venerdì, marzo 12, 2010

Legittimo impedimento: male minore e molti dubbi .


L’approvazione della legge sul «legittimo impedimento» del presidente del Consiglio, nonché degli altri ministri, in rapporto allo svolgimento di attività di governo, segna una tappa da tempo preannunciata nella strategia difensiva del presidente Silvio Berlusconi sui processi che coinvolgono.
Una tappa che per certi aspetti si configura come il «male minore» rispetto ad altre iniziative legislative che, dirette in concreto al medesimo scopo, avrebbero effetti ben più devastanti sull’intero fronte della giustizia penale, come accadrebbe con il «processo breve».
Eppure anche il testo varato ieri presenta tutta una serie di questioni destinate a sollevare gravi riserve, anche di ordine costituzionale, che almeno in parte si sarebbero potute superare se si fosse proceduto a una serena discussione parlamentare.
A rigore, infatti, nulla vieta al legislatore di prevedere, accanto alla normale disciplina del «legittimo impedimento», già prevista dal codice, una più specifica disciplina volta a definire(a tipizzare») le figure di impedimento strettamente connesse all’esercizio di attività di governo da parte del presidente del Consiglio e dei suoi ministri.
Tuttavia anche in questi casi, pur prefigurandosi una sorta di presunzione legislativa di impedimento, dovrebbe sempre essere ammessa una possibilità di controllo da parte del giudice sull’effettivo verificarsi delle situazioni riconducibili alle ipotesi legislative.
Così non è invece, a quanto sembra, nelle intenzioni della nuova legge (sebbene, in via interpretativa, possa sostenersi anche il contrario quando l’impedimento venga invocato di volta in volta).
E ciò soprattutto allorché l’impedimento venga attestato — come si prevede — attraverso un apposito provvedimento da parte della presidenza del Consiglio, nel quale si certifica anche il carattere continuativo dell’impedimento stesso fino a un massimo di sei mesi.
Qui infatti, sebbene possa apparire singolare la realtà di un impedimento così a lungo protratto nel tempo, la legge sembra configurare una vera e propria presunzione assoluta, tale da imporre senz’altro al giudice il rinvio dell’udienza. Proprio queste situazioni, se davvero dovesse derivarne per il giudice un vincolo automatico a rinviare l’udienza, senza alcuna possibilità di controllo, sono quelle che suscitano i maggiori dubbi di legittimità costituzionale.
Poiché in ipotesi del genere (come aveva già chiarito la Corte costituzionale nella recente sentenza sul Lodo Alfano) si tratterebbe in sostanza non di un impedimento, ma di una «prerogativa» legata alla titolarità della carica ministeriale, che come tale non potrebbe essere introdotta con legge ordinaria.
Certo la Corte costituzionale, se investita della questione, potrebbe optare anche per una sentenza interpretativa di rigetto, riconoscendo cioè al giudice un potere di sindacato sul merito dell’impedimento, anche in queste situazioni.
Se, invece, fossero gli stessi giudici, pur di fronte alla nuova legge, a ritenere di poter comunque esercitare un tale potere, è verosimile che s’aprirebbero le porte a un ricorso per conflitto di attribuzione, da parte della presidenza del Consiglio, di fronte alla stessa Corte costituzionale.

di Vittorio Grevi
tratto da: “IL CORRIERE DELLA SERA”

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