mercoledì, febbraio 13, 2019

La debenza della provvigione nel caso di "mediazione occulta".




"Secondo  l'univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 6004/2007 e Cass. n. 12390/2011) il rapporto di mediazione non può configurarsi - e non sorge quindi il diritto alla provvigione - qualora le parti, pur avendo concluso l'affare grazie all'attività del mediatore, non siano state messe in grado di conoscere (ed abbiano pertanto potuto ignorare incolpevolmente) l'opera di intermediazione svolta dal predetto, e non siano perciò messe in condizione di valutare l'opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione e di soggiacere ai conseguenti oneri.
Ciò si verifica nel caso in cui il mediatore abbia, con il suo comportamento, potuto ingenerare nelle parti una falsa rappresentazione della qualità attraverso la quale egli si è ingerito nelle trattative che hanno condotto alla conclusione dell'affare, con la precisazione che la prova della menzionata conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697 c.c., al mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (onere che, nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto non assolto dall'odierna ricorrente).
In altri termini (v. anche Cass. n. 11521/2008), affinché sorga il diritto del mediatore alla provvigione è necessario che l'attività di mediazione sia da questi svolta in modo palese, e cioè rendendo note ai soggetti intermediati la propria qualità e la propria terzietà. 
Ove, per contro, il mediatore celi tale sua veste, presentandosi formalmente come mandatario di una delle parti (cosiddetta "mediazione occulta") egli non ha diritto alla provvigione e l'accertamento della relativa circostanza è demandato al giudice di merito che è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato".

Cass. Civile Sez. II - Ord.  num. 4107/2019 - Presidente: LOMBARDO - Relatore: CARRATO - Data pubblicazione: 12/02/2019.

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