giovedì, gennaio 20, 2011

BUSTE - PAGA “GONFIATE”: PERSEGUIBILE PENALMENTE PER ESTORSIONE IL DATORE DI LAVORO CHE LE IMPONE.


È un fenomeno tristemente noto e diffuso a livello nazionale quello dei datori di lavoro che obbligano i propri dipendenti a sottoscrivere buste paga “gonfiate”.
Con la sentenza n. 1284/2011 la seconda sezione penale della Cassazione ha ritenuto che i datori di avoro che si comportano in tal modo sono passibili di condanna per il reato di estorsione di cui all’articolo 629 del codice penale, se minacciando il licenziamento, impongono la firma di buste-paga superiori alla prestazione lavorativa effettivamente espletata.
I giudici di legittimità hanno precisato che integra tale fattispecie delittuosa anche nel caso in cui i lavoratori non si siano fatti intimidire e si siano rivolti ai sindacati e al giudice del lavoro, purché la condotta del datore tenda a coartare la volontà altrui mediante la paura.
Sulla scorta del consolidato principio giurisprudenziale (Cass. 36642/07, 16656/10, 656/09, 48868/09) secondo il quale: “integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi” i giudici di piazza Cavour hanno confermato quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Catanzaro che nel confermare la sentenza di condanna di un datore di lavoro da parte del Tribunale di Castrovillari aveva ritenuto che “per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia sia tale da incutere una coercizione dell’altrui volontà ed a nulla rileva che si verifichi un’effettiva intimidazione del soggetto passivo” escludendosi che manchi l’elemento materiale della minaccia e lo stato di soggezione del lavoratore laddove di fronte alla condotta datoriale i lavoratori si siano comunque rivolti alle organizzazioni sindacali e al giudice del lavoro.

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