I Dieci profili d'incostituzionalità individuati dall’Oua
1. La professione forense non rientra nella previsione dell’art. 41 della Costituzione che riguarda le attività economiche. L’attività di avvocato svolge la specifica funzione costituzionale di difendere i cittadini e non può essere in alcun modo assimilata all’attività di impresa che è assoggettata a regole di mercato incompatibili con la indicata prerogativa costituzionale.
2. La funzione di interesse pubblico svolta dagli avvocati è riconosciuta dalla stessa Comunità Europea (in tre documenti: la Risoluzione parlamentare 23 marzo 2006, la Direttiva Zappalà e la Direttiva ex Bolkstein, queste ultime direttive sono state recepite nell’ordinamento italiano). La normativa comunitaria prevale su quella nazionale (v. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – recepita nel Trattato di Lisbona).
3. La funzione svolta dall’avvocato nel processo è garantita dagli artt. 24 e 111 della Costituzione e non può essere connotata da esigenze mercantili, rientrando nella sfera dei diritti fondamentali dei cittadini.
4. Anche sotto il profilo del lavoro autonomo non si applica l’art. 41, bensì si applicano gli artt. 1, 4, 33 e 36 della Costituzione.
5. La non assimilazione alla impresa dell’avvocato (e più in generale di ogni professionista) rende incostituzionale e illegittima la previsione dell’art. 3 del d.l. n. 138/2011, che, così come formulato, contrasta con le norme primarie dell’ordinamento giuridico del nostro Paese (Costituzione e Normativa comunitaria).
6. La situazione è tanto più vistosa ed illegittima dopo la lettura della rubrica dell’art. 3 “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni ...”. Le parole “indebite restrizioni” rovesciano la realtà giuridica. Quando mai sono “indebite” le restrizioni in linea con la Costituzione? E poi per gli avvocati (che sono 230 mila) con quale fondamento si può parlare di “restrizioni” da abrogare?
7. Uno Stato di diritto deve pretendere che gli avvocati, i quali hanno il compito di difendere i cittadini (nel cui ambito rientra il dovere di difendere i meno abbienti e svolgere le difese di ufficio), siano sufficientemente preparati dotando il loro ministero di professionalità e competenza specializzata.
Come può conciliarsi con ciò la possibilità di stipulare con il cliente un accordo che sia in deroga (e al ribasso) dei minimi di tariffa?
Non è forse questo un cedimento ai poteri forti ed ai gruppi economici che dominano Politica e Parlamento?
Non è forse oggi diventato l’Antitrust (Autorità di Garanzia della concorrenza) un rappresentante istituzionale dei gruppi industriali?
8. L’art. 3 del d.l. 138/2011 contribuirà non poco al degrado delle attività professionali e, segnatamente, della professione di avvocato. Se rimarrà in piedi, rischierà di distruggere l’indipendenza e la dignità della professione forense: oggi, con l’accesso facile e la introduzione della pubblicità dei compensi con deroga al ribasso senza limiti; domani, con l’introduzione dei soci di capitale e l’eliminazione delle incompatibilità tra professione e commercio.
9. Le professioni non hanno a che vedere alcunché con il deficit e il debito dello Stato. L’intervento “barbaro” del decreto legge n. 138/2011 non ha alcuna seria giustificazione.
I professionisti contribuiscono al PIL nazionale con il 12 per cento dell’imponibile fiscale. Con la manovra economica verseranno più tasse (nel numero di professionisti non inferiore a 150.000 di cui il cinquanta per cento sono avvocati).
10. Ove fosse confermata la formulazione attuale dell’art. 3 d.l. 138/2011, l’OUA promuoverà iniziative giudiziarie davanti ai giudici proponendo la rimessione della legge alla Corte Costituzionale, nonché innanzi alla Corte Europea di Giustizia per farne dichiarare la illegittimità, il tutto per il contrasto evidente con la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali.
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