Mariastella Gelmini è riuscita laddove i suoi predecessori hanno fallito: tentare la valutazione della virtuosìtà degli atenei sulla cui base destinare le risorse.
Si possono discutere, certo, i parametri e le modalità con le quali sono stati formulati i giudizi.
Tuttavia siamo di fronte a un primo passo, un passo davvero importante, lungo il cammino della razionalizzazione dell`intero sistema universitario.
E tutto questo, grazie alla tenacia e all`intelligenza di un ministro giovane e determinato cui deve andare il plauso di tutti coloro che hanno a cuore le sorti, non solo scolastiche ed educative, del paese.
Com`era prevedibile, le critiche, sia alla "graduatoria" degli atenei sia all`impianto generale dei provvedimenti di riforma, non sono mancate.
E può anche darsi che alcune di esse non abbiano tutti i torti. Ma è bene che il ministro, almeno per ora, non se ne curi e vada avanti per la sua strada. Per migliorare, o anche eventualmente per correggere, qualche stortura c`è sempre tempo.
Mentre non è più il tempo di lasciare che il sistema universitario prosegua, con forza d`inerzia, a scivolare lungo la linea di un piano inclinato che poggia la sua base superiore sulla disastrosa eredità del Sessantotto e della contestazione.
In Italia non abbiamo avuto purtroppo un De Gaulle. A questi, com`è noto, bastò una sola battuta - "Signori, la ricreazione è finita" - per porre fine alla stagione di una rivoluzione strisciante che trasformava gli atenei in postriboli e campi di battaglia ideologici.
Da noi prevalsero la demagogia e il pressappochismo con la moltiplicazione dei docenti universitari a tutti i livelli (altro che blocco dei concorsi!), con la moltiplicazione delle sedi universitarie per motivi clientelari, con la parcellizzazione degli insegnamenti per esigenze "baronali", con la proliferazione incontrollata dei corsi universitari.
Un disastro, un disastro totale che ha inciso sulla qualità dell`insegnamento, sul livello della docenza, sui risultati della ricerca.
Oggi abbiamo cattedre, mezze cattedre, quarti di cattedre affidate a professori e professorini - troppo spesso figli e nipoti della sbornia contestatrice del Sessantotto e dintorni - che, in altri tempi, non avrebbero insegnato neppure nei licei di provincia.
E abbiamo, inoltre, una marea di insegnamenti affidati a persone esterne al mondo dell`università in nome della "professionalità" acquisita nella vita professionale o dello status sociale, come se l`università dovesse ridursi a una scuola aziendale.
Quanti sono, insomma, i docenti che trasmettono veramente sapere e non si limitano, per usare l`immagine del poeta W. H. Auden, a "parlare nel sonno altrui"? Quanti sono i professori che fanno davvero ricerca e non già spreco di risorse o, nella migliore delle ipotesi, "turismo culturale"?
Non si tratta di domande oziose e retoriche. La selezione e la qualità della docenza sono un problema prioritario anche rispetto a quello dei finanziamenti alla ricerca, tanto è vero che, almeno in qualche campo, risultati positivi sono venuti dal di fuori dei canali universitari.
E per questo - sia detto per incidèns - non hanno trovato probabilmente il giusto riconoscimento nei parametri stilati per la definizione della "virtuosità" degli atenei e hanno potuto determinare qualche sorpresa o "declassamento", cui si potrà ovviare in seguito.
Quel che conta è che, finalmente, qualcuno, l`attuale ministro, abbia cominciato ad affrontare davvero il problema dell`università in maniera seria e "globale" rifiutandosi di obbedire al demagogismo imperante, alle pressioni hobbistiche, agli interessi organizzati.
Coraggio, ministro Gelmini. Non è sola. Parola di professore!
Francesco Perfetti
Dal quotidiano "IL TEMPO" di lunedì 27 luglio 2009
Dal quotidiano "IL TEMPO" di lunedì 27 luglio 2009
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