lunedì, luglio 18, 2011

UNIONE CAMERE CIVILI: LETTERA APERTA AI CITTADINI, ALLA POLITICA ED AI MASS MEDIA.


Le reazioni della quasi totalità della stampa e dei mass media a quanto ieri accaduto in Parlamento, a proposito della manovra finanziaria, si possono riassumere nel titolo odierno del Sole 24 Ore: “Gli Ordini frenano la liberalizzazione” (pag. 5).
Viene poi in proposito riportata, con ampia evidenza, la dichiarazione della Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: “Dal Parlamento ci giungono ancora, dopo che appena l’altro ieri il paese è stato sull’orlo del baratro, notizie che parlano di deputati che difendono privilegi ed impediscono le liberalizzazioni”.
Ma cos’è veramente successo, al di là di tali alte e forti “cortine fumogene”?
E’ successo che, all’ultimo momento, si è cercato di introdurre nella “manovra finanziaria” un emendamento, costituito dall’art. 39 bis, titolato “liberalizzazione delle attività professionali e di impresa”, che, in sostanza, conduceva alla soppressione degli ordini professionali ed alla totale equiparazione delle libere professioni alle imprese, affermando il principio che “l’accesso alle
professioni e il loro esercizio si basano sul principio di libertà di impresa” (comma 1).
Ora non si può in proposito non rilevare che, al di là del metodo adottato (si approfitta della necessità di approvare, con assoluta urgenza, un importante provvedimento in materia economico – finanziaria, per introdurvi, di soppiatto ed all’ultimo momento, norme che nulla hanno a che vedere con tale provvedimento e di notevole complessità, senza alcun preventivo confronto con le categorie interessate), nel merito le norme in questione non potevano e non possono essere in alcun modo accettate, quantomeno per i seguenti motivi:
1) Qualsiasi legge ordinaria che intendesse sopprimere l’esame di abilitazione all’esercizio di una libera professione sarebbe palesemente incostituzionale, perché in contrasto con l’art. 33, comma V, della Costituzione, che prescrive la necessità di “un esame di Stato . . . per l’abilitazione all’esercizio professionale”.
E si rifletta in proposito che tale norma è ricompresa nella parte prima della Costituzione (quella che disciplina i diritti e i doveri dei cittadini e che, secondo i costituzionalisti o non dovrebbe essere assolutamente mutata, neppure con l’apposito procedimento di revisione costituzionale, ovvero potrebbe essere rivista solo dopo attentissime riflessioni, riguardando i principi essenziali della nostra Carta).
Si noti ancora (ed anche questo è estremamente significativo) che l’art. 33 è ricompreso nel titolo secondo della Costituzione, quello che disciplina i “Rapporti etico – sociali” ed in particolare l’art. 33, al 1 comma, enuncia il principio che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, perché le libere professioni intellettuali, nulla hanno a che vedere con i rapporti economici, che, infatti, sono separatamente disciplinati dalla Costituzione, nel successivo titolo III.
2) Ma, anche ove si potesse prescindere da tale insormontabile ostacolo, è doveroso porsi la famosa domanda “cui prodest?”, e cioè a chi gioverebbe la soppressione degli Ordini professionali e la c.d. “liberalizzazione”?
Non certamente al comune cittadino (il c.d. “consumatore”). L’interesse del cittadino è infatti quello di avere dei liberi professionisti tecnicamente preparati ed il più possibile ineccepibili sul paino deontologico.
Le libere professioni assicurano infatti al cittadino la tutela di alcuni dei diritti fondamentali, come il diritto alla salute (professione medica) e il diritto alla difesa (professione d’avvocato).
La parificazione libero professionista/ imprenditore commerciale sarebbe quindi, una iattura proprio per il cittadino, perché l’imprenditore ha (del tutto legittimamente) come primario obiettivo quello del proprio profitto e del guadagno. Il libero professionista, invece, deve avere come obiettivo primario quello della tutela dei diritti dei propri assistiti (siano essi la difesa della persona o la salute) e, solo in via sussidiaria, l’interesse al proprio compenso.
Ciò è tanto vero che, ove un libero professionista dovesse privilegiare il proprio tornaconto personale, rispetto agli interessi dei propri clienti, è passibile di essere punito disciplinarmente, con sanzioni che possono giungere fino alla radiazione dall’albo (e cioè a non poter più esercitare la libera professione). Questa è una delle differenze sostanziali tra libero professionista ed imprenditore, perché quest’ultimo non è soggetto ad alcuna cogente norma deontologica e legittimamente può pertanto perseguire solo ed esclusivamente il proprio profitto (naturalmente purchè non violi le leggi comuni).
3) Per contro, vista la stagnazione dell’economia, è da tempo che Confindustria e gli altri i c.d. “poteri forti” (banche, assicurazioni, etc.) mirano ad impadronirsi di quelli che loro chiamano i “servizi professionali”, costituendo società di capitali, assolutamente irresponsabili dal punto di vista deontologico, che da un lato mirino al perseguimento di rilevanti utili e, dall’altro, assicurino, attraverso le prestazioni di propri dipendenti (non più quindi liberi professionisti) prestazioni a loro favore a basso costo.
Particolarmente i giovani professionisti, in una situazione di debolezza economica come l’attuale, sarebbero costretti ad accettare condizioni iugulatorie, pur di sopravvivere.
4) Si tenga ancora presente che i liberi professionisti sono l’unica categoria che, fino ad oggi non ha mai comportato costi per la collettività.
A differenza, infatti, degli imprenditori che, secondo una ben nota teoria hanno da sempre cercato e spesso ottenuto (soprattutto la grande impresa) di privatizzare gli utili e pubblicizzare le perdite, sfruttando pubblici incentivi e finanziamenti (pagati da tutti noi) per aumentare la produzione, e quindi le vendite e i loro profitti e, nei momenti di difficoltà, utilizzando anche la cassa integrazione, che fa si che non debbano sopportare i costi dei loro dipendenti, mantenendo però inalterate le strutture per il successivo periodo della ripresa, ed altresì a differenza delle provvidenze a favore dei lavoratori dipendenti che, oltre alla citata Cassa Integrazione, godono di tutti gli altri c.d. “ammortizzatori sociali” e delle pensioni di invalidità ed inabilità a carico della collettività, i liberi professionisti hanno delle Casse di previdenza ed assistenza autonome, da loro esclusivamente finanziate, che non gravano per un solo euro a carico dello Stato.
Per questi e per molti altri non meno rilevanti motivi, ci si è opposti con assoluta fermezza all’emendamento che qualche politico non solo privo di scrupoli, ma anche di intelligenza, ha cercato di introdurre surrettiziamente ed impropriamente nella manovra finanziaria e ci si oppone a qualsiasi ipotesi di soppressioni degli ordini professionali.
Parma, 14 luglio 2011


Il Presidente dell’UNCC
(Avv. Renzo Menoni)

Nessun commento: