Questa la linea dura adottata dalla Cassazione, secondo la quale commettono un errore i giudici che, acconsentendo alla pena patteggiata, non mandano in prigione i giovani zingari sorpresi più volte a rubare e a bluffare su nome e cognome.
La Suprema Corte ha infatti annullato una sentenza pronunciata nel 2004 dal Tribunale monocratico di Modena, con la quale una ragazza nomade, della quale non erano chiare le generalità, aveva patteggiato la pena per tentato furto aggravato in un'abitazione.
La ragazza, di origine slava, era stata più volte colta in flagrante mentre rubare in appartamenti e, nel corso di diversi arresti, aveva declinato ben cinque diversi nomi, anni e luoghi di nascita.
Il giudice, rilevando la giovane età dell'imputata e l'esistenza di precedenti penali "non ostativi", le aveva riconosciuto la sospensione condizionale della pena.
Una decisione contro la quale il procuratore generale di Bologna aveva presentato ricorso in Cassazione, osservando che "l'incertezza sull'effettiva identità dell'imputata, già condannata o denunciata con diverse generalità, si pone in insanabile dissidio con la possibilità di ritenere, a ragion veduta, che questa si asterrà dal commettere ulteriori reati".
La Cassazione condivide il rilievo e sottolinea come nei confronti di "un soggetto straniero che non risulti avere stabile dimora in Italia, che non sia stato compiutamente identificato e che sia già stato condannato o denunciato anche con diverse generalità", non può "essere formulato un giudizio prognostico favorevole" in base al quale concedere il patteggiamento e la condizionale.
Così, i giudici della quarta sezione penale della Suprema Corte, con sentenza 39852/2007, hanno annullato la sentenza di patteggiamento della nomade e hanno ordinato che sia sottoposta al processo ordinario senza alcun beneficio.