venerdì, settembre 28, 2007

Casa e Cassazione.


La Corte di Cassazione non ha detto, come vorrebbero molti titoli di giornale, che se si è poveri si ha diritto ad occupare le case.

Avesse affermato un tale, bislacco principio ne deriverebbe che non esiste più il diritto di proprietà e che nell’assegnazione delle case popolari non conta il reale accertamento del bisogno, ma la prontezza nell’occupare quelle che si liberano e la violenza nel non farsi superare da altri occupanti.

E’ capitato che una corte d’appello abbia condannato una donna indigente, e con un figlio a carico, che aveva occupato abusivamente una casa.

La pena era solo una multa. La cassazione non ha annullato la condanna trasformandola in assoluzione, ma rinviandola ad altra corte perché nelle motivazioni della condanna non si era preso in considerazione lo stato di povertà.

Dato che avere la casa è certamente un diritto, la corte ha osservato che nella sentenza di merito non si erano accertate tutte le condizioni che avevano portato quella cittadina ad una scelta così poco difendibile.

Ad applaudire quel che la cassazione non ha detto sono corsi molti senza tetto culturale, ancora persuasi che la rivoluzione comunista massacrata e seppellita nelle piazze possa riprendere vigore nelle aule di giustizia.

A questi volenterosi militanti del niente faccio osservare che se la povertà è data dall’assenza di reddito, e questa è certificabile con l’assenza di dichiarazione, si prepara uno scenario surreale in cui gli evasori fiscali totali possono mirare, ormeggiato lo yacht battente bandiera paradisiaca, a requisire le ville costiere della Sardegna, notoriamente vuote fuori stagione, così come bande di criminali possono gestire l’occupazione delle case, mettendo ordine, con pugno e mazza di ferro, in liste d’attesa che lo Stato non sa amministrare.

Comprenderanno anche i senza fissa dimora ideale che, in tale condizione, tutto si potrà sostenere, tranne che siano difesi gli interessi dei più deboli e bisognosi.

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