lunedì, aprile 05, 2010

Irragionevole durata del processo: quantificazione dell’indennizzo (Cass.civ., sez. I, ord. n. 4798/2010).


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE-SEZIONE I CIVILE
Ordinanza 26 febbraio 2010, n. 4798
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Ritenuto che il relatore designato, nella relazione depositata il 30 aprile 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:
" R.D. ha proposto ricorso per cassazione il 24 settembre 2007 sulla base di sedici motivi avverso il provvedimento della Corte di appello di Roma depositato il 7 settembre 2006 con cui il Ministero della giustizia veniva condannato ex lege n. 89 del 2001 al pagamento di un indennizzo di Euro 1.400 - oltre spese per l'importo complessivo di Euro 800 più accessori - per l'eccessivo protrarsi di una causa di lavoro svoltasi dinanzi ai giudici di Napoli per il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria su prestazioni assistenziali corrisposte in ritardo.
Il Ministero ha resistito con controricorso. Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di un anno e quattro mesi, verificatasi nella fase di appello, sulla base di una ritenuta durata ragionevole di due anni in detta fase.
Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all'art 6 della Conv. di Strasburgo secondo l'interpretazione fornita dalla Corte Edu.
Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.
Il secondo motivo, attinente al calcolo della ragionevole durata del processo, è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha motivatamente ritenuto di adottare lo standard CEDU di normale durata di un processo civile nel caso in esame, avuto riguardo al tipo di questioni in esso discusse, mentre il ricorrente prospetta una durata inferiore adducendo profili astratti e non pertinenti al decisimi.
Con il sesto motivo si deduce sotto diversi profili l'insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale.
Il motivo appare manifestamente infondato, avendo la Corte d'appello liquidato la somma di Euro 1.000 per ogni anno di ritardo: somma congrua ed in linea con le indicazioni della giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Difatti le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell'indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta - a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 - all'art. 6 della Convenzione, nell'interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice Europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè, appunto, in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340).
In particolare, la Corte di Strasburgo, con decisioni adottate a carico dell'Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell'importo compreso fra Euro 1.000 ed Euro 1.500 per anno la base di partenza per la quantificazione dell'indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie (cfr., ex multls, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).
Non può essere seguita la censura - articolata con l'ottavo, il nono ed il decimo motivo - in ordine al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000.
Ai fini della liquidazione dell'indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell'orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro o previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa di lavoro o previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass., Sez. 1^, 14 marzo 2008, n. 6898).
Con il terzo, il quarto, il quinto ed il settimo motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, il mancato computo dell'indennizzo riferito all'intera durata del processo anzichè al solo periodo di irragionevole durata.
La censura appare manifestamente infondata, avendo a più riprese affermato questa Corte che la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole ed essendo tale norma insuperabile, posto che essa esprime ed attua il disposto costituzionale (art. 111) sulla necessaria dislocazione temporale minima di un giusto processo (da ultimo, Cass., Sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14).
Per quanto riguarda la liquidazione delle spese processuali della fase dinanzi alla Corte d'appello di Roma, si deve rilevare come la difesa ricorrente incentri la sua doglianza sul rilievo che avrebbero dovuto essere applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari innanzi alla Corte d'appello, sostenendo che il procedimento de quo non potrebbe essere considerato di volontaria giurisdizione in quanto sicuramente a carattere contenzioso e destinato ad una pronuncia giudiziale suscettibile di essere impugnata per cassazione a norma dell'art. 360 cod. proc. civ.; considera, ancora, che non sarebbe risolutiva la disposizione che rinvia al rito in camera di consiglio al fine di applicare la voce tariffaria destinata i procedimenti camerali.
Le censure non appaiono puntuali, dal momento che la parte ricorrente avrebbe dovuto indicare nel medesimo ricorso quali voci della tariffa, diverse da quelle utilizzate, avrebbero determinato a suo vantaggio una liquidazione superiore rispetto a quella operata dai giudici capitolini, non essendosi fatta carico la parte neppure di indicare in modo più preciso quale voce di quelle liquidate avrebbe contravvenuto ai minimi tariffari previsti per l'indicata voce tabellare.
Infondato è poi l'assunto che si sarebbe dovuto procedere secondo gli onorari liquidati dalla Corte CEDU.
Tali onorari attengono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo e, quindi, nulla hanno a che vedere con il presente procedimento che, svoltosi davanti a giudici dello Stato, non può che essere sottoposto alle tariffe professionali che disciplinano le spese della professione legale davanti ai tribunali e alle corti dello Stato (Cass., Sez. 1^, 5 settembre 2008, n. 22404). Per il resto, i quesiti o le sintesi conclusive nei motivi concernenti le spese appaiono generici".
Considerato che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici, sono condivisi dal Collegio;
che il ricorso va di conseguenza rigettato;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010.

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