lunedì, marzo 12, 2012
Un grazie al PM Antonio Ingroia .
Il Pm Antonio Ingroia, in occasione della sentenza riguardante Marcello Dell’Utri, ha fatto affermazioni di cui dobbiamo essergli grati. Esse rappresentano infatti un eccellente chiarimento per quanto riguarda la giustizia in Italia.
Egli ha detto dei magistrati della V Sezione Penale della Cassazione: «C'è chi ha avuto come maestri Corrado Carnevale, chi invece Falcone e Borsellino».
Chi sia stato Corrado Carnevale va ricordato ai più giovani o ai più distratti.
Questo magistrato divenne famoso per alcune caratteristiche: innanzi tutto perché aveva superato ogni sorta di esame col massimo dei voti, a cominciare dall’essere risultato primo nel suo concorso per magistrato. Poi perché, appena arrivato a presiedere la prima sezione (il più giovane presidente che la Cassazione abbia mai avuto, a 55 anni), riuscì a smaltire l’arretrato in un tempo sbalorditivo, proprio perché, oltre che un mostro giuridico, era tale anche per la capacità di lavoro. Ma tutto questo non riuscì a renderlo famoso quanto l’ultima caratteristica: l’applicazione scrupolosa della legge penale. Se degli avvocati ricorrevano in Cassazione perché, in primo grado, era stata omessa una notificazione che la legge penale prescrive a pena di nullità, Carnevale induceva la sua sezione a dichiarare quella nullità. E il processo doveva ricominciare dal primo grado.
Perfino parecchi colleghi erano scandalizzati. D’accordo, la legge prescrive quella notificazione a pena di nullità e – d’accordo – i giudici di primo e di secondo grado avevano sbagliato: ma si potevano annullare anni di attività giudiziaria, decine di udienze, ordinanze e sentenze, per una miserabile notificazione? Un giudice di “buon senso” – come se il buon senso permettesse di violare la legge - ci sarebbe passato sopra e avrebbe rigettato quel motivo di ricorso.
Per ineccepibili motivi giuridici furono così annullate parecchie sentenze e l’Italia, invece di dedurne che quel magistrato era un modello di onestà e d’obbedienza alla legge, lo bollò col nomignolo di “ammazzasentenze”.
Un po’ come se si accusasse di avere provocato il cancro un oncologo che lo ha semplicemente identificato.
Carnevale era un garantista senza falle e invece la sinistra fu tutta contro di lui. Gli stessi politici, invece di cambiare eventualmente il codice di diritto processuale penale, dettero manforte all’opinione pubblica. Infine un pentito inventò che Carnevale quelle sentenze le avesse fatte annullare perché era amico dei mafiosi e il magistrato fu sospeso, rimosso, processato, condannato, esecrato dall’intera Italia.
Ma egli aveva due frecce, al suo arco: era perfettamente innocente e sapeva maneggiare la legge come nessun altro. Non solo alla fine fu assolto da ogni accusa, non solo fu reintegrato nella sua carica, non solo gli si dovette pagare lo stipendio per tutto il tempo in cui gli era stato vietato di amministrare giustizia ma addirittura si dovette in qualche modo far sì che potesse ricuperare tutti i vantaggi degli anni che gli erano stati sottratti.
È questo modello di uomo e di magistrato che Antonio Ingroia propone come contraltare del magistrato stimabile ed anzi ideale. E gli si deve essere grati, di questa confessione che chiarisce molte cose. Egli confessa che il giudice non deve obbedire alla legge ma all’opportunità, alla lotta senza quartiere ai “delinquenti” (anche politici?) e, pur di fare quella che lui crede “giustizia”, deve passare sopra un’eventuale precisa norma di legge. Robespierre non avrebbe detto niente di meglio.
Questo principio che ad un profano può sembrare plausibile è in realtà una bestemmia giuridica. Se un giudice è convinto della colpevolezza dell’imputato malgrado il fatto che non esistano prove a suo carico, secondo la sua personale “giustizia” dovrebbe dunque condannarlo. Ma se quella convinzione – anche in perfetta buona fede – è errata, e se il codice non vale, che mezzo ha l’imputato per difendersi?
La “giustizia” è opinabile, il codice no. È interpretabile, ma interpretarlo non significa violarlo patentemente. Se la colpa di un assassino non è provata, Carnevale lo assolverebbe, Ingroia forse no.
Come non assolverebbe Dell’Utri neppure se fosse vero, come sostiene il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che “l'accusa non viene descritta, il dolo non è provato, precedenti giurisprudenziali non ce ne sono e non viene mai citata la sentenza Mannino della Cassazione, che è un punto di riferimento imprescindibile in processi del genere”.
Ingroia ha l’aria di non occuparsi di tutto ciò. Lui “sa” che Dell’Utri è colpevole e che quella sentenza della Cassazione rientra “in quel processo di continua demolizione della cultura della giurisdizione e della prova che erano del pool di Falcone e Borsellino”.
La gente a volte va avanti ad icone: Carnevale è l’icona del cattivo magistrato, secondo certa stampa, Falcone è il magistrato buono. Dimenticando che è uno dei pochi magistrati che hanno accusato un “pentito” (Giuseppe Pellegriti) di essere un calunniatore.
Forse non era un così buon magistrato come pensa Ingroia.
di Gianni Pardo
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