venerdì, settembre 19, 2008
L'avvocato che subisce il furto dei soldi del cliente deve risarcirgli il danno.
E' quanto confermato dalla seconda sezione civile della Cassazione nella sentenza n. 22658 del 9 settembre 2008.
Il fatto: Avendo avuto mandato di gestire una controversia in ambito ereditario, a seguito di accordi raggiunti, un legale riscuoteva, per conto di suoi clienti, le somme esistenti presso due istituti di credito (convertendone una parte in assegno circolare e lasciando l'altra in contanti) e si avviava a studio.
Lungo il tragitto tra la banca e lo studio l'avvocato subiva il furto della borsa contenente le somme suddette.
Ritenendo che il professionista non avesse usato la necessaria diligenza nella custodia del denaro, i clienti lo citavano in giudizio chiedendo che venisse condannato al rimborso della somme dei contanti rubati più rivalutazione ed interessi.
Il Tribunale accoglieva la domanda degli attori condannando il convenuto alla corresponsione delle somme richieste.
Il Tribunale rilevava nel contratto a causa mista intercorso tra il legale e gli attori (prestazione d'opera intellettuale e deposito) la violazione da parte dell'avvocato di custodire la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia ed escludeve la ricorrenza del fatto fortuito trattandosi di furto non accompagnato da violenza o minaccia alle persone.
Inoltre negava la gratuità del deposito visto il collegamento con la prestazione d'opera intellettuale.
Avverso la sentenza del Tribunale, il legale ricorreva in Appello e veniva assolto dalle domande proposte contro di lui.
Contro la sentenza di Appello proponevano ricorso in Cassazione i clienti attori. La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso e rinviava la causa per la decisione ad altra sezione della Corte di Appello, ritenendo:
- che la quanlificazione giuridica del rapporto, data dal giudice d'appello, rimanesse incerta, nonostante la sua essenzialità ai fini della decisione;
- quanto alla presunta gratuità del deposito, che la Corte d'Appello l'avesse fatta derivare esclusivamente dalla ritenuta mancanza di prova che la custodia fosse ricompresa nelle prestazioni professionali;
- che la motivazione era contraddittoria per quanto riguarda la diligenza del buon padre di famiglia riconosciuta nella condotta del legale, omettendo, peraltro di considerare che il depositario, anche in ipotesi di deposito gratuito, deve provare l'imprevedibilità ed inevitabilità della perdita della cosa, mentre tali elementi non erano stati valutati nella sentenza impugnata;
- che il giudice di Appello non aveva valutato che anche il deposito di cortesia è soggetto ai principi della responsabilità ex recepto e non aveva motivato sul punto.
Riassunta la causa, la Corte di Appello, sulla base dei principi affermati dalla Suprema Corte, riaffermava la responsabilità dell'avvocato il quale, pertanto, ricorreva in Cassazione.
La Suprema Corte, con la sentenza in oggetto, non accoglieva il ricorso, confermava la sentenza del giudice di merito e condannava il legale al risarcimento del danno, considerando, tra l'altro, il deposito della somma e il mandato professionale come negozi giuridici distinti ma strettamente collegati e il compenso relativo al primo, come compenso ulteriore, anche se non inquadrabile tra le voci della tariffa professionale (o con la possibilità, avanzata dalla Corte di merito, di farlo rientrare nella voce "attività di assistenza stragiudiziale nella risoluzione di controversie ereditarie").
Circa la gratuità del deposito la Suprema Corte ribadiva l'implicito rilievo che il professionista eseguiva il deposito per compiacere e appagare i suoi clienti e quindi in vista di una sua convenienza ed utilità e non per mera liberalità.
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