giovedì, marzo 21, 2013

Un superprocuratore Presidente del Senato (Documento dell’Unione Camere Penali).

 
La scelta che ha portato Piero Grasso dalla poltrona di Procuratore Nazionale antimafia alla presidenza del Senato, ad esempio, incarna meglio di qualsiasi analisi la mortificazione del primato della politica e la mancata comprensione – una vera debacle intellettuale – della tematica dei rapporti tra poteri dello Stato.
Non soddisfatta del disastroso reclutamento a suo tempo di Di Piero, incapace di riflettere sulle rivendicate ragioni politiche legate all'attività giudiziaria di personaggi come De Magistris o Ingroia – che pure ha patito anche dal punto di vista elettorale – la coalizione di sinistra ha utilizzato come un escamotage tattico, destinato a spaccare un altro partito, una soluzione che simboleggia una sorta di commissariamento delle istituzioni.
E’ stupefacente registrare come la indiscutibile forza evocativa dell’immagine di una persona – più che rispettabile – che passa nel volgere di alcuni mesi dal coordinamento di inchieste delicatissime, con il corredo di strumenti di indagine che esse comportano, alla seconda carica dello Stato, non sia stata neppure presa in considerazione dallo schieramento politico che si appresta ad esprimere il Premier incaricato.
Se in altre democrazie il capo di un organismo equivalente alla DNA avesse fatto lo stesso repentino percorso la cosa avrebbe prodotto perlomeno qualche interrogativo.
Ed invece è sorprendente che nessuno, non solo nello schieramento di sinistra, si sia interrogato sul fatto che un nuovo passo verso la democrazia giudiziaria, immaginata dagli adoratori delle procure, sia stato mosso nonostante il fallimento elettorale dei suoi alfieri.
Ciò, ovviamente, nella speranza che tutto ciò non sia stato, al contrario, uno scotto deliberatamente pagato all’unico potere forte attualmente in circolazione.
Un pensiero che il discorso di insediamento del presidente del Senato, obiettivamente più simile a quello di neoministro dell’Interno, finisce per rafforzare.
Al momento della candidatura dell’allora Procuratore Nazionale Antimafia avevamo segnalato come fosse discutibile un passaggio repentino tra cariche giudiziarie ed agone politico non solo nel caso di personaggi che avevano strumentalizzato a fini politici la loro vita giudiziaria, come i PM che senza alcuna censura disciplinare da parte del CSM avevano fatto i comizi con la toga sulle spalle, ma anche da parte di chi – come Piero Grasso– avevano tenuto un comportamento misurato; oggi dobbiamo constatare che avevamo visto giusto e qualcuno finirà per comprenderlo, magari, solo nel momento in cui la crisi politica coinvolgerà in ruoli più diretti la seconda carica dello Stato.
Allora chi non lo ha fatto oggi rifletterà sulla circostanza che far passare il capo di un ufficio giudiziario “dalle cattedre di un Tribunale” (o di una Procura Nazionale) ai vertici dello Stato è una idea buona per risolvere l’empasse del momento e superare momentaneamente i guai di una leadership, ma non per la democrazia.
La cosa sconfortante è che, come sempre avviene, la cattiva moneta ha finito per scacciare quella buona.
Tutti i problemi che, faticosamente, erano riusciti ad emergere negli ultimi mesi della legislatura, le aperture che si erano registrate, ivi incluse le autocritiche sulle soluzioni errate che negli anni scorsi erano state adottate, sono scomparsi dal dibattito.
E con esse sono scomparse le realtà che dietro a quei problemi si celano, come quella del carcere, come l’abuso della custodia cautelare o delle intercettazioni, tutte cose accantonate ma che urlano l’urgenza della loro risoluzione.
E’ questo il vero scandalo che ci fa dire che governare sui temi di giustizia è un’altra cosa.
Roma, 18 marzo 2013
 La Giunta 
dell’Unione Camere Penali

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