sabato, settembre 13, 2008

Pecorella: “Se la riforma della giustizia non si fa ora, non si farà mai più”.


“Se la giustizia non riesce a riformarla l’esecutivo in carica, con questa maggioranza, con questi numeri, con l’opposizione in buona parte d’accordo, vorrà dire che non c’è più speranza che ci riesca nessuno e tanto varrà privatizzare il ministero di Grazia e Giustizia e tentare di venderlo all’estero un po’ come si è provato di fare con Alitalia”.
Alla fine di una lunga intervista con “L’Opinione” al deputato Gaetano Pecorella (uno dei consiglieri giuridici di Berlusconi più autorevoli e stimati dal premier, che recentemente, il 4 agosto scorso, ha presentato la proposta di legge costituzionale numero 1598 per riformare la giustizia in maniera radicale) la battuta sarcastica scappa.
“Repubblica” ha paura di un’altra separazione, oltre a quella delle carriere dei magistrati, e cioè quella dei poteri di indagine dal pm. E’ razionale questo allarme istituzionale lanciato da Giuseppe D’Avanzo?
Non tanto. Il pubblico ministero non può soffocare sotto le notizie di reato. In Francia e in Inghilterra al pm la polizia giudiziaria fa arrivare la notizia di reato cosiddetta “vestita”. Se arriva una telefonata e dice “hanno ammazzato il signor Bianchi”, nei paesi civili la polizia la notizia la trasmette al pm quanto meno non prima di avere accertato se il signor Bianchi sia o meno in vita. In Italia teoricamente la notizia deve arrivare subito.
Quindi?
Non si tocca alcuna prerogativa del pm e della polizia giudiziaria. Oggi la polizia giudiziaria lavora solo su delega del pm e spesso perde un sacco di tempo per le indagini mentre il magistrato si trova ad affogare tra le carte. Credo che la riforma sia utile e di certo non significhi che il pm perda il controllo della polizia giudiziaria. Diventa il garante delle indagini e non il capo della polizia giudiziaria come di fatto avviene oggi.
E non è vero che questa riforma equivarrebbe a mettere il pm sotto l’esecutivo visto che la polizia giudiziaria dipende dal ministero degli interni e di fatto dal ministro pro tempore?
Questo teorema dimostra di essere sciocco e senza informazioni: la polizia giudiziaria non risponde al Viminale se non dal lato gerarchico e amministrativo, le indagini continua a coordinarle il magistrato come ovunque nel mondo. Anche oggi allora si potrebbe argomentare lo stesso sillogismo perché anche oggi la polizia dipende dal ministero, ma non mi risulta che il capo della polizia dica ai singoli agenti “no, tu questa indagine non la fai”. E’ una cosa che non sta in piedi né in cielo né in terra.
Si è ipotizzato un patto tra l’avvocato Nicolò Ghedini e l’ex magistrato Luciano Violante perché quest’ultimo vada alla Corte Costituzionale in cambio del via libera alle riforme sulla giustizia da parte del Pd. Esiste questo accordo tra Forza Italia e il Partito democratico?
Come è noto la nomina del giudice in questione spetta al Capo dello stato e il solo ipotizzare che il Quirinale si presti a questo genere di scambi è insultante di per sé. Il posto oggi libero è di assegnazione del centro destra, visto che Romano Vaccarella lo avevamo eletto noi. Pensare che Ghedini possa influenzare Napolitano è pura fantascienza. Violante poi non ha bisogno di fare patti né può farli perché la cosa non dipende da lui.
L’Unione delle camere penali italiane dice che le riforme di cui si sta discutendo sinora sono acqua fresca. Che non si parla più dei temi veri come la separazione delle carriere dei magistrati, della responsabilità civile dei giudici non in capo allo Stato ma sul singolo magistrato e dei criteri della determinazione dell’obbligatorietà dell’azione penale che di fatto oramai sarebbe solo un totem. Lei che dice in proposito?
Le mie proposte costituzionali parlano chiaro. Io condivido in pieno le priorità delle Camere penali. Se c’è un obbligo dell’azione penale non possono essere i pm a decidere le priorità, ma caso mai il governo e il Parlamento. Se invece cade il feticcio allora questa obbligatorietà bisogna eliminarla partendo dalla Costituzione. Per quanto riguarda la responsabilità civile dei giudici, forse basterebbe anche la legge in vigore che è applicata molto male. Ma quella responsabilità civile non può essere valutata solo da altri magistrati perché esiste il rischio concreto che la difesa corporativa ci sia. Eccome. E anche qui occorrerebbe una modifica costituzionale con un tribunale speciale per la disciplinare dei magistrati. Infine la separazione delle carriere: con me le camere penali sfondano una porta aperta e non a caso io ne ero un esponente di primo piano. Se non partiamo dalla Costituzione però, non se ne viene a capo: gli aggiustamenti fatti con la legge ordinaria vengono facilmente riassorbiti dalle prassi di comodo.
Senta professor Pecorella, guardiamoci nelle palle degli occhi anche se siamo al telefono: che possibilità c’è che questa sia la volta buona che si fa la riforma della giustizia in Italia?
Potrei dirle che se non ci si riesce in questa legislatura, con un governo che gode di questa maggioranza in Parlamento e di un siffatto favore elettorale, con metà dell’opposizione che non spera altro che di liberarsi dai ricatti giudiziari di Di Pietro e di alcuni magistrati, tanto varrebbe cercare all’estero qualcuno capace di gestire via Arenula. Un po’ come si è cercato di fare con l’Alitalia. Certo per fare le riforme occorre anche l’immunità di chi ci lavora sennò finisce che un qualche pm ripete lo scherzo già fatto a Mastella e a sua moglie.
E se alla fine la riforma della giustizia dovesse di nuovo abortire?
Per l’Italia sarebbe la fine. Il nostro paese è sprofondato in questa crisi politico economica proprio perché negli ultimi 15 anni la politica dei veti incrociati sulle riforme, in primis la giustizia, insieme alle inchieste a orologeria che non hanno risparmiato nessun premier e nessuna maggioranza, hanno trascinato l’Italia agli ultimi posti di affidabilità del sistema giudiziario. E io penso anche al nodo della giustizia civile: un paese in cui i creditori non riescano quasi mai a esigere e poi a incassare i propri crediti è un paese che allontana gli investimenti stranieri e fa delocalizzare quelli interni. Io non credo che ci si possa permettere tutto ciò all’infinito.
Dimitri Buffa
Articolo tratto da: L'Opinione

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