Invece altolà di Federconsumatori, il cui presidente Rosario Trefiletti respinge ogni ipotesi di annacquamento, perché “così si darebbe una mano ai furbi che vogliono affossare la legge”.
Fra gli avvocati, un giudizio pessimo viene espresso al telefono da Franco Bonelli, contitolare dello studio Bonelli-Erede-Pappalardo, docente di Diritto commerciale e coautore della riforma delle società per azioni.
A suo parere, con la forma concreta che l’azione collettiva ha assunto in Finanziaria “si rischia di uccidere una cosa che sarebbe utilissima e invece nasce storta”; secondo Bonelli “un’efficace class action è un progresso civile, ma solo se fatta con criteri che tengano conto del sistema giuridico italiano come è. Per esempio, da noi i consumatori/risparmiatori che proveranno a far valere i loro diritti scopriranno che il diritto processuale italiano conferisce loro armi inferiori rispetto a quello americano, perché negli Usa chi fa causa ha diritto ad avere accesso a tutta la documentazione in possesso dell’impresa citata, mentre in Italia no; inoltre, negli Stati Uniti esiste un filtro preventivo contro le cause infondate e temerarie, che invece la legge italiana non prevede; in tali circostanze non è da escludere che la magistratura italiana di fronte alle prime tre azioni collettive condotte malamente maturi un orientamento negativo e non accetti più nulla”.
L’avvocato (e assistente universitario) Angelo Castelli di Formia, che si è guadagnato notorietà e benemerenze fra i risparmiatori con le molte cause che ha vinto contro le banche nella vicenda dei bond argentini, stigmatizza che “consentire la class action solo con il tramite delle associazioni di consumatori, e non anche attraverso i servizi dei singoli avvocati scelti da chi se ne vuol fare rappresentare, è una limitazione della libertà , forse incostituzionale”.
L’avvocato sospetta che “tramite le associazioni si voglia sottoporre l’uso della class action a una sorta di controllo politico”. Castelli considera anche “sbagliato che non sia stato previsto un tentativo obbligatorio di conciliazione preventiva, come avviene nel diritto del lavoro”.