Leggo oggi - da un comunicato stampa del C.N.F. - che si sarebbe raggiunta un’ipotesi di accordo in sede ministeriale, volto a riformare la contestata procedura della mediaconciliazione.
Tralascio gli altri temi trattati nell’incontro notturno e mi soffermo sulle modifiche che il ministro si direbbe improvvisamente disposto a varare (come?) per accogliere in parte le doglianze dell’avvocatura.
Se leggo bene, il punto portante di tutta la questione, sarebbe costituito dall’obbligatorietà dell’assistenza legale in fase di procedimento di media-conciliazione.
Tale soluzione è stata salutata con soddisfazione dal presidente del CNF che rileva come ciò costituisca “un primo importantissimo risultato che risponde alla insopprimibile esigenza di garantire al cittadino il diritto di difesa qualificata anche nelle procedure di mediazione, esigenza da sempre perorata dall’avvocatura nel rispetto del ruolo che la Costituzione le riconosce”.
Ho la presunzione di ritenere che la mia posizione in tema di mediaconciliazione obbligatoria e la mia coerenza circa tale posizione sia nota.
Continuo a ritenere che si tratti di una vera e propria porcheria, per giunta incostituzionale.
Si trattava e si tratta, infatti, di una questione scivolosa che porta inevitabilmente a galla i robusti interessi e gli appetiti corporativi - che agitano e squalificano la nostra categoria - e rischia di oscurare le vere malefatte che la normativa contiene.
E’ una foglia di fico, che nasconde solo la volontà di partecipare alla festa assieme agli altri invitati e per la quale il conto sarà presentato al cittadino-utente.
Gioire per tale eventualità costituisce sia miopia politica – perché in concreto si tratta di una polpetta avvelenata confezionata con fini pre-elettorali – e sia censurabile disinteresse e pari speculazione per il destino e le istanze del cittadino-utente.
Lo stesso, solo per formulare una domanda di giustizia, dovrà sobbarcarsi obbligatoriamente, oltre i costi ed i tempi di una procedura inutile e dannosa, anche le spese di un difensore per tentare di raggiungere un ipotetico ed improbabile risultato che gli avvocati normalmente diligenti conseguono con un semplice scambio di telefonate e/o di corrispondenza.
Siamo alla paranoia pura e se saremo partecipi di tale scempio non potremo poi lamentarci un domani quando una diversa e futura classe politica - che di certo prima o poi si manifesterà per ovvie ragioni di alternanza – ci presenterà il conto spingendo le c.d. iniziative di liberalizzazione che tanto interessano i poteri forti del nostro paese.
Ricordo a me stesso che la spina dorsale della nostra professione è costituita dalla disponibilità a difendere chiunque si presenti alle nostre porte – sia esso una nota società, ovvero il poveraccio di turno - per veder affermare una pretesa garantita dalla legge.
Qualunque sia lo spessore della pretesa e qualunque sia la forza dell’avversario; fosse pure lo Stato con tutto il suo armamentario.
Se crediamo ancora a questa premessa dobbiamo avere la coerenza di difendere i nostri rappresentati, intesi in senso impersonale e collettivo, dimostrando con i fatti che
Iniziative che non sono improvvisamente nobilitate solo perché sarà resa obbligatoria la nostra partecipazione (a spese dei nostri assistiti) ad una procedura che non trova eguale in nessun paese civile.
Un obbrobrio (mi viene un altro termine, ma non lo scrivo per decenza) si può emendare fin che si vuole, ma non muta la sua natura di rifiuto organico.
Chi vuole cimentarsi nel rimestarlo, si accomodi.
Io non ci sto.
Distintamente.
Trieste, 10 maggio 2011
Avv. Fulvio Vida
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