giovedì, febbraio 18, 2010

La Corte alla resa dei Conti.


Giornata istruttiva, alla Corte dei Conti. Finalmente un’inaugurazione interessante, con un bel discorso contro la magistratura ideologizzata e politicizzata. Scommetto che la gran parte dei commenti si concentreranno sulle “denunce” dei magistrati contabili, mettendo in acritica evidenza le loro cifre (peccato si siano dimenticati di fornire i dati sulla durata dei procedimenti). Trovo interessante, piuttosto, il colorito quadretto che descrive il disfacimento statale.

Prima di venire alla Corte, però, segnalo un passaggio che conferma l’analisi qui fatta, a proposito d’appalti pubblici e procedure che non funzionano. Il procuratore generale, Mario Ristuccia, ha puntato il dito contro le opere pubbliche non completate, e ha spiegato che le cause sono: “carenza di programmazione, eccessiva frammentazione dei centri decisionali, complessità delle procedure di progettazione, dilatazione dei tempi di esecuzione imputabili alle imprese committenti ed alle amministrazioni aggiudicatrici, carenti per inadeguatezze nei controlli tecnici e amministrativi”. Le opere vengono appaltate, insomma, senza averne preventivamente studiato la fattibilità tecnica ed economica. Esattamente quel che avevamo scritto, spiegando per quali motivi s’è allargato il campo d’azione della Protezione Civile, in modo da consentire allo Stato di derogare alle proprie (cattive) regole. Se ne sono accorti anche alla Corte, meglio tardi che mai.

Il guaio è che neanche i controlli della Corte funzionano, anche perché, come spiega dettagliatamente il presidente, Tullio Lazzaro, i magistrati contabili non sono diversi dai magistrati in generale, e taluni di loro perdono più tempo a contrastarsi che a perseguire la criminalità. Certo, visto che alla Corte dei Conti sono in 500, dovrebbe essere più facile individuare ed espellere gli arruffapopolo togati, ma, spiega Lazzaro: “ciò sarebbe del tutto logico se ci si muovesse su direttrici avulse da preconcetti o da posizioni ideologiche ma l’affidarsi solo al raziocinio ed al senso di equilibrio istituzionale che in un tempo lontano era quasi un pre-requisito per l’essere magistrati oggi sembra divenuto merce rara”. Alla Corte, leggetelo bene, raziocinio ed equilibrio istituzionale sono “merce rara”. L’avessi scritto io, m’avrebbero denunciato.

Di mio avevo sostenuto che il processo contabile ha profili d’incostituzionalità, a cominciare dal fatto che all’imputato è negato il diritto di parola: non ha il diritto di difendersi, ma solo quello ad essere difeso. Abominevole. Ora sentire Lazzaro: “occorre provvedere con urgenza alla riforma della procedura per i giudizi davanti alla Corte: attualmente disciplinata da norme del tutto superate e inadeguate e che, per ciò stesso, possono lasciare ampio spazio ad interpretazioni pretorie”, cioè, per esprimersi in termini meno curiali, non legate a regole certe e lasciate alla libera fantasia del giudice. Sottoscrivo. Ma Lazzaro va oltre, plaudendo alla legge 69, del 2009, che ha attribuito alle sezioni riunite della Corte il compito di mettere ordine nell’interpretazione della legge, perché, sostiene, occorreva “evitare macroscopiche oscillazioni giurisprudenziali”. Ovvero, che ciascuno facesse di testa propria. Questa è la realtà, non certo confortante.

E non si ferma qui, perché dopo avere argomentato che le leggi vanno applicate per quel che c’è scritto, e non per quel che ciascuno preferisce leggerci, Lazzaro mette il dito in un occhio alla magistratura militante, ansiosa di costituirsi in contropotere: “né è lecito, finché non intervenga una sentenza della Corte Costituzionale, non applicare una legge o frapporre speciosi ostacoli all’applicazione di essa perché la si ritiene contrastare con principi della Costituzione, ma secondo un proprio e personale giudizio”. E la sua denuncia, pronunciata davanti ad un Presidente della Repubblica, che ora avrebbe il dovere d’investirne il Consiglio Superiore della Magistratura, da lui presieduto, sta a significare che questo è l’andazzo.

Ma la furia del relatore non si placa, fino a sostenere che se le procure della Corte continuano ad andarsi a cercare le cause, chiamando a rispondere di danno erariale funzionari nei cui confronti non pende nessun giudizio, sulla semplice base di un sospetto e, per giunta, senza alcun controllo, neanche quelli blandi che caratterizzano l’azione penale, andrà a finire che, per non correre rischi, i burocrati preferiranno non fare assolutamente nulla, arrecando così un più grave dallo allo Stato. Lo avevamo scritto. Solo che Lazzaro aggiunge: “ciascun magistrato prima di compiere qualsiasi attività deve chiedersi se essa sia non solo conforme alla legge ma se sia effettivamente utile”. E anche questa la sottoscrivo, tanto più che, tradotta in termini penali, significa l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Mentre il presidente della Corte sostiene queste, e altre preziosità, il procuratore generale s’attarda nella critica della produzione legislativa che, invece, per il primo deve essere rispettata e applicata. Non aveva ancora finito di parlare che già i rappresentati dei magistrati contabili parlavano usando toni durissimi contro le leggi, cioè contro l’unica forza cui dovrebbero essere totalmente soggetti. Spettacolo poco edificante, a fronte del quale hai voglia a denunciare che nella pubblica amministrazione non ci sono abbastanza anticorpi per isolare e denunciare la corruzione, perché se questo è il modo di procedere di chi deve esercitare i controlli, stiamo freschi.

Una volta scrissi che la Corte dei Conti, che prima svolge un ruolo di consulenza, poi di sorveglianza e, infine, giudica quegli stessi atti che ha concorso a determinare, andrebbe chiusa. Se la presero molto, e ancora citano quel rude giudizio. Che era moderato, direi moscio, rispetto alle parole di chi la presiede.

Davide Giacalone

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