Cass. Civile Sez. VI Ord. Num. 8436/2019 - Presidente: D'ASCOLA - Relatore: TEDESCO - Data pubblicazione: 26/03/2019.
“In caso d’omessa pronuncia sull'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un'espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., e non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma. La procedura di correzione, oltre ad essere in linea con il disposto dell'art. 93, secondo comma, c.p.c. - che ad essa si richiama per il caso in cui la parte dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per onorari e spese - consente il migliore rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, garantisce con maggiore rapidità lo scopo del difensore distrattario di ottenere un titolo esecutivo ed è un rimedio applicabile, ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., anche nei confronti delle pronunce della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 16037/2010; n. 12437/2017). I rilievi proposti nel controricorso sono irrilevanti.
In tema di spese giudiziali, il difensore munito di procura, il quale chieda la distrazione, a proprio favore, delle spese di giudizio e degli onorari, dichiarando di avere anticipato le prime e di non aver ricevuto i secondi, agisce per un diritto proprio e autonomo, con la conseguenza che il credito sorge direttamente a favore del difensore nei confronti del soccombente e che per disporre la distrazione è sufficiente la sua dichiarazione, senza alcun margine di sindacato sulla rispondenza al vero della stessa (Cass. n. 21070/2009; n. 6184/2010).
Posto che il credito sorge direttamente a favore del difensore (conseguentemente abilitato in proprio a proporre la relativa istanza nei confronti del soccombente se nel corso del giudizio ne aveva formulato specifica richiesta: Cass. n. 3566/2016), non si configura una ipotesi di cessione di credito, da parte del cliente, al proprio difensore, il che esclude a sua volta la possibilità che al medesimo sia opposta in compensazione dal soccombente il credito vantato verso la parte vittoriosa (Cass. n. 3037/1972; n. 2870/1984)”.
mercoledì, marzo 27, 2019
giovedì, marzo 14, 2019
Deontologia forense: il principio di presunzione di non colpevolezza (“in dubio pro reo”) vale anche in sede disciplinare.
“Il procedimento disciplinare è di natura accusatoria, sicché va accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta, per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prova su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell’incolpato, che pertanto va prosciolto dall’addebito, in quanto per l’irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all’incolpato l’onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale di verificare in modo approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico”.
Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Baffa), sentenza del 16 ottobre 2018, n. 125.
Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Baffa), sentenza del 16 ottobre 2018, n. 125.
domenica, febbraio 24, 2019
Deontologia forense: decorso prescrizione nel caso d’appropriazione somme.
Cass. Civile Sez. Unite - Sent. Num. 5200/2019 - Presidente:
SCHIRO' - Relatore: GIUSTI - Data pubblicazione: 21/02/2019.
“Ai sensi dell'art. 51 del regio decreto-legge n. 1578 del
1933, l'azione disciplinare nei confronti dell'avvocato si prescrive nel termine
di cinque anni, che decorrono dal giorno di realizzazione dell'illecito,
ovvero, se questo consista in una condotta protratta, definibile in termini
penalistici permanente o continuata, dalla data di cessazione della condotta
stessa (Cass., Sez. U., 1° ottobre 2003, n. 14620; Cass., Sez. U., 26 novembre
2008, n. 28159; Cass., Sez. U., 2 febbraio 2015, n. 1822).
Contrariamente all'assunto del ricorrente, la norma
deontologica contestata all'incolpato non può essere interpretata nel senso
della irrilevanza del successivo indebito trattenimento del denaro incassato. La condotta del professionista, nel caso in esame, presenta i connotati tipici
della continuità della violazione deontologica, per tale sua natura destinata a
protrarsi fino alla restituzione delle somme che il medesimo avrebbe dovuto
mettere a disposizione del cliente (cfr. Cass., Sez. U., 30 giugno 2016, n.
13379).
Invero, la condotta appropriativa posta in essere
dall'avvocato non si è esaurita nell'incasso dell'assegno destinato al proprio
cliente, ma si è accompagnata ad una mancata messa a disposizione delle somme
riscosse, realizzata attraverso l'omessa informazione circa la definizione del
processo civile in esito del quale l'assegno era stato emesso dalla controparte
soccombente in quel giudizio.
Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha escluso il
carattere istantaneo della condotta addebitata al professionista e rigettato
l'eccezione di prescrizione.
Infatti, l'avvocato il quale s’appropri dell'importo
dell'assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte
soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell'esito
del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua
pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della
violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione
del cliente delle somme di sua spettanza, sicché, ove tale comportamento
persista fino alla decisione del Consiglio dell'ordine, non decorre la
prescrizione di cui all'art. 51 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933”.
sabato, febbraio 16, 2019
La sospensione del processo per pregiudiziale ex art. 295 cpc.
Cass. Civile Sez. Lavoro - Sent. Num. 3910/2019 - Presidente: NAPOLETANO - Relatore: DI PAOLANTONIO - Data pubblicazione: 11/02/2019.
“L'art. 295 cod. proc. civ., nel prevedere la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione dipenda dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità tecnico-giuridica fra due emanande statuizioni e non ad un mero collegamento logico.
Affinché una questione possa essere ritenuta pregiudiziale in senso tecnico è necessario dunque «non solo che sia investito un punto costituente un antecedente logico indispensabile di fatto o di diritto, rispetto alla decisione principale e del quale il giudice non può conoscere incidenter tantum e neppure giudicare sul merito essendone imposto dalla legge l’accertamento con efficacia di giudicato, ma anche che tale punto assuma rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre che sul rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione, appunto, della cosa giudicata, a tutela di un interesse che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata.» (Cass. 2.8.2007 n. 16995).
Pertanto non è sufficiente che nei due giudizi venga in rilievo la medesima questione giuridica, poiché in tal caso il giudice, essendo investito della questione stessa, ha il potere di decidere, a meno che non ricorra, con l'altra controversia, un'ipotesi di riunione, di litispendenza o di continenza (Cass. 19.6.2004 n. 11463; Cass. 8.9.2006 n. 19291)”.
venerdì, febbraio 15, 2019
La risalente collocazione temporale delle condotte, affievolisce le esigenze cautelari.
Corte Cassazione Penale Sez. VI - Sent. Num. 7148/2019 Presidente: PAOLONI - Relatore: DE AMICIS - Data Udienza: 31/01/2019.
“Il Tribunale del riesame dovrà prendere in esame i rilievi attinenti alla collocazione temporale delle vicende storico-fattuali oggetto dei temi d'accusa enucleati nel provvedimento applicativo della misura cautelare in essere e alla loro correlazione o meno alla fase temporale in cui si è verificato il recesso dall'ipotizzato sodalizio: l'ultimo degli episodi di cessione di sostanze stupefacenti oggetto di contestazione risale, infatti, al 2 dicembre 2013.
E' pacifica, al riguardo, l'affermazione del principio secondo cui la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l'attualità e l'intensità dell'esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura, con il logico corollario che ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. Unite n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi)”.
“Il Tribunale del riesame dovrà prendere in esame i rilievi attinenti alla collocazione temporale delle vicende storico-fattuali oggetto dei temi d'accusa enucleati nel provvedimento applicativo della misura cautelare in essere e alla loro correlazione o meno alla fase temporale in cui si è verificato il recesso dall'ipotizzato sodalizio: l'ultimo degli episodi di cessione di sostanze stupefacenti oggetto di contestazione risale, infatti, al 2 dicembre 2013.
E' pacifica, al riguardo, l'affermazione del principio secondo cui la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l'attualità e l'intensità dell'esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura, con il logico corollario che ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. Unite n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi)”.
mercoledì, febbraio 13, 2019
La debenza della provvigione nel caso di "mediazione occulta".
"Secondo l'univoca giurisprudenza di questa Corte
(cfr., ad es., Cass. n. 6004/2007 e Cass. n. 12390/2011) il rapporto di
mediazione non può configurarsi - e non sorge quindi il diritto alla
provvigione - qualora le parti, pur avendo concluso l'affare grazie
all'attività del mediatore, non siano state messe in grado di conoscere (ed
abbiano pertanto potuto ignorare incolpevolmente) l'opera di intermediazione
svolta dal predetto, e non siano perciò messe in condizione di valutare
l'opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione e di soggiacere ai
conseguenti oneri.
Ciò si verifica nel caso in cui il mediatore abbia, con il suo comportamento, potuto ingenerare nelle parti una falsa rappresentazione della qualità attraverso la quale egli si è ingerito nelle trattative che hanno condotto alla conclusione dell'affare, con la precisazione che la prova della menzionata conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697 c.c., al mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (onere che, nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto non assolto dall'odierna ricorrente).
In altri termini (v. anche Cass. n. 11521/2008), affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è necessario che l'attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, e cioè rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e la propria terzietà.
Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come mandatario di una delle parti (cosiddetta "mediazione occulta") egli non ha diritto alla provvigione e l'accertamento della relativa circostanza è demandato al giudice di merito che è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato".
Ciò si verifica nel caso in cui il mediatore abbia, con il suo comportamento, potuto ingenerare nelle parti una falsa rappresentazione della qualità attraverso la quale egli si è ingerito nelle trattative che hanno condotto alla conclusione dell'affare, con la precisazione che la prova della menzionata conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697 c.c., al mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (onere che, nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto non assolto dall'odierna ricorrente).
In altri termini (v. anche Cass. n. 11521/2008), affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è necessario che l'attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, e cioè rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e la propria terzietà.
Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come mandatario di una delle parti (cosiddetta "mediazione occulta") egli non ha diritto alla provvigione e l'accertamento della relativa circostanza è demandato al giudice di merito che è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato".
Cass. Civile Sez. II - Ord.
num. 4107/2019 - Presidente: LOMBARDO - Relatore: CARRATO - Data
pubblicazione: 12/02/2019.
martedì, gennaio 29, 2019
Appello civile e caratteri della cd “acquiescenza” (art. 329 cpc).
Cass. Civile Sez. V - Ord. Num. 1950/2019 Presidente: BRUSCHETTA -Relatore: SUCCIO - Data pubblicazione: 24/01/2019.
“La formazione della cosa giudicata per mancata impugnazione - su un determinato capo della sentenza investita dal gravame - può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di impugnazione, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non può verificarsi sulle affermazioni contenute nella sentenza che costituiscano ad esempio mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest'ultima sia oggetto del gravame (vedi, tra le tante, Cass. n. 85 del 2015, e Cass. 4363 del 2009), o sua connessa conseguenza logico-giuridica.
Ne deriva che l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata, si verifica solo quando le parti della sentenza siano del tutto autonome l'una rispetto all'altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso conseguenziale con l'altra e trovi in essa il suo presupposto, perché in tal caso gli effetti dell'accoglimento dell'impugnazione si estendono ai capi dipendenti o che ne costituiscano un conseguenziale sviluppo, pur se non espressamente e direttamente investiti dall'impugnazione e dalla pronuncia (Cass. n. 6494 del 1988, n. 438 del 1996, n. 2747 del 1998, n. 2062 del 2001, n. 9141 del 2007, n. 85 del 2015)”. ;
“La formazione della cosa giudicata per mancata impugnazione - su un determinato capo della sentenza investita dal gravame - può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di impugnazione, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non può verificarsi sulle affermazioni contenute nella sentenza che costituiscano ad esempio mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest'ultima sia oggetto del gravame (vedi, tra le tante, Cass. n. 85 del 2015, e Cass. 4363 del 2009), o sua connessa conseguenza logico-giuridica.
Ne deriva che l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata, si verifica solo quando le parti della sentenza siano del tutto autonome l'una rispetto all'altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso conseguenziale con l'altra e trovi in essa il suo presupposto, perché in tal caso gli effetti dell'accoglimento dell'impugnazione si estendono ai capi dipendenti o che ne costituiscano un conseguenziale sviluppo, pur se non espressamente e direttamente investiti dall'impugnazione e dalla pronuncia (Cass. n. 6494 del 1988, n. 438 del 1996, n. 2747 del 1998, n. 2062 del 2001, n. 9141 del 2007, n. 85 del 2015)”. ;
martedì, gennaio 22, 2019
L’indennizzo per irragionevole durata del processo va negato in caso di lite temeraria.
Corte di Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 1528/2019 Presidente: D'ASCOLA - Relatore: SCARPA - Data pubblicazione: 21/01/2019.
“Secondo consolidato orientamento di questa Corte, l'indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il carattere non tassativo dell'elenco di cui all'art. 2, comma 2 quinquies, della I. n. 89 del 2001, può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza di un condanna, all'esito dello stesso, per responsabilità aggravata, potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla I. n. 208 del 2015 (e perciò senza che abbia rilievo la censura inerente all'irretroattività del testo introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera c, della legge n. 208/2015) autonomamente valutare tale temerarietà, come evincibile Ric. 2018 n. 17153 sez. M2 - ud. 06-12-2018 dalla lett. f) dello stesso art. 2, comma 2 quinquies cit.; che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali. Tale valutazione, che il giudice deve compiere anche d'ufficio, in quanto relativa ad un requisito negativo dell'esistenza del diritto, non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell'art. 360, n. 5, c.p.c., né è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell'art. 115 c.p.c. (che può essere dedotta solo denunciando che il giudice ha deciso sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre) (cfr. Cass. Sez. 2 , 13/10/2017, n. 24190; Cass. Sez. 6 - 2, 05/05/2016, n. 9100)”.
“Secondo consolidato orientamento di questa Corte, l'indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il carattere non tassativo dell'elenco di cui all'art. 2, comma 2 quinquies, della I. n. 89 del 2001, può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza di un condanna, all'esito dello stesso, per responsabilità aggravata, potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla I. n. 208 del 2015 (e perciò senza che abbia rilievo la censura inerente all'irretroattività del testo introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera c, della legge n. 208/2015) autonomamente valutare tale temerarietà, come evincibile Ric. 2018 n. 17153 sez. M2 - ud. 06-12-2018 dalla lett. f) dello stesso art. 2, comma 2 quinquies cit.; che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali. Tale valutazione, che il giudice deve compiere anche d'ufficio, in quanto relativa ad un requisito negativo dell'esistenza del diritto, non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell'art. 360, n. 5, c.p.c., né è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell'art. 115 c.p.c. (che può essere dedotta solo denunciando che il giudice ha deciso sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre) (cfr. Cass. Sez. 2 , 13/10/2017, n. 24190; Cass. Sez. 6 - 2, 05/05/2016, n. 9100)”.
mercoledì, gennaio 16, 2019
Condominio: poteri dell’Amministratore per la nomina dei difensori.
“E' da respingere l'eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dai controricorrenti per carenza di poteri dell'amministratore allorquando sottoscrisse la procura al giudizio di legittimità, non avendogli conferito mandato l'assemblea.
L'art. 1131, comma 2, c.c. afferma che l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio.
Nel ricostruire la portata di questa disposizione, Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451, richiamandosi a Cass. sez. un. 6 agosto 2010, n. 18331, circa la regola della necessità dell'autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell'amministratore, ha precisato come tale autorizzazione o ratifica occorra soltanto per le cause che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1131, commi 2 e 3, c.c., sicché essa non necessita, sussistendo al riguardo autonoma ed incondizionata legittimazione dell'amministratore, per i giudizi che abbiano ad oggetto l'esecuzione di una deliberazione assembleare o, come nel caso in esame, la resistenza all'impugnazione di una delibera proposta da un condomino (vedi anche Cass., 25 ottobre 2010, n. 21841).
Ciò significa che per questo giudizio non occorre che l'amministratore si munisca d’autorizzazione dell'assemblea per resistere nella lite, né che l'assemblea dia mandato all'amministratore per conferire la procura "ad litem" al difensore, che, quindi, lo stesso amministratore ha il potere di nominare.
L'amministratore di un condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che non esorbitano dalle sue attribuzioni, agli effetti dell'art. 1131, comma 2 e 3 c.c. (quale, nella specie, la resistenza all'impugnazione di una delibera proposta da un condomino), non ha bisogno dell'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, sicché un'eventuale delibera sul punto avrebbe il significato di mero assenso alla scelta già validamente effettuata dall'amministratore (cfr. Cass. 25 maggio 2016, n. 10865; Cass. 3 dicembre 1999, n. 13504; Cass. 26 novembre 2004, n. 22294)”.
Corte di Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 853/2019 Presidente: D'ASCOLA - Relatore: SCARPA - Data pubblicazione: 15/01/2019.
L'art. 1131, comma 2, c.c. afferma che l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio.
Nel ricostruire la portata di questa disposizione, Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451, richiamandosi a Cass. sez. un. 6 agosto 2010, n. 18331, circa la regola della necessità dell'autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell'amministratore, ha precisato come tale autorizzazione o ratifica occorra soltanto per le cause che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1131, commi 2 e 3, c.c., sicché essa non necessita, sussistendo al riguardo autonoma ed incondizionata legittimazione dell'amministratore, per i giudizi che abbiano ad oggetto l'esecuzione di una deliberazione assembleare o, come nel caso in esame, la resistenza all'impugnazione di una delibera proposta da un condomino (vedi anche Cass., 25 ottobre 2010, n. 21841).
Ciò significa che per questo giudizio non occorre che l'amministratore si munisca d’autorizzazione dell'assemblea per resistere nella lite, né che l'assemblea dia mandato all'amministratore per conferire la procura "ad litem" al difensore, che, quindi, lo stesso amministratore ha il potere di nominare.
L'amministratore di un condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che non esorbitano dalle sue attribuzioni, agli effetti dell'art. 1131, comma 2 e 3 c.c. (quale, nella specie, la resistenza all'impugnazione di una delibera proposta da un condomino), non ha bisogno dell'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, sicché un'eventuale delibera sul punto avrebbe il significato di mero assenso alla scelta già validamente effettuata dall'amministratore (cfr. Cass. 25 maggio 2016, n. 10865; Cass. 3 dicembre 1999, n. 13504; Cass. 26 novembre 2004, n. 22294)”.
Corte di Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 853/2019 Presidente: D'ASCOLA - Relatore: SCARPA - Data pubblicazione: 15/01/2019.
lunedì, gennaio 07, 2019
venerdì, gennaio 04, 2019
Elezioni forensi, interpretazioni, ricorsi.......
E così abbiamo avviato una nuova stagione di ricorsi, di interpretazioni, di distinguo.
La domanda è: cosa volete? Perchè questo accanimento? Volete avere ragione? Allora si, avete ragione voi, prendetevi i COA, le sedie, gli strapuntini, i divani, i tavoli nei corridoi dei Tribunali.
Volevo dire questo: ho perso una causa in Cassazione. Non improcedibile, cassata con rinvio.
Adesso chiamo l'assistito e gli dico che ci facciamo fare un bel parere pro veritate, e disattendiamo la sentenza, che tra l'altro è pure scritta male.
Ma si, avete ragione voi. Fate i ricorsi, fate finta di non avere capito, fate.
Però, per favore, spiegatemi quali sono le parti della legge professionale che si possono interpretare, stirare, disattendere, allungare, ignorare, e quali sono le parti che devono essere rigorosamente applicate.
Alessandro Cassiani, Livia Rossi, Antonio Conte: grazie.
La domanda è: cosa volete? Perchè questo accanimento? Volete avere ragione? Allora si, avete ragione voi, prendetevi i COA, le sedie, gli strapuntini, i divani, i tavoli nei corridoi dei Tribunali.
Volevo dire questo: ho perso una causa in Cassazione. Non improcedibile, cassata con rinvio.
Adesso chiamo l'assistito e gli dico che ci facciamo fare un bel parere pro veritate, e disattendiamo la sentenza, che tra l'altro è pure scritta male.
Ma si, avete ragione voi. Fate i ricorsi, fate finta di non avere capito, fate.
Però, per favore, spiegatemi quali sono le parti della legge professionale che si possono interpretare, stirare, disattendere, allungare, ignorare, e quali sono le parti che devono essere rigorosamente applicate.
Alessandro Cassiani, Livia Rossi, Antonio Conte: grazie.
Giuseppe Caravita di Toritto
Avvocato del libero foro di Roma
(e quando dico libero, so cosa sto dicendo)
giovedì, dicembre 27, 2018
La motivazione della sentenza di patteggiamento.
Corte Cassazione Penale Sez. 7 - Ord. Num. 58214/2018 - Presidente: PICCIALLI - Relatore: MONTAGNI - Data Udienza: 12/12/2018.
“Questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio di diritto in base al quale l'obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l'esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l'imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile. D'altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa. Ne consegue, come questa Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l'imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato”.
“Questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio di diritto in base al quale l'obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l'esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l'imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile. D'altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa. Ne consegue, come questa Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l'imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato”.
sabato, dicembre 22, 2018
venerdì, dicembre 21, 2018
mercoledì, dicembre 19, 2018
Elezioni COA del Foro di XXXXX.
All'esito del quarto ricorso sull’eleggibilità del candidato Caio, si sono svolte le elezioni per il rinnovo del locale Consiglio dell'Ordine degli Avvocati.
In corsa 23 liste: "Rinnovamento per una Avvocatura Onesta", "Onestamente per una Avvocatura Rinnovata", "Avvocati per il Futuro", "Un Futuro per gli Avvocati", e così via.
I 742 candidati hanno affollato i corridoi dei locali dove si svolgevano le elezioni, accompagnati dai loro supporters.
All'esito dello spoglio e della pubblicazione dei risultati, sono stati annunciati ricorsi al TAR, al CORECOM, al CNF, alla CEDU e al Santo Padre.
Sono state messe sul tavolo, in ogni caso, cinque diverse ipotesi di combinazioni post elettorali, ed è cominciato il lavoro degli sherpa per far confluire i voti del rinnovato Consiglio su questo o quel candidato Presidente.
Al momento, per il delicato incarico, risultano essere state avanzate 6 candidature, e proposti altrettanti nominativi da parte di minoranze in fluttuante via di aggregazione.
Il Consiglio uscente, attesa la ingovernabilità della situazione, ha occupato per protesta la Sala Consiliare.
E intanto il tempo se ne va...
In corsa 23 liste: "Rinnovamento per una Avvocatura Onesta", "Onestamente per una Avvocatura Rinnovata", "Avvocati per il Futuro", "Un Futuro per gli Avvocati", e così via.
I 742 candidati hanno affollato i corridoi dei locali dove si svolgevano le elezioni, accompagnati dai loro supporters.
All'esito dello spoglio e della pubblicazione dei risultati, sono stati annunciati ricorsi al TAR, al CORECOM, al CNF, alla CEDU e al Santo Padre.
Sono state messe sul tavolo, in ogni caso, cinque diverse ipotesi di combinazioni post elettorali, ed è cominciato il lavoro degli sherpa per far confluire i voti del rinnovato Consiglio su questo o quel candidato Presidente.
Al momento, per il delicato incarico, risultano essere state avanzate 6 candidature, e proposti altrettanti nominativi da parte di minoranze in fluttuante via di aggregazione.
Il Consiglio uscente, attesa la ingovernabilità della situazione, ha occupato per protesta la Sala Consiliare.
E intanto il tempo se ne va...
Avv. Giuseppe Caravita di Toritto
(uno dei duecentocinquantamila)
sabato, dicembre 08, 2018
La nullità della procura speciale rilasciata ex art. 365 cpc.
Cassazione Civile Sez. III - Sent. num. 24158/2018 – Presidente/Relatore: OLIVIERI STEFANO - Data pubblicazione: 04/10/2018.
“L’eccezione d’inammissibilità del ricorso - per nullità della procura speciale rilasciata al sensi dell'art. 365 c.p.c., senza riferimento al giudizio di legittimità, né alla sentenza impugnata - è infondata alla stregua dei principi di diritto enunciati da questa Corte secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione ed in applicazione del principio generale di conservazione degli atti, la procura rilasciata a margine del ricorso, ancorché con l'impiego di espressioni di significato non univoco o generali e pur in mancanza di uno specifico riferimento al giudizio di legittimità od alla sentenza impugnata, fa presumere che il mandato "ad litem" sia stato conferito al fine di proporre il ricorso per cassazione avverso la sentenza menzionata nel ricorso stesso, potendo essere superata la presunzione semplice soltanto allorché il mandato si caratterizzi per la presenza di espressioni che univocamente e con certezza conducano ad escludere che la parte abbia inteso rilasciare procura per proporre il ricorso per cassazione (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 15607 del 07/07/2006; id. Cass. Civ Sez. 1, Sent. n. 29785 del 19/12/2008), ipotesi quest'ultima che non si palesa nel caso di specie”.
“L’eccezione d’inammissibilità del ricorso - per nullità della procura speciale rilasciata al sensi dell'art. 365 c.p.c., senza riferimento al giudizio di legittimità, né alla sentenza impugnata - è infondata alla stregua dei principi di diritto enunciati da questa Corte secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione ed in applicazione del principio generale di conservazione degli atti, la procura rilasciata a margine del ricorso, ancorché con l'impiego di espressioni di significato non univoco o generali e pur in mancanza di uno specifico riferimento al giudizio di legittimità od alla sentenza impugnata, fa presumere che il mandato "ad litem" sia stato conferito al fine di proporre il ricorso per cassazione avverso la sentenza menzionata nel ricorso stesso, potendo essere superata la presunzione semplice soltanto allorché il mandato si caratterizzi per la presenza di espressioni che univocamente e con certezza conducano ad escludere che la parte abbia inteso rilasciare procura per proporre il ricorso per cassazione (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 15607 del 07/07/2006; id. Cass. Civ Sez. 1, Sent. n. 29785 del 19/12/2008), ipotesi quest'ultima che non si palesa nel caso di specie”.
sabato, dicembre 01, 2018
ARRIVANO LE ELEZIONI FORENSI: SERVE ARIA NUOVA!
Nelle prossime settimane, dopo la riforma della legge 113 del 2017, si arriva per la prima volta ad eleggere i Consigli dell'Ordine degli Avvocati, con una regola chiara sulla tutela della minoranza.
Senza dubbio, con la nuova disciplina, sono state anche confermate le garanzie di rinnovamento già previste nella legge professionale forense.
Purtroppo, pare che non tutti siano pronti al turn-over delle nostre rappresentanze. In diversi Consigli dell’Ordine degli Avvocati - di molta parte della penisola - è conosciuta l'intenzione delle leadership uscenti di consentire la rielezione degli avvocati che abbiano svolto qualsiasi numero di mandati in precedenza, senza dare un limite a chi già da molti anni esercita un ruolo di rappresentanza e di potere nell’ambito delle istituzioni politico forensi.
Risulta, infatti, diffusa la convinzione di non dover computare i mandati da consigliere fino ad oggi svolti, ai fini del divieto di superamento del doppio mandato In realtà le nuove norme, ovvero i commi 3 e 4 dell’art. 3 della Legge Falanga, consentono un'applicazione immediata del divieto del cumulo di mandati superiori al secondo, cosi comportando ex nunc l'ineleggibilità dei Consiglieri che avessero già svolto due mandati.
Le norme citate infatti dispongono: “Sono eleggibili gli iscritti che hanno diritto di voto, che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento. Fermo restando quanto previsto al comma 4, i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi. La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato. Dei mandati di durata inferiore ai due anni non si tiene conto ai fini del rispetto del divieto di cui al secondo periodo del comma 3." Peraltro, in argomento analogo, anche la Corte di Cassazione (sent. n. 2001/2008) si è pronunciata affermando che chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica non può essere immediatamente rieletto per un terzo mandato, precisando che la norma si applica senza distinzione di mandati, sia anteriormente che successivamente all’entrata in vigore della legge, mancando ogni elemento dal quale possa desumersi che il legislatore abbia disposto l’applicabilità della norma solo per il futuro.
Riteniamo quindi che sia necessario dare assicurazione all'attuazione della disciplina di legge seguendo lo spirito del legislatore e restando in coerenza all’interpretazione di legittimità. Riteniamo che le necessità di rinnovamento delle rappresentanze forensi non possono essere soffocate dalle ambizioni feudali di gruppi di potere che vogliono solo conservare le proprie rendite di posizione.
Riteniamo altresì che una riforma elettorale attuata per metà, nascondendone la parte restante, sia solo la dichiarazione di fallimento di una classe dirigente che non sa migliorarsi anche accettando le sfide del futuro.
Rileviamo inoltre che lo stesso problema si presenta anche per le elezioni del CNF ove, oltre a vedere una convocazione in capo a soggetti in scadenza non legittimati dalla legge, appare sussistere lo stesso divieto di cumulo dei mandati ulteriori al seconda Confidiamo, pertanto, che il Ministro e tutte le forze di governo vogliano intervenire in tutela dell'avvocatura e della giustizia, e ciò facciano considerando il grave vulnus che altrimenti verrebbe cagionato al funzionamento della Giustizia, qualora si permettesse un momento elettorale in dispregio alla volontà del legislatore e nell'opposizione delle associazioni che rappresentano migliaia di Avvocati liberamente uniti.
Firmato: MF (Movimento Forense), UIF (Unione Italiana Forense), NAD (Nuova Avvocatura Democratica), Avvocati a Nord Est, Avvocati Ora, Azione Forense, ARF (Alleanza per il Rinnovamento Forense), UDAI (Unione degli Avvocati Italiani), Futuro Forense di Bari, ARDF (Avvocati Radicali Democratici), MCA (Sindacato Nazionale Forense)
Purtroppo, pare che non tutti siano pronti al turn-over delle nostre rappresentanze. In diversi Consigli dell’Ordine degli Avvocati - di molta parte della penisola - è conosciuta l'intenzione delle leadership uscenti di consentire la rielezione degli avvocati che abbiano svolto qualsiasi numero di mandati in precedenza, senza dare un limite a chi già da molti anni esercita un ruolo di rappresentanza e di potere nell’ambito delle istituzioni politico forensi.
Risulta, infatti, diffusa la convinzione di non dover computare i mandati da consigliere fino ad oggi svolti, ai fini del divieto di superamento del doppio mandato In realtà le nuove norme, ovvero i commi 3 e 4 dell’art. 3 della Legge Falanga, consentono un'applicazione immediata del divieto del cumulo di mandati superiori al secondo, cosi comportando ex nunc l'ineleggibilità dei Consiglieri che avessero già svolto due mandati.
Le norme citate infatti dispongono: “Sono eleggibili gli iscritti che hanno diritto di voto, che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento. Fermo restando quanto previsto al comma 4, i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi. La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato. Dei mandati di durata inferiore ai due anni non si tiene conto ai fini del rispetto del divieto di cui al secondo periodo del comma 3." Peraltro, in argomento analogo, anche la Corte di Cassazione (sent. n. 2001/2008) si è pronunciata affermando che chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica non può essere immediatamente rieletto per un terzo mandato, precisando che la norma si applica senza distinzione di mandati, sia anteriormente che successivamente all’entrata in vigore della legge, mancando ogni elemento dal quale possa desumersi che il legislatore abbia disposto l’applicabilità della norma solo per il futuro.
Riteniamo quindi che sia necessario dare assicurazione all'attuazione della disciplina di legge seguendo lo spirito del legislatore e restando in coerenza all’interpretazione di legittimità. Riteniamo che le necessità di rinnovamento delle rappresentanze forensi non possono essere soffocate dalle ambizioni feudali di gruppi di potere che vogliono solo conservare le proprie rendite di posizione.
Riteniamo altresì che una riforma elettorale attuata per metà, nascondendone la parte restante, sia solo la dichiarazione di fallimento di una classe dirigente che non sa migliorarsi anche accettando le sfide del futuro.
Rileviamo inoltre che lo stesso problema si presenta anche per le elezioni del CNF ove, oltre a vedere una convocazione in capo a soggetti in scadenza non legittimati dalla legge, appare sussistere lo stesso divieto di cumulo dei mandati ulteriori al seconda Confidiamo, pertanto, che il Ministro e tutte le forze di governo vogliano intervenire in tutela dell'avvocatura e della giustizia, e ciò facciano considerando il grave vulnus che altrimenti verrebbe cagionato al funzionamento della Giustizia, qualora si permettesse un momento elettorale in dispregio alla volontà del legislatore e nell'opposizione delle associazioni che rappresentano migliaia di Avvocati liberamente uniti.
Firmato: MF (Movimento Forense), UIF (Unione Italiana Forense), NAD (Nuova Avvocatura Democratica), Avvocati a Nord Est, Avvocati Ora, Azione Forense, ARF (Alleanza per il Rinnovamento Forense), UDAI (Unione degli Avvocati Italiani), Futuro Forense di Bari, ARDF (Avvocati Radicali Democratici), MCA (Sindacato Nazionale Forense)
mercoledì, novembre 28, 2018
Patteggiamento della pena (ex art. 444 cpp) ed errore manifesto nella qualificazione giuridica del fatto.
Corte Cassazione Penale Sez. VI - Sent. Num. 53178/2018 Presidente: PAOLONI - Relatore: GIORDANO - Data Udienza: 20/11/2018.
“Secondo il condivisibile indirizzo ermeneutico tracciato da questa Corte, la modifica introdotta con la legge n. 103 del 2017 ha codificato i principi già elaborati nella giurisprudenza di legittimità che, nell'ambito della disciplina del rito speciale di cui all'art. 444 cod. proc. pen., caratterizzato da speditezza, sinteticità e negozialità, avevano enucleato la nozione di errore manifesto della qualificazione giuridica del fatto individuandola in un errore fondato su una contestazione palesemente eccentrica (Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865) ovvero frutto di un errore manifesto (Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, Brughitta e altro, Rv. 264153). Proprio in materia di stupefacenti, era stato escluso, nella sentenza da ultimo richiamata, che ricorresse un errore manifesto in presenza della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 80 dpr 309/1990, richiamando la necessaria esistenza di margini di opinabilità nell'attività di valutazione discrezionale compiuta dal giudice di merito.
Si è, così, recentemente affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, l'erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619).
Nel caso in esame la denuncia del preteso errore manifesto nella qualificazione del fatto si risolve in un'affermazione assertiva, non trovandosi di fronte ad una contestazione eccentrica o frutto di un errore macroscopicamente evidente in cui siano incorse le parti in sede di accordo e che, inopinatamente, il giudice abbia ratificato poiché, viceversa, a fronte del dato quantitativo dello stupefacente detenuto e del principio attivo da esso ricavabile, rientra in un opinabile margine di apprezzamento e di valutazione la qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, piuttosto che nella fattispecie lieve di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. 309/1990”.
“Secondo il condivisibile indirizzo ermeneutico tracciato da questa Corte, la modifica introdotta con la legge n. 103 del 2017 ha codificato i principi già elaborati nella giurisprudenza di legittimità che, nell'ambito della disciplina del rito speciale di cui all'art. 444 cod. proc. pen., caratterizzato da speditezza, sinteticità e negozialità, avevano enucleato la nozione di errore manifesto della qualificazione giuridica del fatto individuandola in un errore fondato su una contestazione palesemente eccentrica (Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865) ovvero frutto di un errore manifesto (Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, Brughitta e altro, Rv. 264153). Proprio in materia di stupefacenti, era stato escluso, nella sentenza da ultimo richiamata, che ricorresse un errore manifesto in presenza della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 80 dpr 309/1990, richiamando la necessaria esistenza di margini di opinabilità nell'attività di valutazione discrezionale compiuta dal giudice di merito.
Si è, così, recentemente affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, l'erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619).
Nel caso in esame la denuncia del preteso errore manifesto nella qualificazione del fatto si risolve in un'affermazione assertiva, non trovandosi di fronte ad una contestazione eccentrica o frutto di un errore macroscopicamente evidente in cui siano incorse le parti in sede di accordo e che, inopinatamente, il giudice abbia ratificato poiché, viceversa, a fronte del dato quantitativo dello stupefacente detenuto e del principio attivo da esso ricavabile, rientra in un opinabile margine di apprezzamento e di valutazione la qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, piuttosto che nella fattispecie lieve di cui al comma 5 dell'art. 73, d.P.R. 309/1990”.
giovedì, novembre 15, 2018
Come stabilire se il compenso è sproporzionato ed eccessivo.
Il compenso per l’attività posta in essere deve essere computato alla stregua della tariffa professionale ratione temporis vigente, e, al tempo stesso, deve essere pur sempre proporzionato alla reale consistenza ed all’effettiva valenza professionale espletata. In particolare, il compenso può ritenersi sproporzionato od eccessivo ex art. 43 C.D. (ora art. 29 nuovo CDF) solo al termine di un giudizio di relazione condotto con riferimento a due termini di comparazione, ossia l’attività espletata e la misura della sua remunerazione da ritenersi equa; solo una volta che sia stato quantificato l’importo ritenuto proporzionato, può essere formulato il successivo giudizio di sproporzione o di eccessività, che presuppone che la somma richiesta superi notevolmente l’ammontare di quella ritenuta equa.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. e rel. Logrieco), sentenza del 19 marzo 2018, n. 9.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. e rel. Logrieco), sentenza del 19 marzo 2018, n. 9.
giovedì, novembre 08, 2018
Qualificazione del rapporto di lavoro nel giudizio di legittimità.
Cassazione Civile Sez. Lavoro - Ord. Num. 28465/2018 Presidente: MANNA - Relatore: MAROTTA - Data pubblicazione: 07/11/2018.
"La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi, che rivelino l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160)".
"La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi, che rivelino l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160)".
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