mercoledì, gennaio 23, 2013

LA RIFORMA FORENSE: PREGI E DIFETTI.

1. La funzione costituzionale dell’avvocato.
Tra i principi della Costituzione sono fondamentali:
a) il principio di inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado di giudizio e, collegato a questo, il principio della tutela dei non abbienti (art. 24); b) il principio della parità delle parti nel processo (art. 111).
All’attuazione degli indicati principi è preposta l’avvocatura che è una componente essenziale della giurisdizione che trova una giustificazione sostanziale nel fatto che l’avvocato, con la difesa del cittadino, assume la veste di protagonista nel processo.
E se è vero che il processo risulta essere la sede dell’esercizio della funzione giurisdizionale è innegabile che la rilevanza costituzionale di quest’ultima debba estendersi a tutti i soggetti che ad esso partecipano da protagonisti: giudici ed avvocati.
La magistratura e l’avvocatura sono, con pari dignità, le componenti della giurisdizione. La rilevanza della pari dignità assume il significato di un concreto bilanciamento all’interno dell’assetto costituzionale della giurisdizione, che si presenta come garanzia di neutralizzazione delle possibili distorsioni e degenerazioni.
L’avvocato diventa, quindi, il depositario e l’affidatario della quota di sovranità appartenente alle parti processuali che non possono restare nella totale disponibilità del giudice. L’Avvocatura assume il ruolo di indispensabile sostegno alla correttezza e alla pienezza del ruolo del giudice per la rappresentazione della situazione giuridica delle parti.
Se la presenza dell’avvocato è garanzia di terzietà del processo, l’Avvocatura deve concorrere, con propri rappresentanti, all’Amministrazione della giustizia nelle diverse articolazioni, con un bilanciamento di ruoli e funzioni. La recente nuova disciplina di riforma dell’ordinamento della professione forense parla, all’art. 1 n. 2, di specificità della funzione difensiva e di “primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è proposta”.
Ma la dicitura legislativa non è sufficiente. Appare necessaria una riforma costituzionale. L’Avvocatura ha, infatti, proposto di modificare il titolo IV della Seconda Parte della Costituzione intitolandola “La Giurisdizione” con l’articolazione in tre sezioni: la prima dedicata ai principi fondamentali della funzione giurisdizionale; la seconda ai principi riguardanti la Magistratura, la terza ai principi che regolano la difesa e l’Avvocatura.
Viene così rafforzato il principio costituzionale del diritto di difesa come funzione essenziale in ogni procedimento giudiziario e viene, allo stesso tempo, costituzionalizzata l’attività dell’avvocato nella sua funzione di rilevanza pubblica.
2. La riforma forense è un primo passo. Ma non basta.
Occorre porre immediato rimedio al sovraffollamento degli albi degli avvocati ponendo regole selettive per l’accesso alla professione. Sul punto la riforma è completamente carente avendo il Parlamento disatteso alcune indicazioni dell’Avvocatura (selezione nell’accesso al tirocinio e all’esame di stato, limite di età, scadenza del certificato di abilitazione, eliminazione delle iscrizioni di diritto, etc.). Sul tema bisogna intervenire con incisività ed urgenza stabilendo il numero chiuso per la iscrizione all’albo e, se con ciò non fosse possibile, il numero programmato all’Università (nelle iscrizioni e/o nel corso del quinquennio di laurea).
Non c’è altra soluzione. La presenza record di 240 mila avvocati rende difficoltoso l’esercizio di una qualificata difesa del cittadino. In Francia gli avvocati sono 47 mila e in Inghilterra vi sono 10 mila barrister (gli avvocati che esercitano nel processo) ai quali si aggiungono 120 mila solicitors che hanno funzioni anche non forensi e non svolgono, in massima parte, funzioni difensive.
3. La eccessiva ingerenza dello Stato nella formazione dei regolamenti attuativi della riforma forense. Il potere di autonomazione è molto diffuso negli ordinamenti forensi europei. L’autonomia ed indipendenza delle avvocature europee è facilitata con la predisposizione di regole da parte delle organizzazioni forensi con il controllo dello Stato. Con la recente riforma forense è avvenuto il contrario. Quasi tutto il potere regolamentare è attribuito al Ministero della Giustizia, con il parere delle Commissioni parlamentari competenti e il parere del CNF. Anzitutto è da segnalare che le modalità per il riconoscimento del titolo di specialista vengono stabilite dal Ministero ed i percorsi formativi vengono organizzati esclusivamente presso le facoltà di giurisprudenza, espropriando così gli ordini e le associazioni di ogni potere.
Ma vi è di più: le Università provvedono a tanto nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. E poiché i fondi notoriamente mancano, le specializzazioni se ne vanno alla malora!
E rimangono, così, solo i titoli degli avvocati docenti universitari di ruolo in materie giuridiche, i quali possono indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni.
Anche in tema di assicurazione per la responsabilità civile ed assicurazione contro gli infortuni vi è l’ingerenza dello Stato laddove si stabilisce che le condizioni essenziali e i massimali minimi delle polizze sono stabiliti ed aggiornati ogni cinque anni dal Ministro della Giustizia.
Che probabilmente sarà favorevole alle Assicurazioni (poteri forti) e non terrà alcun conto dei giovani e della parte debole dell’avvocatura che versa in grave difficoltà per la grave crisi economica e per le liberalizzazioni selvagge.
Con un regolamento emanato dal Ministro della Giustizia, sentito CNF e Commissioni parlamentari, sono altresì disciplinati la tenuta e l’aggiornamento dell’albo, degli elenchi e dei registri, le modalità di trasferimento, i casi di cancellazione e le relative impugnazioni di provvedimenti adottati in materia dei Consigli degli Ordini, dei quali si è esclusa qualsiasi autonomia.
Compete, inoltre, al Ministro della Giustizia di adottare il regolamento che disciplina: a) le modalità che giustificano le modalità di svolgimento del tirocinio e le relative procedure di controllo da parte del competente Consiglio dell’Ordine; b) le ipotesi che giustificano l’interruzione del tirocinio e le relative procedure di accertamento. Ancora. Il Ministro della giustizia, sentito il CNF, disciplina con regolamento: a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione da parte degli ordini e delle associazioni forensi giudicate idonee, in maniera da garantire la libertà ed il pluralismo dell’offerta formativa e della relativa scelta individuale; b) i contenuti formativi dei corsi di formazione in modo da ricomprendervi, in quanto essenziali, l’insegnamento del linguaggio giuridico, la redazione degli atti giudiziari, la tecnica impugnatoria dei provvedimenti giurisdizionali e degli atti amministrativi, la tecnica di redazione del parere stragiudiziale e la tecnica di ricerca; c) la durata minima dei corsi di formazione, prevedendo un carico didattico non inferiore a centosessanta ore per l’intero periodo; d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione da parte del praticante avvocato nonché quelle per le verifiche intermedie e finale del profitto, che sono affidate ad una commissione composta da avvocati, magistrati e docenti universitari, in modo da garantire omogeneità di giudizio su tutto il territorio nazionale.
Ai componenti della commissione non sono riconosciuti compensi, indennità o gettoni di presenza. Anche qui nessuna autonomia dagli Ordini che devono seguire pedissequamente le prescrizioni del Ministero.
 4. I pregi e i difetti della riforma forense.
Qualcuno si è chiesto se valeva la pena di dare il consenso ad una riforma che, in definitiva, non tratta bene l’avvocatura e la sottopone ad una disciplina imposta dallo Stato (Ministero della Giustizia e Commissioni parlamentari) senza porre in essere alcuna innovativa politica legislativa di selezione nell’accesso al tirocinio e all’esame di Stato.
Qualcuno ha ribattuto che qualche risultato positivo c’è: l’eliminazione dei soci di capitale dalle società tra avvocati (se e quando sarà approvato il decreto legislativo del Governo); il ripristino del procedimento di formazione dei parametri (le vecchie tariffe) che impone di sentire il CNF (senza però che vengano reintrodotti i minimi di tariffa).
Per alcuni vi sono altri vantaggi per le istituzioni forensi: il prolungamento a quattro anni del mandato per gli Ordini con una proroga di un altro anno per le nuove elezioni; il prolungamento a quattro anni dal mandato per il CNF con una proroga di quasi due anni per le nuove elezioni. Il tutto con il limite invalicabile di due mandati.
Il tutto con elezioni consiliari che dovranno tener conto della rappresentanza di genere nella percentuale almeno del terzo dei consiglieri eletti.
 Maurizio de Tilla 
(Presidente A.N.A.I.)

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