Le anticipazioni di stampa sul contenuto del testo del maxi emendamento, ancora una volta narrano di un tentativo di deregolamentazione delle professioni, e di un innalzamento di barriere che sempre più impediscono al cittadino l’accesso alla giurisdizione.
Quanto al primo aspetto, si pensi solo al processo di delegificazione, per cui gli Ordinamenti professionali dovrebbero essere attuati attraverso regolamenti autorizzati, ovvero dai burocrati ministeriali di turno.
A parte i profili di illegittimità costituzionale, ai quali, al solito, il Legislatore sembra non dare peso alcuno, vi è alla base l’inquietante e mistificante idea secondo cui le professioni liberali sarebbero la causa prima dei problemi di crescita del nostro Paese.
Non dunque cause aventi origine in sprechi della pubblica amministrazione, in privilegi non più tollerabili della politica, in una pressione fiscale non più sopportabile, in una industria preoccupata solo di distribuire i dividendi e di nulla investire in tecnologia e forza lavoro, in un assistenzialismo facente rima con clientelismo, in un mercato del lavoro né flessibile, né in grado di garantire occupazione, in una finanza senza regole, e molto altro ancora.
Non queste le cause dei problemi del Paese, che invece vanno individuate nella esistenza di regole professionali deontologiche poste a tutela del cittadino. Nessuno osserva come invece i professionisti italiani siano anch’essi lavoratori che subiscono tutti i danni della crisi economica in corso, che non pesano sullo Stato dal punto di vista previdenziale, che creano occupazione presso i propri studi professionali, che gestiscono attraverso gli Ordini attività di interesse pubblico a proprie spese, che mai hanno avuto protezioni di welfare.
E allora ogni scellerato tentativo di riconduzione delle professioni al modello dell’impresa, altro non è che la ricerca di un capro espiatorio a “costo zero”. E ciò non è tollerabile, e ancor più non può tollerarsi che in questa maniera si prendano in giro i cittadini. Si pensi al secondo aspetto più sopra richiamato e agli ostacoli all’accesso alla giustizia che, sempre secondo le anticipazioni di stampa, vorrebbero riproporsi, quali la mediazione da subito anche nelle materie per le quali vi era stato un motivato rinvio, l’aumento della metà del contributo unificato per l’appello e il raddoppio per la cassazione, il pagamento del contributo unificato per per avere la motivazione estesa e poter impugnare, cioè la sentenza a pagamento (!), l’ abrogazione della legge Pinto, e altro ancora.
Il CNF si attende una presa di coscienza da parte dei parlamentari di buon senso, che porti a rimediare ad una manovra ideologicamente indirizzata contro i professionisti italiani e quindi contro i cittadini, e naturalmente a tutto vantaggio dei poter forti.
L’Avvocatura è divenuta terreno di scontro della politica, e sulla sua pelle si giocano le rivendicazioni dell’una e dell’altra parte, che fanno prevalere il contrasto piuttosto che non preoccuparsi del bene comune e della posizione dell’ Avvocatura che è essenziale sia mantenuta autonoma e indipendente per poter svolgere la sua missione. Perciò continuerà nella battaglia per la riaffermazione dei principi fondamentali dello stato di diritto, ben lontani dalla ricerca del profitto ad ogni costo, come vuole la legge del mercato, tante volte invocata a sproposito e in perfetta malafede.
Il ruolo dell’Avvocatura è insopprimibile, come da ultimo affermato dalla Corte di Strasburgo con decisione del 18 ottobre 2011, e allora, forti anche di quest’ultimo riconoscimento, sabato 12 novembre il CNF incontrerà a Roma gli Ordini e le altre rappresentanze dell’Avvocatura, insieme si proseguirà senza tentennamenti verso l’obiettivo di riaffermare i principi fondanti della professione, pronti a collaborare con un Parlamento ragionevole per la risoluzione dei problemi drammatici della giustizia, quale lo smaltimento dell’arretrato civile, ma anche pronti a contrastare con determinazione disegni tendenti a criminalizzare chi svolge con dignità e passione la professione di avvocato, di chi cioè è chiamato per dettato costituzionale a tutelare i diritti fondamentali e inviolabili dei cittadini.
Guido Alpa
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