevolmente giustificato e incensurabile in questa sede».
Infatti, sostengono gli alti giudici, «non è il significato in sè della frase 'avete rotto le palle' a venire in discussione, perchè, come dimostra la casistica giurisprudenziale, quella frase può essere utilizzata in funzione delle azioni più disparate», nè «viene in discussioen l'accettabilità sociale di un tale linguaggio, perchè l'articolo 594 c.p. non punisce la volgarità in sè. Ciò che rileva - conclude la Suprema Corte - è il significato dell'azione compiuta dal frate con quelle parole e questo spetta ai giudici del merito accertarlo».