martedì, dicembre 01, 2009

Azione responsabilità contro avvocato: deve esser provato il danno concretamente sofferto (Trib. Roma, Sent. n. 18433 del 12/9/2009).



Non si può proporre un’azione di responsabilità contro l’avvocato limitandosi ad affermare che, per sua negligenza, il giudizio che il professionista aveva avuto incarico di curare non è giunto ad una decisione di merito.
L’omessa o inesatta esecuzione della prestazione professionale, la quale si risolva nel mancato rispetto di un termine – sostanziale o processuale – che comporti una decadenza e/o una preclusione, infatti, non si traduce automaticamente nella responsabilità dell’avvocato per la mancata vittoria della causa.
È del tutto evidente, infatti, che in tanto l’insuccesso processuale possa imputarsi all’avvocato, in quanto risulti che l’azione giudiziale, se fosse stata tempestivamente proposta e/o correttamente coltivata, avrebbe avuto un esito positivo.
Viceversa, il cliente non può certo pretendere dall’avvocato – che pure abbia commesso un errore – la compensazione in via risarcitoria di un vantaggio o, più in generale, di un’utilità che il cliente non avrebbe comunque conseguito.
La Corte di Cassazione lo ha chiarito in più occasioni a chiare lettere:
"L'affermazione della responsabilità professionale dell'avvocato implica l'indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente”, precisando che “… al criterio della certezza della condotta, può sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e della idoneità della condotta a produrli” (cfr. da ultimo: Cass. civ., n. 8151/09).
Chi esercita l’azione di responsabilità, dunque, non può limitarsi a dedurre la responsabilità per negligente esecuzione del mandato professionale dando la prova dell’inadempimento, ma deve altresì offrire elementi utili al fine di provare, quanto meno nei termini di una ragionevole verosimiglianza, che sussistevano elementi probatori adeguati e idonei a consentire l'accoglimento delle domande proposte.
Nella sentenza richiamata in epigrafe, il Tribunale di Roma ribadisce tutti questi principi e chiarisce, in linea con gli orientamenti assolutamente maggioritari nella giurisprudenza di legittimità, che incombe al cliente/attore fornire la prova del danno e del nesso causale tra quest’ultimo e l’inadempimento dell’avvocato, nei termini sopra specificati.

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