L’incipit riferisce di un “silenzio generale” che circonderebbe la riforma che è approdata in aula alla Camera proprio in questi giorni : essendo dotati di una accurata rassegna stampa, potrei smentire con una serie di faldoni corposa e pesante questa affermazione.
Credo che si tratti della riforma, in materia di professioni, che più ha coinvolto i media, a partire da tre anni fa, quando si mise in cantiere un testo che approdò al Senato, e dopo una lunga attesa, molti ostacoli, molti espedienti per interromperne o rallentare il cammino, fu approvato da una larga maggioranza prima in Commissione e poi in aula.
Mi spiace che il professor Ainis sostenga che l’approvazione di un ramo del Parlamento e poi il prosieguo dell’iter sia frutto della “lobby” dei 133 avvocati parlamentari perché questa affermazione è al tempo stesso offensiva per loro e inconsistente per i lettori: la riforma della professione forense attende dal 1961 (Congresso di Genova) di essere esaminata dai Parlamenti che si sono succeduti nel corso di questi cinquant’anni.
Altrettanto offensiva è la virulenza con cui l’Autore si scaglia contro la riforma, bollandola come espressione della “dottrina fascista delle corporazioni”: la riforma contiene molte innovazioni, rispetto alla legge del 1933, volte alla qualificazione degli studi di Giurisprudenza, del tirocinio, della qualificazione professionale attraverso l’aggiornamento continuo e le specializzazioni, rafforza le garanzie per gli assistiti, introducendo l’assicurazione obbligatoria della responsabilità professionale, e molte altre previsioni che collocano l’attività forense in un mercato più concorrenziale.
Se invece l’aggettivazione è utilizzata come un’arma per gettare discredito sul sistema ordinistico, basterebbe aver seguito la discussione ampia, colta, precisa che si è sviluppata in questo triennio all’interno dell’ Avvocatura e all’esterno, con le diverse istituzioni che se ne occupano, per comprendere quanto sia fallace ogni sistema alternativo, e come il nostro sia in linea con le prescrizioni comunitarie e con i modelli che si sono via via formati in Europa.
Il professor Ainis si scaglia anche contro il Consiglio nazionale forense, ragione per la quale ho sentito il dovere di confutare i suoi argomenti, che altrimenti avrei lasciato correre per la loro … giusta collocazione: mi fa specie che egli non conosca la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, che ne hanno da molti anni legittimato non solo il ruolo – qualificandolo come giudice speciale – ma anche il rilievo istituzionale, quale ente pubblico non economico rappresentativo dell’intera categoria forense.
E come giudice – che si occupa dei ricorsi degli incolpati avverso i provvedimenti sanzionatori di prime cure – il CNF svolge la sua attività: posso apparire pochi i procedimenti trattati? Il professor Ainis non ha mai controllato, e se lo avesse fatto, avrebbe per correttezza dovuto parlarne, quanti sono i procedimenti che si concludono in primo grado con l’accettazione della sanzione.
Il professor Ainis fa carico alla categoria di non aver frapposto un argine all’ampliamento eccessivo degli iscritti: se mi avesse consultato o se si fosse informato, avrebbe saputo che è da più di vent’anni che il CNF insiste con tutti i Ministri Guardasigilli che si sono succeduti nella carica per l’introduzione di regole selettive e più qualificanti all’atto dell’esame di abilitazione. Abbiamo subìto, non certo auspicato, la situazione oggi in emersione. Quanto poi alla conformità alle prescrizioni comunitarie della disciplina attualmente all’esame della Camera possono rassicurarlo, se ne fosse il caso (e forse lo sarebbe), gli studi che abbiamo condotto per dimostrare che negli ultimi tempi si è fatto un uso distorto, ideologico, insomma, falso dell’argomento, posto che ogni aspetto della legislazione sull’attività forense è stato vagliato della Corte di Giustizia e conservato nella sua interezza.
Proprio per la sua formazione di costituzionalista il professor Ainis avrebbe dovuto chiedersi se è corretto istituzionalmente che il Governo faccia la gara con il Parlamento a disciplinare la materia.
Il Governo lo farebbe con un “regolamento”, fonte secondaria, che certo non si attaglia – è incostituzionale , insomma – alla materia che riguarda la difesa dei diritti dei cittadini , l’accesso alla giustizia, la protezione dei valori fondanti della nostra società. Gli appare “democratico” lo scavalcamento della volontà del Parlamento ad opera del Governo? Oppure gli ricorda qualche altro momento della nostra tragica storia?
20 Giugno 2012
Guido Alpa
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