martedì, giugno 18, 2013

Giustizia: tra il fare e l’affare.

Il 15 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il c.d. decreto del fare contenente “Misure urgenti per il rilancio economico del Paese” tra cui quelle in materia di giustizia civile con il fine di “agevolare la definizione dei procedimenti civili” (art. 1).
Chi non sa cosa vi sia nel package sarebbe piacevolmente sorpreso, pensando a processi civili più efficienti, celeri, con la riduzione del debito processuale.
In realtà le misure non riformano in alcun modo il processo civile (sopprimendo tempi processuali inutili come l’udienza di precisazione delle conclusioni soprattutto nei giudizi di appello, abbreviando i termini, introducendo termini perentori per i magistrati, promuovendo prioritariamente l’udienza di discussione orale etc.) ma si restaura la mediazione civile obbligatoria.
Lo strumento è ancora la discutibile tecnica legislativa d’urgenza, peraltro poco chiara, creando l’Ufficio del Giudice e l’istituzione degli ausiliari del giudice, nonché un apposito ufficio con il fine di coadiuvare l’attività ermeneutica della Suprema corte (magistrati assistenti di studio) e una ulteriore semplificazione della motivazione della sentenza civile.
Si pensa dunque di smaltire l’arretrato facendo ricorso a manovalanza sottopagata composta dai c.d. giudici ausiliari (magistrati onorari), ai quali sarà attribuita un’indennità onnicomprensiva di duecento euro per ogni provvedimento che definisce il processo, con un tetto massimo alla indennità annua di ventimila euro.
Permane dunque il dubbio reclutamento che prescinderà da un vero concorso, il cui difetto di qualità potrebbe ripercuotersi sui provvedimenti e dunque sui diritti delle parti. Più interessanti certamente l’introduzione nel codice di rito dell’art. 185 bis (Proposta di conciliazione del giudice) che prescrive al giudice di dover formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Prescrizione che pare un ritorno al passato, poi disatteso dai giudici, e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. con la semplificazione delle motivazioni.
Tuttavia il punctum dolens è la reintroduzione della mediazione obbligatoria civile, anche su impulso del giudice, dunque non più solo come condizione di procedibilità ma anche durante la pendenza del contenzioso, sanzionando chi non si piega al diktat della mediazione.
Una soluzione finalizzata solo ad alimentare il business della mediazione (degli organismi di conciliazione, di chi fa formazione ai mediatori).
Soluzione illegittima e grottesca per vari motivi: a) la litigiosità non si riduce con uno strumento obbligatorio (soprattutto in Italia) ma intervenendo a monte sulla cultura della litigiosità; b) invece di risolvere i mali del processo civile e della inoperosità dei magistrati si sposta altrove il problema; c) si attenua il diritto costituzionale alla giustizia; d) non si incentiva la mediazione, riducendo per es. l’entità del contributo unificato, ma al contrario si sanziona chi non vi si ottemperi; e) l’iscrizione di diritto degli avvocati negli albi dei mediatori certifica come si ignori la specifica formazione di un mediatore.
Molto grave poi che tale percorso sia avvenuto in spregio del consulto del Consiglio Nazionale Forense (previsto dall’art. 35, comma 1, lett. q) della legge n. 247/2012) così come eccepito dal suo presidente, il quale ricorda come solo poco prima il Guardasigilli avesse comunicato l’intenzione di fare un percorso concertato.
Notando come vi siano molti “dubbi sulla scelta di una fonte emergenziale in una materia coperta da riserva assoluta di legge” e che “la sentenza della Corte costituzionale ha provocato la caducazione della intera pregressa normativa per eccesso di delega, ritenendo assorbiti e non infondati gli altri possibili vizi”.
La mediazione così come concepita è dunque affetta da vizi “evidenziati da numerosissime ordinanze di remissione provenienti da molte istanze giudiziarie nazionali, e riguardano molti altri profili, tra i quali (…) la stessa obbligatorietà del meccanismo, la sua onerosità, e soprattutto l’assenza di opportune garanzie di preparazione giuridica per i mediatori, reclutabili anche tra soggetti privi di formazione tecnico giuridica”.
La riforma della giustizia viene dunque trattata per l’ennesima volta senza una visione d’insieme, con schizofrenici sussulti emergenziali, deflazionando il ricorso alla giustizia invece di risolvere i mali della giustizia, alimentando il business della mediazione senza istituire una mediazione (facoltativa ma premiale) di qualità.
I diritti dei cittadini ringraziano.

di Marcello Adriano Mazzola | 18 giugno 2013

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