domenica, agosto 28, 2011

Manovra: Il Presidente del Cnf replica alle osservazioni dell’Autorità Garante della concorrenza.


Roma, 27/8/2011.


a
S.E. il Presidente del Senato
S.E. il Presidente della Camera
S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri


Eccellenze,
nell'esercizio dei poteri assegnati al Consiglio nazionale forense dalla legge professionale forense mi permetto di sottoporre alla Loro attenzione alcune considerazioni sollecitate dalla lettera a Loro inviata ieri dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Ciò al fine di precisare alcune osservazioni contenute nella lettera, che meritano di essere lette nella prospettiva, più ampia, onnicomprensiva, e quindi più corretta, della disciplina delle professioni intellettuali, e in particolare della professione forense.
La lettera incentra le sue osservazioni sulla opportunità della scelta legislativa di inserire nel provvedimento sulla manovra regole dirette a migliorare la libertà di impresa e di iniziativa economica , con particolare riguardo ai servizi privati e pubblici.
Quanto ai servizi privati, l'Autorità include tra essi le attività professionali, e lamenta l'esistenza di "ingiustificate protezioni corporative" che si tradurrebbero in limiti alla concorrenza , alla crescita e allo sviluppo. Giustifica in questo modo il suo intervento, ricorrendo ad alcune semplificazioni che è d'uopo mettere in evidenza.
Occorre perciò richiamare la Loro attenzione su alcuni aspetti che la lettera volutamente ignora forse per rendere più persuasive le sue sollecitazioni.
Le professioni intellettuali sono bensì considerate servizi privati dalle direttive comunitarie, ma ciò non significa che esse siano equiparabili all'attività d'impresa, né che, trattandosi di attività di lavoro indipendente, esse siano ascrivibili all'area di applicazione dell'art. 41 Cost., dovendosi invece esse ascritte all'ambito di operatività delle regole costituzionali sul lavoro (art.1,4,36 ss. Cost.).
La lettera dimentica di sottolineare che la stessa Carta dei diritti fondamentali dell' Unione europea distingue tra attività di lavoro e attività d'impresa, e che quindi le direttive comunitarie debbono essere lette alla luce della superiore normativa di livello costituzionale, tenendo conto di questo criterio interpretativo che impedisce l'estensione tout court di tutte le regole riguardanti i servizi anche alle attività professionali, o,se del caso, adattandole alla particolare natura che queste attività rivestono, essendo richiesta per esse una particolare competenza, a fine di tutela degli interessi pubblici e dei singoli cittadini, come è evidente per lo svolgimento delle attività dirette a tutelare gli interessi costituzionalmente garantiti, come il diritto di difesa e i diritti in generale per l'attività forense o la salute come per le attività sanitarie.
La lettera dimentica che tra le direttive che riguardano le professioni vi sono quelle inerenti la libertà di stabilimento, l'attività di esercizio, le qualifiche professionali: tutte direttive che non "liberalizzano" le professioni e la professione forense in particolare, ma introducono alcuni principi comuni conservando tuttavia l'impianto, la disciplina e i valori che sono previsti dagli ordinamenti di ciascuno Stato Membro in questa materia.
Tali direttive cercano di bilanciare le esigenze del mercato con le esigenze dei diritti dei cittadini, nella consapevolezza che non ogni limite deve considerarsi un ostacolo al mercato ma che al mercato si possono imporre regole che consentono di richiedere requisiti e controlli a chi esercita determinate attività producendole con l'intelletto e non con con apparati industriali, sempre al fine di proteggere i diritti e gli interessi dei cittadini diversi da quelli squisitamente economici.
La lettera dimentica ancora che la categoria dei servizi non è monolitica: in particolare lo ricorda la Raccomandazione del Parlamento europeo del 23 marzo 2006, ove si precisa che la disciplina del libero mercato non può incidere sui valori essenziali della professione forense, a cui si riconosce il ruolo fondamentale di assicurare la difesa dei diritti e quindi di essere costitutiva dello Stato di diritto.
In tal modo si riconosce la possibilità, in ragione dell'interesse pubblico, di assegnare alle professioni e in particolare alla professione forense una disciplina appropriata e non confondibile con quella dei servizi in generale.
Sorvolando quindi su queste distinzioni, e non tenendo conto neppure della giurisprudenza comunitaria che ha legittimato con tante decisioni le regole dell'ordinamento italiano in tema di tariffe professionali, la lettera dedica molto spazio delle sue osservazioni alla storia recente, al decreto legge del 4 luglio 2006,n. 223 (salutato a suo tempo con grande plauso da parte della stessa Autorità) e alle ragioni che avevano suggerito al legislatore dell'epoca di sopprimere le regole sulla vincolatività delle tariffe.
Non si debbono seguire le eccessive semplificazioni che la lettera successivamente introduce nelle sue argomentazioni, peraltro così spontaneamente offerte alle Loro Eccellenze: la soppressione della vincolatività si è risolta nel peggioramento della situazione che si voleva invece migliorare, cioè la situazione dei consumatori (che peraltro l'Autorità dovrebbe istituzionalmente tutelare) e nell'agevolazione di quanti invece hanno saputo abusare del loro potere contrattuale per imporre compensi irrisori, deprimenti della qualità dell'attività svolta dai professionisti. Si aggiunga che il testo del decreto oggi alla attenzione del Parlamento non ripara affatto i mali del decreto del 2006 , perché non ripristina la vincolatività delle tariffe, non ripristina il divieto del patto di quota lite , ma si limita a conservarle soltanto come indice di riferimento. Le parti ben possono derogarvi, come aveva già previsto il decreto del 2006 e come ribadisce il decreto attuale.
Non si dovrebbe ignorare - né sottacere - che le tariffe di riferimento costituiscono una garanzia per i clienti e un indice di valutazione che il giudice ha a disposizione nel momento in cui è chiamato a liquidare il compenso del professionista.
Esse innanzitutto operano in modo egalitario, poi escludono la discrezionalità eccessiva, e in ogni caso implicano una valutazione del pubblico interesse - proprio quell'interesse di cui si fa scudo l'Autorità per argomentare in senso contrario - valutazione che è riservata non all'Autorità di Garanzia della Concorrenza , bensì al Ministro della Giustizia.
L'Autorità , indipendente politicamente e tecnicamente, si è voluta occupare di materie che sono di competenza del Ministro della Giustizia, al quale la legge riserva ogni decisione in materia di professioni civili e di tariffe professionali.
L'Autorità si è voluta occupare anche di materie di competenza del Ministro della Istruzione e dell' Università, prodigando suggerimenti sul tirocinio anticipato.
E neppure si è fatta scrupolo di dare direttive sulla disciplina degli Ordini, dei percorsi formativi e persino dei procedimenti disciplinari, ignorando ancora una volta che la materia è oggetto - in linea generale - del provvedimento in discussione alla Camera sulla disciplina delle professioni e del provvedimento approvato dal Senato ed ora alla Camera sul riordino della professione forense.
La lettera imputa poi agli Ordini di riservare a sé i corsi di formazione professionale a cui riconosce i crediti, quasi che gli Ordini volessero monopolizzare il mercato, ma la realtà è tutt'altra: al contrario di quanto loro imputato, gli Ordini consentono che i corsi di formazione siano svolti da qualsiasi soggetto che offra affidamento di qualità del servizio, da associazioni professionali e da singoli privati; gli Ordini offrono corsi a titolo gratuito o chiedendo solo il rimborso spese, per agevolare gli iscritti e consentire loro di mantenersi in costante aggiornamento, come è richiesto dalla diligenza professionale e dal codice di deontologia professionale.
La lettera ignora - volutamente - che in ogni Paese la professione forense ha le sue proprie regole; che l'incisione di membri esterni nei consigli di disciplina, introdotta dalla riforma inglese, ha dato esiti negativi, essendo solo una scelta di facciata ma non incidendo affatto - per carenza di competenze degli esterni - sulle decisioni disciplinari.
Corre l'obbligo di segnalare anche che non tutte le professioni nel nostro ordinamento hanno le medesime regole in materia e che il Consiglio nazionale forense è organo di giurisdizione speciale, costituzionalmente tutelato, riconosciuto come tale da una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione, e come tale non può essere modificato nella sua composizione e nelle sue funzioni con provvedimenti contenuti nella manovra finanziaria.

La sollecitudine con cui l' Autorità ha voluto interferire nell'attività parlamentare, senza esserne richiesta esplicitamente, esorbitando dalle competenze proprie per assumere posizioni in materia di disciplina delle professioni, dell'Università, dei procedimento disciplinari non deve quindi fuorviare le Loro Eccellenze da una valutazione serena, bilanciata, obiettiva della situazione e sopratutto dall'assumere iniziative che siano conformi con la disciplina comunitaria interpretata correttamente. Altrimenti si tratterebbe di assumere provvedimenti punitivi, dannosi non soltanto politicamente, ma economicamente e socialmente: e sopratutto distonici rispetto al diritto costituzionale, al diritto comunitario e ai modelli degli altri Paesi dell' Unione europea.

Il Consiglio Nazionale Forense nutre fiducia nelle Loro Eccellenze ed è a disposizione per illustrare in modo approfondito tutte le questioni sopra accennate con i necessari riferimenti normativi e giurisprudenziali che in queste brevi note sarebbero stati superflui.

Con osservanza
Il Presidente
Guido Alpa



Nessun commento: