venerdì, giugno 14, 2013

Il mantenimento dei figli in forma diretta.

L’interpretazione strettamente letterale dell’art. 155 4° comma c.c. sembrerebbe non lasciare margini applicativi al mantenimento indiretto come regola. “Salvo accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale; il giudice stabilisce ove necessario la corresponsione di un assegno periodico”, equivale ad affermare che il mantenimento diretto da parte di entrambi i genitori, collocatario e non, sia la regola ed il mantenimento indiretto l’eccezione da disporsi ove ritenuto necessario.
Nonostante tale previsione, assistiamo a ben poche pronunce dei giudici di merito che abbiano disposto il mantenimento in forma diretta. (Trib. di La Spezia, ord. del 14 marzo 2007; Trib. di Catania, del 25 settembre 2009; Trib. di Bologna, ord. del 18 gennaio 2010). L’obiezione è tale forma di mantenimento è ovvia e comprensibile : la previsione del regime di mantenimento dei figli in forma diretta è una modalità nei fatti difficilmente praticabile che finisce per rendere del tutto incerto – e quindi non esigibile – il diritto del minore ad essere mantenuto. Tale regime lascia nell’astrattezza il dovere di ciascun genitore di impegnare una quota del reddito per il figlio e rischia, in molti casi, di contabilizzare detto impegno in una negoziazione quotidiana che può favorire il conflitto o inasprirlo quando già esiste. Anche il mantenimento sotto forma di assegno periodico solleva altrettante perplessità: da un lato, può – nel concreto – risolversi come vantaggio economico del genitore presso cui è collocato il minore o, in casi più estremi, come forma di potere assoluto, senza alcuna garanzia dell’impiego delle somme nell’interesse del minore e, dall’altro, priva il genitore obbligato dalla possibilità di partecipare alla vita della prole in maniera più attiva e concreta, inibendogli la possibilità di soddisfare le necessità quotidiane dei figli mediante l’acquisto diretto dei beni e servizi di cui hanno bisogno, in quanto ridotto a mero soggetto erogatore di indistinto denaro, a cui solo l’altro darà senso, decidendo e interpretando i bisogni dei figli. La Corte di Cassazione ha espresso criteri orientativi che in questa sede è doveroso analizzare. Inizialmente, ha sostenuto che “l’affidamento condiviso è istituto che, per le sue finalità riguardanti l’interesse del minore (..) non può certo fare venire meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire al mantenimento dei figli mediante la corresponsione di un assegno a favore del genitore con il quale gli stessi convivono”. (Cass. civ. Sez. I Sent., 18/08/2006, n. 18187) Sulla stessa scia, con Sentenza n°23411 del 04.11.2009, ha sottolineato che “Ciascun genitore deve provvedere al mantenimento dei figli….La corresponsione dell’assegno, peraltro, si rivela quantomeno opportuna se non necessaria quando l’affidamento condiviso prevede il collocamento prevalente presso uno dei genitori. Il collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, potrà quindi gestire da solo il contributo ricevuto dall’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie”.
Ed ancora la I^ Sezione, con Sentenza n. 22502 del 04.11.2010, ha statuito che il genitore non collocatario del minore deve versare una somma proporzionale ai tempi di affidamento, gestita dall’altro genitore, che paga le spese correnti.
L’obbligo di versamento grava su chi non è collocatario del minore e l’importo risulterà determinato in base ai tempi di permanenza presso ciascun genitore.
Con la Sentenza n. 785 del 20.01.2012, la Corte ha preso una posizione ancora più netta rispetto al mantenimento in forma diretta, affermando che non può essere condiviso l’assunto secondo il quale, con la riforma di cui alla L. 54/2006, il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori costituirebbe la regola, quale conseguenza diretta dell’affido condiviso.
Invero, l’art. 155 c.c., integralmente riformato dalla legge citata, dispone che il giudice fissi altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al loro mantenimento. In tal modo il legislatore ha inteso conferire al giudice un’ampia discrezionalità nella determinazione del contributo a carico dei genitori, discrezionalità da esercitarsi ovviamente con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole.
Lo stesso art. 155, al comma 4, stabilisce, quale criterio direttivo per la determinazione del giudice, che ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; ove necessario, poi, è disposta la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di «proporzionalità».
Il limite alla discrezionalità sta nel riferimento al perseguimento dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, per cui la scelta di applicare un regime diverso da quello stabilito dalla legge come prevalente, deve essere fornito di adeguata motivazione.
Nel caso di specie, “l’eccessiva litigiosità dei genitori quale circostanza idonea a sollevare ulteriori conflitti in un contesto che al contrario esige una condotta pienamente collaborativa” ha correttamente orientato la Corte d’Appello di Catania a revocare il mantenimento diretto avendolo considerato fonte di grave conflittualità a danno dei minori.
L’orientamento espresso con tale pronunzia richiede quindi che i Giudici di merito, nei casi di affido condiviso piuttosto che disporre, in via apodittica e pressochè automatica, l’assegno di mantenimento, vaglino la possibilità del mantenimento diretto, fornendo adeguata motivazione di una scelta operata in senso opposto, così sostanziando l’inciso “ove necessario” di cui all’art. 155 comma 4 c.c. e tutelando in maniera più concreta il diritto della prole alla bigenitorialità e il diritto del genitore non collocatario a partecipare alla vita dei propri figli.

Avv. Assunta Giordano

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