domenica, luglio 18, 2010

Esenti da tasse le targhe degli avvocati, se non contengono messaggi pubblicitari.


Gli avvocati non sono tenuti a pagare l'imposta sulla pubblicità, per le targhe che riportano soltanto i nomi dei professionisti, l'attività svolta e il luogo dello studio, senza nessun altro messaggio pubblicitario.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 16722 del 16 luglio 2010, ha messo sullo stesso piano delle aziende, ai fini dell'imposta sulle pubblicità, i professionisti.
In particolare la Sezione Tributaria, richiamando anche la giurisprudenza della Corte di giustizia, ha accolto il ricorso di due avvocati che avevano esposto una targa contente solo i nomi il tipo di attività e il luogo di ubicazione dello studio.
L'interpretazione data s’allinea ad una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze del maggio del 2002, secondo cui "devono essere ricomprese tra le fattispecie che godono del beneficio in questione i mezzi pubblicitari esposti dai professionisti (medici, avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, ecc.), che possono rientrare nella definizione di cui al citato art. 47 del d.P.R. n. 495 del 1992, in quanto assolvono al compito di individuare la sede dove si svolge un'attività economica".
Insomma, ha precisato il Supremo Collegio "è pur vero che la norma di esenzione in esame, richiamando le attività commerciali e quelle di produzione di beni o servizi, sembra riferibile, in senso letterale, alle attività esercitate dall'imprenditore e non anche a quelle svolte dal libero professionista".
Tuttavia secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, "nell'ambito del diritto della concorrenza, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico della detta entità e dalle sue modalità di finanziamento e costituisce un'attività economica qualsiasi attività consistente nell'offrire beni o servizi su un mercato determinato".
Si è, pertanto, in particolare, ritenuto che, "gli avvocati offrono, dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella predisposizione di pareri, di contratti o di altri atti, nonché nella rappresentanza e nella difesa in giudizio. Inoltre, essi assumono i rischi finanziari relativi all'esercizio di tali attività poiché, in caso di squilibrio tra le spese e le entrate, l'avvocato deve sopportare direttamente l'onere dei disavanzi."
Dunque anche gli avvocati "svolgono un'attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85, 86 e 90 del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l'esercizio della loro professione è regolamentato siano tali da modificare questa conclusione".
In poche parole, ha concluso la Corte, "in ossequio ai richiamati principi del diritto comunitario, non è ammissibile che l'avvocato (e il libero professionista in genere) possa essere soggetto, nella materia de qua, ad un regime fiscale differenziato - e più gravoso - rispetto a quello riservato a coloro che svolgono una qualsiasi altra attività economica (in regime concorrenziale)".

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