lunedì, aprile 18, 2011
Nelle Casse di previdenza dei professionisti cova la rivolta.
Un ingegnere che termina di lavorare oggi consuma in due anni di pensione tutti i contributi versati in una vita lavorativa. Un avvocato impiega meno di quattro anni. Considerando che la vita media è di 83 anni, chi pagherà per loro gli altri 15 o 20 anni di pensione?
La risposta è facile: saranno i giovani professionisti a foraggiare la cassa di previdenza di categoria nei prossimi anni. Probabilmente lo farebbero anche volentieri, se fossero sicuri che, quando sarà il loro turno, avranno lo stesso trattamento.
Ma sanno che non sarà così. A loro toccheranno contributi sempre più alti e pensioni sempre più basse. E adesso cominciano a chiedersi se ne vale la pena.
Nonostante le riforme messe in cantiere negli ultimi anni (prima la situazione era ancora più sbilanciata), le Casse di previdenza dei professionisti non riescono a dare garanzie di equità intergenerazionale. Insomma, chi ha avuto in mano il potere negli ultimi anni si è preparato una vecchiaia dorata, pagando però solo una parte (spesso una piccola parte) del costo del biglietto.
Ai posteri l'onore della contribuzione. I timidi tentativi fatti finora per sottrarre agli anziani qualche privilegio si sono scontrati contro il principio dei “diritti acquisiti”.
Argomento con il quale, per esempio, la Cassazione ha bocciato il contributo di solidarietà che la Cassa di previdenza dei dottori commercialisti aveva posto a carico dei pensionati più ricchi.
In queste condizioni l'unica strada percorribile per garantire una pensione dignitosa anche ai giovani sembra essere quella di aumentare i contributi previdenziali a loro carico.
Da qui la legge in approvazione proprio in questi giorni, che consente di aumentare fino al 5% il contributo integrativo (il tentativo è quello di scaricare l'onere sul cliente, ma non è detto che, in tempi di vacche magre, l'operazione riuscirà sempre e comunque).
Da qui anche gli appelli alla previdenza integrativa, che dovrebbe compensare l'assegno sempre più misero di quella ordinaria. Entrambe queste soluzioni, però, non fanno altro che aggirare il problema, senza risolverlo.
Perchè mai un giovane, che già si trova ad affrontare un mondo del lavoro ben più competitivo rispetto a quello di qualche anno fa, una realtà sempre più complessa e un futuro sempre più incerto, dovrebbe essere contento di finanziare anche i lussi che si sono riservati i colleghi che lo hanno preceduto?
Ben sapendo che il patrimonio accumulato dalle Casse copre solo un quarto del debito accumulato nei confronti degli iscritti e che almeno otto di loro hanno una sostenibilità dubbia già nel medio periodo?
In questa situazione una cosa è certa: appena le nuove generazioni prenderanno in mano le redini del gioco, le regole cambieranno.
Il problema non saranno più i diritti acquisiti, ma i diritti sostenibili. Non si parlerà più di aumento dei contributi ma di privilegi scandalosi da eliminare. E’ solo questione di tempo.
Marino Longoni
Data: 18/04/2011
Fonte: ITALIA OGGI SETTE
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